Se dovessi portare con me una parola da quest’anno così sofferto, sceglierei senz’altro sensibilità. Lo so, è una parola molto abusata un po’ retrò, apparentemente assai poco innovativa e che si presta a non pochi malintesi. Dunque chiarisco.
Non mi riferisco alla piagnucolosa e un po‘ teatrale iper emozionalità di coloro che si dicono sensibili o iper-sensibili per sottrarsi alle loro responsabilità, all’ascolto e alla condivisione dei dolori altrui. Hanno senz’altro le loro ragioni che vanno espresse e ascoltate ma non certo nascoste dietro un paravento linguistico. Per sensibilità non intendo nemmeno la vera o presunta iper-sensitività da cui alcuni sarebbero affetti. Anche in questo caso rispetto, comprensione e magari accertamenti. Ma niente confusioni.
Sensibilità è per me la capacità e disponibilità ad entrare in risonanza con l’altro, senza perdere la risonanza con sé stessi. Anzi la prima sensibilità è quella di mettersi in sintonia con sé stessi per cercare di capire cosa succede dentro di noi, evitando di attribuire ad altro o altri le nostre emozioni. La sensibilità si manifesta più palesemente nel nostro comportamento verso gli altri, in particolare, ma non solo, nel caso di una sofferenza, che quest‘anno non è certo mancata. Tutti sappiamo, senza la necessità di conoscere Sofocle a memoria, che il dolore insegna. Se però fosse così automatico, quest‘anno dovremmo essere tutti dei geni, colmi di sensibilità verso il prossimo. Visto che mi sembra obiettivamente difficile sostenerlo pur se animati dal più ingenuo degli ottimismi, mi chiedo dove stia l‘inghippo. Non ho la risposta (ché se l‘avessi starei tutto il giorno su Twitter a spiegare il Verbo). Mi viene però in mente mia madre, che quest’anno ho perso. Classe 1923, nata in una famiglia in cui l’unica abbondanza era quella dei figli (di cui 4 morti per le epidemie di allora), aveva fatto solo la quinta elementare. Poiché era portata per lo studio ma le superiori si trovavano in un altro paese e lei era stata ingessata da capo a piedi per mesi a causa di una presunta tubercolosi ossea, le hanno “consentito” di ripetere la quinta e “aiutare” la maestra. La sua ortografia era impeccabile, migliore di quella di alcuni laureati di oggi. Non ha mai considerato però la sua scarsa istruzione un vanto, anzi se ne vergognava e ha cercato di ampliarla con tutti i libri possibili e immaginabili, leggendo i saggi di Borgna sul tablet fino a quando è stata bene. Non ha mai partecipato attivamente alla vita politica in un partito, ma conoscendo fin da bambina le sofferenze e le umiliazioni dei “poveretti” e i soprusi dei potenti di allora, è sempre stata sensibile alla giustizia sociale. Raccontava spesso della moglie di un ricco agricoltore che per risparmiare sulla quota di latte dovuta ai contadini metteva la sua grassa mano nella brocca che faceva da unità di misura. Ne era rimasta sconcertata e ferita. Abituata a dividere i pochi beni a disposizione non solo con i familiari, ma anche con le altre persone della “contrada”, ha continuato a dividere rispetto, beni, tempo e solidarietà con chi intorno a lei aveva bisogno. Non lo faceva solo in forza dei suoi principi religiosi e morali, ma ancora prima perché capiva e sentiva, senza esprimerlo apertamente, cosa si agitava nell’animo delle persone che stavano accanto a lei e si chiedeva cosa succedesse nel proprio. Sono naturalmente di parte nel ricordarla, e non potrebbe essere altrimenti, ma la sua sensibilità l’hanno sperimentata tutte le persone che le stavano vicino. La ricetta di quella sensibilità l’ha portata con sé. A me ne rimane un ricordo vivo e palpabile fatto di rispetto, desiderio di comprensione dei moti dell’animo propri e altrui, capacità di mettersi nei panni dell’altro, comprensione per le debolezze umane, ammirazione per la conoscenza altrui e la cultura in generale. Credo che questa sensibilità sia quanto mai necessaria anche nel nostro sofferto presente ma pure nel futuro. Per capire cosa succede dentro di noi sulla scorta di ciò che accade fuori di noi. È la base di un’elementare psicologia che consente di fondare i rapporti umani e professionali sul rispetto e la capacità di individuare e distinguere le mie emozioni da quelle altrui, il piano dei rapporti da quello delle cose. Ma è anche la radice della curiosità per l’interazione tra dentro e fuori, tra persone e gruppi sociali, tra il micro- e il macrocosmo, dell’interesse per lo sviluppo di una società più giusta e partecipata.
Immagine tratta da @IrenaBuzarewicz
suggerimento musicale: Sting Fragile