Un lavoro a misura d’uomo e di donna

In un momento in cui la riorganizzazione del lavoro sembra cosa scontata e il lavoro sembra esser divenuto intelligente per conto proprio, ha suscitato molti entusiasmi la notizia che l’orario di lavoro in Islanda è stato ridotto a parità di stipendio, con aumento, nella maggior parte dei casi, di produttività e benessere. Più esattamente, come dettagliatamente racconta il Post
“In Islanda, dal 2019 i sindacati sono riusciti a ottenere una riduzione delle ore lavorative per decine di migliaia di persone mantenendone invariato lo stipendio. I sindacati hanno ottenuto questo risultato facendo leva sull’evidenza empirica fornita da due studi condotti rispettivamente dal comune della capitale Reykjavík e dal governo islandese sull’1,3 per cento della forza lavoro del paese a partire dal 2014, i quali hanno dimostrato come una diminuzione delle ore lavorate facesse aumentare o tutt’al più mantenesse inalterata la produttività dei lavoratori.”
L’Islanda sembra dunque aver trovato la formula magica, replicando la quale la magia è destinata a ripetersi. I primi dubbi cominciano tuttavia a sorgere anche nella testa di uno come me, che di organizzazione del lavoro non capisce nulla, ripensando ad un analogo tentativo francese di qualche anno fa quando l’orario del lavoro venne per legge ridotto a 35 ore settimanali. In quel caso tuttavia il risultato fu di aumentare le ore di straordinario: “per mantenere gli stessi livelli di produzione, i lavoratori dovevano restare a lavoro più a lungo” come scrive ancora il Post. In Islanda ciò non è accaduto verosimilmente grazie al fatto che nei lunghi esperimenti (5 anni!) che hanno preceduto l’accordo è stata applicata una riorganizzazione del lavoro che l’ha reso più efficiente tramite “abbreviamento delle riunioni o la loro sostituzione con email o altri mezzi di comunicazione digitali più efficienti, il taglio dei compiti ritenuti meno utili e l’ottimizzazione dei turni di lavoro”. In alcuni settori, come quello ospedaliero, aggiunge ancora il Post, “è stato necessario assumere più dipendenti per compensare le ore perse”.
Dunque la formula magica va pensata, preparata e in alcuni casi anche pagata. Ma qual’è il concetto che sta alla base della formula magica? La semplice riduzione delle ore di lavoro? La preparazione? La partecipazione? La motivazione? La fiducia? L’autonomia?
Per capirne qualcosa di più conviene leggersi fino in fondo un bell’articolo di Cal Newport sul New Yorker Vi è pazientemente dettagliatamente descritto l’esperimento pilota (ROWE) avviato ancora tra il 2005-2007 nella ditta Best Buy per far fronte al troppo rapido turn-over dei dipendenti e che aveva condotto l’azienda ad essere un modello di autonomia e benessere aziendale, in cui erano gli impiegati a decidere come, quando e dove lavorare puntando sull’autonomia anziché sul controllo
“By 2008, more than eighty per cent of the employees at the corporate headquarters were operating in a results-only work environment. The reduced voluntary turnover saved Best Buy money, which Ressler and Thompson estimated to be in the millions. Employees participating in rowe self-reported higher productivity and improved well-being.”
Nel 2013 il programma venne però revocato, così come recentemente sono stati in parte revocati (anche in aziende grandi ed innovative come Apple) i programmi di lavoro a distanza. Al di là delle oggettive differenze tra l’esperienza sperimentale di allora (ROWE) e quelle presenti, l’articolista ha il grande merito di farci scoprire cosa si nascondeva dietro quel tentativo, sospeso alla Best Buy ma ripreso con successo da altre ditte, ad es la WATT global Media: l’esercizio
“training, lots and lots of training. This switch toward autonomous, outcome-focussed work was not accomplished with an e-mailed announcement of a new policy or the purchase of a new collaboration tool.”
Un esercizio costante e faticoso che diviene confronto serrato e formazione continua fino a rendere l’autonomia un habitus personale e collettivo. Può sembrare banale eppure mi sembra quanto mai importante rifletterci ora che vogliamo trovare nuove forme e modalità di lavoro. Mi ha fatto venire in mente la geniale conclusione del film Kung-Fu Panda. Il panda, dopo anni di esercizi e battaglie per riuscire ad ottenere la Pergamena del Drago, in grado di donare incredibili poteri a chiunque la legga, scopre che la pergamena è in bianco. Inizialmente sgomento capisce in un secondo tempo che sono stati gli esercizi, la sua autonoma motivazione a fare di lui il più grande maestro di Kung Fu.