Bonus/Malus psicoterapeutico

La salute mentale è fragile , come d‘altro canto la salute tout court. Ci rendiamo spesso conto di quanto sia delicata e preziosa solo quando l‘abbiamo persa o stiamo per perderla, vogliamo correre ai ripari e scopriamo le difficoltà di accesso alla psicoterapia nel nostro paese. Non sto parlando di casi isolati. Si calcola che nel nostro paese, così come nel mondo intero, circa un terzo della popolazione soffra di qualche disturbo psichico. Anche prima del 2020, i disturbi mentali, erano tra le principali cause del carico globale delle malattie, il cosiddetto GBD, Global Burden of Diseases, che è una misura per calcolare l‘impatto che le principali malattie hanno sulle persone a livello globale. Secondo il Global Burden of Diseases, Injuries, and Risk Factors Study i disturbi depressivi e ansiosi erano tra le 25 principali cause di carico malattie in tutto il mondo già nel 2019.
L’emergere della pandemia di COVID-19 ha naturalmente sollevato molte domande sugli effetti che ne sarebbero scaturiti sulla salute mentale sia attraverso effetti psicologici diretti sia a seguito delle conseguenze sociali (basti pensare al lockdown) ed economiche a lungo termine. Chi lavora in ambito psichiatrico e psicologico in qualsiasi parte del mondo si è trovato a fronteggiare dalla fine del 2020, inizio 2021 fino ad oggi una domanda di consulenza psicologico-psichiatrica e soprattutto di psicoterapia, proveniente da adulti e ancor più da giovani e adolescenti, che non ha pari! nella storia recente della nostra professione (sono medico dal 1987, psichiatra dal 1992). Psichiatria e psicologia sono, si sa, come la nottola di Minerva, giungono sempre più tardi rispetto alla medicina, in quanto hanno a che fare con le conseguenze che le malattie, ma anche le condizioni economiche, sociali e culturali che ne derivano, determinano sulla psiche umana. Anche nel caso della pandemia abbiamo assistito – e purtroppo stiamo ancora assistendo – dapprima ad un incredibile sovraccarico dei reparti di terapia intensiva e di medicina con le tragiche conseguenze che sono state sotto gli occhi di tutti (almeno di quelli che gli occhi non li vogliono chiudere). Successivamente la pressione derivante dai tanti lutti, dal peggioramento delle condizioni economiche e sociali ma anche – non smetterò mai di sottolinearlo – dalla perdita della normalità e dall’incertezza e insicurezza che ne derivano, si è trasferita sulle cliniche psichiatriche, i centri diurni, gli ambulatori psichiatrici, le strutture psichiatriche periferiche, e anche su psichiatri/e, psicologi/he psicoterapeuti/e anche privati. È la cosiddetta psicodemia, tanto reale quanto preoccupante, anche se qualcuno si ostina ancora a volerne negare l‘esistenza.
Uno studio autorevole, globale, relativo a 204 nazioni e territori e pubblicato l‘8 ottobre 2021 su Lancet  ha confermato un significativo aumento dei disturbi psichici nel corso della pandemia. I ricercatori, utilizzando appunto il modello del Global Burden of Disease (GBD), stimano vi sia un aumento significativo della prevalenza sia del disturbo depressivo (+27·6%) che dei disturbi d’ansia (+25·6%) rispetto a prima della pandemia. Sono in particolare due gli indicatori di impatto COVID-19 associati a una maggiore prevalenza del disturbo depressivo maggiore e dei disturbi d’ansia: i tassi di infezione giornalieri e la riduzione della mobilità umana. Le donne risultano maggiormente colpite rispetto ai maschi e i gruppi di età più giovani più colpiti rispetto ai gruppi di età più avanzata. Dati ancora più preoccupanti vengono riportati da studi relativi agli adolescenti Altro è però farne esperienza diretta come mi è capitato pochi giorni fa quando mi sono trovato a dover confermare l‘equivalente svizzero del trattamento sanitario obbligatorio per una ragazzina quattordicenne, con la braccia solcate da trincee di tagli, che voleva morire al 99,5%. Gli effetti derivanti dalla pandemia e precedenti esperienze negative dei pazienti possono intrecciarsi tra loro e determinare condizioni di sofferenza per alleviare e risolvere le quali la psicoterapia è assolutamente indispensabile.
Per ciò che concerne più specificatamente l‘Italia la recente ricerca commissionata dall’Ordine nazionale degli psicologi all’Istituto Piepoli ha confermato che la pandemia «ha influito pesantemente sulla salute mentale» delle persone. In particolare, nel corso della pandemia sono aumentate le richieste relative a problemi d’ansia (+83%), disturbi dell’umore o depressione (+72%), problemi dell’adolescenza (+62%), problemi di coppia e problemi con i figli (entrambi +49%). Sono aumentati anche i disturbi legati a una patologia fisica (+19%) e i disturbi dell’infanzia (+27%). Analogamente si è assistito ad un aumento del consumo di antidepressivi e tranquillanti.
La stessa ricerca dell‘Istituto Piepoli rileva però che il 21 per cento dei pazienti ha interrotto il trattamento per problemi economici e che il 27,5 per cento delle persone che avevano intenzione di avviare un percorso non l’ha fatto, sempre per motivi economici.
A questo punto entra in campo il „Bonus psicologico“, cioè la proposta parlamentare bipartisan, poi bocciata, di introdurre una forma di sostegno per la salute mentale nella legge di bilancio 2022. Nel frattempo è stata lanciata una petizione online per il bonus psicologico che ha già quasi raggiunto 250mila firme. Si spera a questo punto che il bonus per la salute mentale venga inserito nel cosiddetto decreto milleproroghe o altro decreto (Vedasi anche il post riassuntivo de il Post). Anch‘io me lo auguro di cuore ma certo il bonus non risolverà uno dei problemi di fondo della psicoterapia in Italia, il fatto cioè che sia sostanzialmente a disposizione solo di chi ha i soldi per pagarsela.
La proposta del bonus psicologico e le sue vicissitudini hanno però (finalmente) aperto il dibattito sull‘accesso alla psicoterapia, cui hanno partecipato illustri e titolati professionisti dal presidente dell‘ordine degli psicologi David Lazzari al Prof Lingiardi  ad Antonello D‘Elia di Psichiatria democratica, l’On. Filippo Sensi e lo psicoanalista Emilio Masina nel trust Talk di Felicia Pelagalli per non citarne che alcuni. Naturalmente, per non smentire la fama della nostra categoria, noi psicoterapeuti abbiamo già cominciato a dividerci prima ancora che il Bonus sia divenuto legge: tra quelli che ritengono il Bonus buono sì ma insufficiente, quelli che lo ritengono un malus perché andrebbe ai privati, quelli che lo considerano un‘elemosina, quelli che chiedono una riforma strutturale, quelli che oh yeah …
Perché allora allungare il brodo, o, ancora peggio, le polemiche con altre mie parole? Perché, sulla base della mia esperienza in Svizzera, paradiso (non so ancora per quanto) della psicoterapia e in altri paesi mitteleuropei, mi permetto di avanzare una timida proposta: oltre a potenziare, come già previsto dal PNNR, le strutture territoriali psichiatriche e psicologiche per adulti, adolescenti, bambini/e, ragionare senza pregiudizi sulla possibilità di una assicurazione psicoterapeutica integrativa, sul modello di quella dei paesi mitteleuropei.
L’ipotesi che le strutture territoriali pubbliche riescano a seguire tutti i pazienti adulti e minorenni che necessitano di psicoterapie è a dir poco illusoria. Lo stesso presidente degli psicologi, Lazzari, ha ricordato che in Italia ci sono circa 130 mila psicologi, ma solo il 5 per cento lavora nelle strutture pubbliche. È davvero realistico pensare di ribaltare la proporzione in un paio d‘anni?  – Per inciso, non tutti gli psichiatri corrispondono all‘immagine del dispensatore di pillole, anche se va riconosciuto che il retaggio della psichiatria esclusivamente o prevalentemente organica in Italia è duro a scomparire. La maggior parte degli psichiatri comunque sono anche psicoterapeuti ed esercitano volentieri la psicoterapia. –
Le nostre strutture territoriali psichiatriche garantiscono un buono e talvolta ottimo trattamento ambulatoriale dei pazienti psicotici, dei pazienti con gravi disturbi della personalità e comunque con disturbi psichici gravi. Persone con disturbi socialmente più contenuti ma non per questo fonte di minor sofferenza (quali stati ansiosi, stati depressivi ricorrenti, disturbi di adattamento, disturbi di personalità meno gravi) non trovano generalmente adeguato sostegno nelle strutture pubbliche. In questi casi inoltre la libera scelta dello psicoterapeuta è ancora più decisiva perché se la “chimica” (come si dice in tedesco) tra psicoterapeuta e paziente non funziona, non funziona nemmeno la psicoterapia. Sappiamo infatti da diverse meta-analisi che il terapeuta e gli aspetti extra-terapeutici costituiscono i fattori più importanti ai fini dei risultati del trattamento, contando per l’80-87% nella variabilità degli stessi risultati. Mentre ai fini del successo della psicoterapia il tipo di terapia (se sia cioè cognitivo-comportamentale, analitica, sistemica, etc) conta l’1%, al massimo il 2%. La scelta del terapeuta deve dunque basarsi, come sosteneva anche recentemente il Prof. Lingiardi, sulle esigenze del paziente, che deve poter scegliere liberamente il metodo e soprattutto la persona dello psicoterapeuta.
Un’assicurazione psicoterapeutica, integrativa, integralmente detraibile dalle tasse al di sotto di un certo reddito e sempre meno detraibile invece per i redditi più alti, potrebbe garantire il rimborso (ad es. come in Svizzera) al 90% dei costi delle sedute psicoterapeutiche (che va, secondo il CNOP, da un minimo di 35 euro a un massimo di 115 euro a seduta), darebbe la possibilità e la libertà al cittadino di scegliere il terapeuta e consentirebbe un’integrazione anziché una non molto sensata guerra tra pubblico e privato. Già da tempo psicoterapeuti privati si sono organizzati, con altri operatori socio-sanitari, in cooperative che garantiscono tariffe ridotte. È un‘ottima iniziativa ma ha il limite di una forte territorialità a fronte di un mondo sempre più globalizzato. Un‘assicurazione psicoterapeutica integrativa premierebbe tali iniziative consentendone piena diffusione a livello nazionale.
Un sistema misto di questo genere renderebbe finalmente più facile l’accesso alle cure psicoterapeutiche e renderebbe familiare l’idea che tutti possiamo avere un disturbo psichico curabile con una psicoterapia. Continuerebbe inoltre ad essere garantito un buon servizio di assistenza per i pazienti psichiatrici più gravi a carico dei servizi territoriali mentre per le cure psicoterapeutiche, in cui gli aspetti soggettivi sono prevalenti, il paziente potrebbe liberamente scegliere tra un servizio territoriale pubblico e un servizio privato e ciò si tradurrebbe anche in un incremento dell‘ attività lavorativa per molti psicoterapeuti privati. Vista le gravi difficoltà finanziarie attuali, lo Stato si potrebbe assumere l’onere di un iniziale contributo per le persone più bisognose imprimendo così un effetto di volano ad un sistema destinato successivamente a regolarsi sempre più autonomamente.
Qualche ultima precisazione. Per garantire un corretto funzionamento del sistema ed evitare abusi si potrebbe stabilire che la necessità di una psicoterapia venga certificata dal medico di base e che vi sia un numero massimo di sedute per ciclo di terapia (ad es. 20). L’eventuale prosecuzione della psicoterapia per ulteriori venti sedute andrebbe parimenti certificata da uno psichiatra o psicoterapeuta della struttura pubblica. L‘assicurazione psicoterapeutica integrativa non andrebbe inoltre ad intaccare la prospettiva dello psicologo/a di base né tanto meno quella dello psicologo/a della scuola. Al primo spetterebbero infatti compiti soprattutto di temporaneo sostegno, consulenza e/o accertamento diagnostico dei pazienti. Allo psicologo della scuola è delegato invece prevalentemente il compito dell‘accertamento e della diagnosi del disagio psichico che si manifesta in ambito scolastico. In caso di patologie più gravi i bambini/e, adolescenti vengono comunque inviati al servizio territoriale competente o, nel caso appunto di un’assicurazione psicoterapeutica, eventualmente anche a psicoterapeuti privati. Va da sé che la psicoterapia, sia pubblica che privata, diventerà nel futuro sempre più digitale. La drammatica emergenza della pandemia ha da questo punto di vista rappresentato un cambio di paradigma dimostrando non solo la fattibilità e l’efficacia della tele-psichiatria ma anche la validità delle digital health technologies (DHTs) che rappresentano pertanto una via realistica e percorribile per aumentare l’assistenza psichiatrica tradizionale e colmare il divario tra il bisogno di terapia e la capacità di erogarla.
Mi ripeto. La psicoterapia non è un lusso, è un servizio che deve essere accessibile a tutti, un’opportunità ineludibile se non vogliamo vivere in una giungla psichica ma in una società solidale e sostenibile.
 
Suggerimeneto musicale: Rachmaninov, Cello sonata in G minor, Op 19, andante