„ Presi nel vortice di questo tempo di guerra, privi di informazioni obiettive, senza la possibilità di considerare con distacco i grandi mutamenti che si sono compiuti o che si stanno compiendo, o di prevedere l’avvenire che sta maturando, noi stessi non riusciamo a renderci conto del vero significato delle impressioni che urgono su di noi e del valore dei giudizi che siamo indotti a pronunciare. Ci sembra che mai un fatto storico abbia distrutto in tal misura il prezioso patrimonio comune dell’umanità, seminato confusione in tante limpide intelligenze, degradato così radicalmente tutto ciò che è elevato. Anche la scienza ha perduto la sua serena imparzialità; i suoi servitori, esacerbati nel profondo, cercano di trarre da essa armi per contribuire alla lotta contro il nemico. L’antropologo è indotto a dimostrare che l’avversario è un essere inferiore e degenerato; lo psichiatra a diagnosticare in lui perturbazioni spirituali e psichiche.”
Non è il reportage di un bravo/a inviato/a di guerra in Ucraina né il commento di uno scrittore contemporaneo. È l’incipit di un saggio poco noto di Freud, “Considerazioni attuali sulla guerra e la morte”, scritto nella primavera del 1915 a qualche mese di distanza dallo scoppio della prima guerra mondiale. Freud si sofferma su due dei diversi fattori responsabili a suo giudizio del malessere (“miseria spirituale” come la chiama lui) in cui era precipitato chi stava a casa ad assistere al conflitto. Un malessere simile attanaglia ora anche molti di noi, addolorati, impauriti e disorientati di fronte alle tragedie dell’attuale invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Non solo. I motivi del malessere sembrano essere, almeno in parte, analoghi, tanto che è facile ritrovarsi nelle parole scritte da Freud oltre un secolo fa: “la guerra a cui non volevamo credere è scoppiata e ci ha portato … la delusione…[La guerra] è perlomeno tanto crudele, accanita e spietata quanto tutte le guerre che l’hanno preceduta. Essa infrange tutte le barriere riconosciute in tempo di pace e costituenti quello che è stato chiamato il diritto delle genti, disconosce le prerogative del ferito e del medico, non fa distinzione tra popolazione combattente e popolazione pacifica, viola il diritto di proprietà. Abbatte quanto trova sulla sua strada con una rabbia cieca, come se dopo di essa non dovessero più esservi avvenire e pace tra gli uomini. Spezza tutti legami di solidarietà che possono ancora sussistere tra i popoli in lotta e minaccia di lasciare dietro di sé un rancore tale da rendere impossibile per molti anni una loro ricostituzione.”
Non è difficile per Freud dimostrare che non si tratta in realtà di una delusione ma di una illusione in cui, singolarmente e collettivamente, cadiamo. Durante i periodi di maggior benessere, personale o sociale, ci illudiamo cioè di aver raggiunto un livello di sviluppo, di civiltà, tale per cui non sia più possibile tornare indietro, così come non è più possibile tornare dalla forma fisica della vecchiaia a quella dell’infanzia. Nell’evoluzione psichica però, afferma Freud, “ogni fase evolutiva precedente continua a sussistere accanto alla fase successiva cui ha dato luogo. … Lo stato psichico precedente può per lunghi anni non esprimersi esteriormente, pur continuando a sussistere tanto da poter un bel giorno tornare a divenire la forma di espressione delle forze psichiche: e anzi l’unica loro forma di espressione come se tutti gli sviluppi successivi si fossero disfatti e annullati.” E se “ può ben succedere che un certo livello superiore e successivo di sviluppo non possa più, una volta abbandonato, essere nuovamente raggiunto” ….” gli stati primitivi possono sempre ristabilirsi: quel che vi è di primitivo nella psiche è imperituro nel vero senso della parola.”
Se volessimo esprimere questa variabilità e plasticità dello sviluppo psichico in termini più attuali e basati su evidenze scientifiche, potremmo dire che il processo di mentalizzazione cioè di sviluppo e mantenimento della consapevolezza dei propri stati psicologici e degli stati psicologici altrui è sempre transitorio e può sempre cedere di fronte all’incalzare di forti conflitti emotivi lasciando il posto a modalità di funzionamento psichico precedenti, meno differenziate (di pre-mentalizzazione) tipiche dell’infanzia . Facciamo qualche esempio: mentalizziamo quando riusciamo a comprendere i sentimenti e i pensieri nostri e altrui, quando risolviamo i conflitti tra i nostri figli o amici, quando chiediamo una pausa al nostro capo o al nostro partner per una discussione chiarificatrice. Non stiamo mentalizzando quando pretendiamo che un’altra persona si comporti come noi desideriamo, come fanno i bambini piccoli che piangono per riavere da noi il giocattolo caduto (modalità teleologica). Non mentalizzaziamo neppure quando ci sentiamo in un certo stato d’animo, ad esempio di paura, e perciò riteniamo che la realtà sia minacciosa, come i bambini, un po’ più grandi, i quali temono che vi sia un coccodrillo o un fantasma sotto il letto e non si lasciano rassicurare dalle argomentazioni razionali dei genitori (modalità di equivalenza). Non mentalizzaziamo neppure se diciamo a parole di comprendere benissimo l’amico che ci ha fatto uno sgarbo, parliamo di perdono ma in realtà stiamo bruciando dalla rabbia (modalità del come se, far finta che). A tutti noi succede di ricadere nelle fasi meno differenziate, infantili di pre-mentalizzazione e ciò accade tanto più facilmente quanto più si surriscalda la temperatura emotiva della situazione (conflittuale) in cui ci troviamo. Tanto più avremmo bisogno di riflettere perché la situazione è delicata e incandescente, tanto meno ci riusciamo proprio per lo stesso motivo, scadendo così in modalità di funzionamento mentale che accentuano il conflitto. È facile individuare negli atteggiamenti delle parti oggi in causa nella guerra proprio le modalità pre-riflessive, di funzionamento mentale dei bambini. C’è chi vuole che l’altra parte soddisfi i propri desideri senza fiatare. Chi interpreta la realtà attribuendo all’altra parte o al mondo intero i propri sentimenti. E c’è chi fa finta di non vedere l’orrore, di non provare sentimenti di rabbia, aggressione, risentimento, come se nulla fosse. Naturalmente, anche se nell’attuale conflitto è obiettivamente possibile individuare un colpevole e una vittima, le modalità infantili di pensiero pre-riflessivo non sono prerogativa esclusiva del cattivo ma vengono di volta in volta assunte più o meno da tutte le parti in causa: chi pretende che l’altro faccia, dica o pensi quello che vuole il primo, chi interpreta la realtà sulla base solo delle proprie emozioni, chi fa finta di nulla di fronte agli orrori della parte opposta.
Lo sforzo per noi che assistiamo da casa a questa tragedia è proprio quello di mantenere una capacità di riflessione critica, di mentalizzazione appunto, quando tutti o almeno molti intorno a noi sembrano averla persa. Ma è altrettanto infantile ritenere che noi siamo gli unici a tenere acceso il lume della ragione mentre gli altri si dibatterebbero nelle tenebre del male, dell’inciviltà, dell’ignoranza. Tutti siamo in grado di mentalizzare ma anche di non mentalizzare, di cadere nei facili trabocchetti del pensiero infantile. Come scrive Calvino, “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” In realtà, come abbiamo visto, i modi per non vedere l’inferno o per crearne altri sono molteplici, ma unica e rischiosa rimane la strada per far spazio in noi e negli altri a ciò che inferno non è, a ciò che ci consente di superare le modalità di pensiero della guerra. Scrive Camus: “Tutto quello che chiedo è che, nel mezzo di un mondo omicida, accettiamo di riflettere sull’omicidio e di fare una scelta. Dopodiché, possiamo distinguere coloro che accettano le conseguenze dell’essere essi stessi assassini o complici degli assassini, e coloro che rifiutano di farlo con tutta la loro forza e il loro essere. Dal momento che questa terribile linea di demarcazione esiste davvero, sarà un vantaggio se sarà chiaramente contrassegnata.… ho sempre ritenuto che, se chi fonda le sue speranze sulla natura umana è uno sciocco, chi si arrende davanti alle circostanze è un codardo. E d’ora in poi, l’unico modo onorevole sarà quello di puntare tutto su una scommessa formidabile: che le parole sono più potenti delle munizioni.”
Immagine: Tiziano, Sisifo