Doomscrolling

La giornalista Nicole Johnson racconta che dopo aver perso la madre per overdose, aveva sviluppato una paura eccessiva nei riguardi della morte fino a quando vide, con alcuni amici a casa, un film horror La scuola degli orrori, in cui un mostro tormentava e uccideva la gente. „Dopo – scrive la giornalista – provai due sensazioni: l’orgoglio di essere sopravvissuta al film, e un immediato senso di sollievo misto a euforia. È stata la migliore forma di liberazione catartica che abbia provato. Per diversi decenni successivi della mia vita, i film horror sono diventati per me un modo per affrontare tragedie e ostacoli“. Quest’esperienza, per quanto possa apparire a prima vista paradossale, è confermato anche da diversi studi scientifici, che dimostrano come situazioni di paura controllata, quali appunto guardare film horror, possono avere effetti positivi in termini di perfezionamento delle strategie di reazione”, (cit. Mathias Clasen, direttore del Recreational Fear Lab) Uno studio condotto su più di 300 persone all’inizio della pandemia ha dimostra che i fan dei film horror hanno reagito psicologicamente molto meglio dei non fan ai primi pesanti mesi di pandemia di COVID-19.

Non sempre però la paura scaccia la paura. In alcuni casi la paura, pur inducendo ricerca di informazioni, alimenta una paura ancora maggiore. È il caso del Doomscrolling, quel comportamento mediatico per cui gli utenti dei social media vanno costantemente alla ricerca di notizie negative, incentrate su crisi, disastri e tragedie. Il termine Doomscrolling si è fatto strada all’inizio del 2020 per descrivere un comportamento digitale che si è particolarmente sviluppato durante la recente pandemia. Il termine è stato in realtà coniato già nel 2018 e successivamente reso popolare dalla giornalista Karen Ho. Nell’inglese colloquiale “doom” è associato al male, a rovina o distruzione, dunque Doomscrolling indica appunto la tendenza a scorrere costantemente sui social media le notizie con un’attenzione ossessiva per informazioni angoscianti, deprimenti o comunque negative. Proprio a causa della natura dei social media, la fruizione di informazioni è condizionata dal comportamento di ricerca e di scorrimento precedenti degli utenti (raccomandazioni algoritmiche) ed è potenzialmente senza fine, per cui non esiste un punto finale in cui una sessione di doomscrolling si concluda naturalmente.
Il Doomscrolling sembra dunque essere avviato dalla ricerca di informazioni su eventi negativi, ma si alimenta di sempre maggiori informazioni in un circolo vizioso potenzialmente senza fine che anziché tranquillizzare induce maggiore paura e ansia, un po’ come succede a quei pazienti ansiosi o ipocondriaci che vanno a ricercare su internet o sui forum notizie sugli effetti collaterali dei farmaci prescritti o sulle malattie diagnosticate con il dichiarato intento di rassicurarsi ma vengono poi travolti da ondate di allarmismo che rinforzano la loro ansia.
Di per sé ricercare notizie sugli eventi soprattutto in tempo di crisi è un comportamento del tutto naturale in linea con l’istinto umano di ricercare e riconoscere i pericoli per poterli anticipare ed evitare. Normalmente inoltre il giro frontale inferiore (IFG) del cervello, quando aggiorniamo le nostre convinzioni sulla base di nuove informazioni, esercita un filtro selettivo sulle cattive notizie, attenuandole, per cui tendiamo ad essere, evoluzionisticamente, ottimisti e ad immaginare che le cose ci andranno bene. Tale pregiudizio “ottimista” sembra infatti apportare benefici per la salute. Gli ottimisti godono di una migliore salute fisica e mentale e sono più resilienti. Tale pregiudizio ottimista indotto dal giro frontale inferiore sembra essere anche il motivo per cui tendiamo a pensare che vivremo più a lungo e subiremo meno incidenti rispetto ai nostri coetanei. Se tale filtro “ottimista” viene disattivato, inibendo la funzione del giro frontale inferiore, come hanno recentemente fatto alcuni ricercatori dell’Università di Londra, gli ottimisti diventano pessimisti. Altri ricercatori hanno scoperto che lo stesso filtro delle cattive notizie si spegne automaticamente in caso di minaccia, una funzione utile in situazioni in cui è in gioco la vita (o la morte) ma controproducente quando andiamo a cercare notizie negative in modo esasperato con il Doomscrolling Un recente studio ha cercato di definire più precisamente il concetto di Doomscrolling e di individuare le caratteristiche psicologiche di chi vi è attratto. I ricercatori sono giunti alla conclusione che il doomscrolling sia un comportamento mediatico specifico, distinguibile da altri, in cui un comportamento inizialmente motivato e orientato all’obiettivo si traduce in una navigazione ripetitiva e automatica stimolata da fattori ambientali. Dallo studio è inoltre risultato che Il Doomscrolling è strettamente correlato alla vigilanza online, all’uso problematico di Internet e dei social media e, in minor misura, alla FOMO (Fear of missing out, paura di essere tagliati fuori), all’uso abituale e soprattutto passivo dei social media, all’ansia, allo scarso autocontrollo. Gli uomini, i giovani adulti e le persone impegnate in politica hanno maggiori probabilità di andare incontro al Doomscrolling.

In definitiva il Doomscrolling, per quanto specifico nel suo profilo comportamentale mediatico, risulta essere un sintomo, di uno stato di tensione, se non proprio di ansia, strettamente correlato con un uso problematico dei social media. I film Horror possono favorire l’esposizione, indurre cioè ad esporsi alla situazione temuta per superarla. Le favole anche più crudeli, i racconti più truci, attraverso l’azione narrata, possono esercitare una sorta di contenimento emotivo che consentono di superare la paura. Le notizie negative, tragiche, catastrofiche non rispondono ad altra narrativa se non quella dell’accumulo, del catalogo, della ripetizione ed inducono dunque alla ripetizione, ad una sorta di coazione a ripetere, in cui troviamo riflesse nello specchio dei social media le nostre paure.

 

Immagine: Tratta da Getty Images