La speranza è nelle donne

E ora vogliamo credere in un lungo anno,
che ci viene dato nuovo, intatto,
pieno di cose mai viste prima…


Scrive Rilke (che cito da @madrugada ). Ed è un bene che sia così perché portiamo con noi dal passato tanti fardelli divenutici già fin troppo familiari. Nello scorso anno abbiamo magari dovuto prendere congedo da persone, affetti, cose a noi care. Ma ci sono anche avvenimenti, storie, processi avviati e non ancora giunti a termine. Non mi riferisco alla guerra in Ucraina e a tutte le guerre che tutte/i speriamo si possano presto concludere con la pace.

La rivoluzione delle donne iraniane e afgane 
Penso alla rivoluzione avviata dalle donne in Iran ed estesasi all’Afganistan. Fin dai primi giorni delle proteste mi hanno colpito non solo lo straordinario coraggio delle donne iraniane e poi afgane, disposte a sfidare il carcere, lo stupro, la morte, per affermare i loro diritti, ma anche i peculiari caratteri della rivolta: la straordinaria commistione di compostezza e risolutezza, di determinazione e di non-violenza, di consapevolezza e di azione. Non ho conoscenze né sociologiche né storiche per comprendere quanto ci sia dietro la rivolta. Cerco di immaginarlo e sono grato ad articoli che mi aiutino a capire, quali quello di Lucia Goracci “2023. L’anno delle donne”:  “E così l’Iran è partito e nessuno sembra saperlo fermare. E nessuno sa dire come finirà. Salvo che non finisce. Ma non dobbiamo essere sorpresi davanti agli accadimenti. Perché quel grido “donna, vita e libertà” nato dalla morte come uno sberleffo, covava sotto la cenere di un lungo presente di convenzione e costrizione.”
Credo proprio che la straordinaria resilienza – per una volta la parola è quanto mai appropriata – delle donne iraniane ed afgane si sia temprata in lunghi anni di normalità in superficie e apparente adattamento alle inumane violazioni dei diritti delle donne sotto il quale però la protesta ha continuato a crescere nel privato per sfociare poi nel pubblico. Forse è proprio questo che fa la differenza rispetto ad altre rivolte, forse altri fattori ancora. Certo varrà la pena di studiarli attentamente. In un’epoca in cui la violenza delle dittature, dei soprusi dei potenti sui più deboli sembra ritrovare vigore e addirittura giustificazione, possiamo solo imparare da donne che non hanno paura di sfidare la disumana ferocia di un sistema che fonda il suo potere sulla commistione tra patriarcato e teocrazia.

Cosa possiamo fare? 
Purtroppo questo stesso sistema, che poche settimane fa veniva già dato per spacciato da diversi commentatori, mostra proprio ora, con una spietata repressione, la sua potenza. E le nostre democrazie la loro impotenza. Nonostante le proteste delle iraniane e degli iraniani in patria e all’estero, il sostegno di tante persone al loro fianco, nonostante proclami e (timidi) gesti di Stati e organismi internazionali, la repressione prosegue. Gli Stati occidentali sembrano più interessati alla prosecuzione dei colloqui con i governanti iraniani in vista degli accordi nucleari che al cambio di regime. Certo i mezzi della democrazia e della diplomazia sono notoriamente limitati ma sarebbe lecito attendersi qualche gesto più coraggioso. Non si tratta in questo caso di inviare armi ma di mettere in atto azioni concrete per aprire ad esempio nuovi corridoi umanitari per le donne iraniane e afgane, per consentire ad organismi internazionali di verificare il rispetto dei più elementari diritti dei detenuti, per alzare il livello della protesta diplomatica da parte dell’Europa, per imporre sanzioni economiche di fronte alla persistente violazione dei diritti umani. Certo anche questo è poca cosa e non garantisce la fine di un regime, che, come ogni regime, farà di tutto per opporsi al proprio rovesciamento.
Eppure questa mi sembra un’occasione storica che riguarda da vicino ciascuno di noi. Mi ripeto. Se tra le tante tragedie e catastrofi che sembrano ormai divenute parte del nostro quotidiano c’è ancora un filo di speranza, credo che questa venga dalle donne iraniane e afgane. Credo sia nell’interesse di ciascuno/a di noi non lasciarle sole.

Buon Anno di speranza