Nella mia ormai lontana gioventù girava la battuta secondo la quale la mamma di un adolescente per controllare che fosse andato in chiesa la domenica, come richiesto dall’educazione cattolica vigente allora nelle mie zone, gli avrebbe chiesto di che cosa avesse parlato il parroco all’omelia. Il ragazzo, preso alla sprovvista, avrebbe peraltro reagito con prontezza, rispondendo “del peccato”. Al ché la madre, messa in campana, avrebbe chiesto ulteriori informazioni sulla posizione del parroco, noto per essere tutt’altro che sintetico. Il povero ragazzo, costretto ad inventare, non avrebbe saputo far altro che esclamare: “È contrario… fa male… bisogna combatterlo”. Mutatis mutandis, si potrebbe applicare la battuta anche all’attuale dibattito pubblico su social media e adolescenti. Anche in questo caso il messaggio è ridotto ad un’esclamazione: i social fanno male allo sviluppo di bambini/e e adolescenti e pertanto devono essere il più possibile combattuti. Il chè è anche (un po’) vero. Questa impostazione quantomeno riduzionista, se non assolutistica, rischia però di trasformare l’assunto in una sorta di dogma tautologico piuttosto che in una posizione scientifica argomentata. Come è noto, i dogmi a loro volta inducono più che a ragionamenti, a censure e crociate, che per di più, ironia della sorte o nemesi storica che sia, vengono spesso condotte su quegli stessi social media che si vogliono combattere. Inoltre censure e veti da soli, nella storia dell’umanità, a partire dalla famosa mela, non si può certo dire abbiano avuto molto successo.
Età adulta emergente
Se vogliamo dunque continuare nella ricerca delle determinanti della crisi mentale dei giovani e delle giovani avviata la scorsa domenica, dobbiamo ampliare il nostro orizzonte, seguendo le indicazioni del già citato rapporto della The Lancet Psychiatry Commission on youth mental health Il rapporto suggerisce innanzitutto di introdurre il concetto di “età adulta emergente” che consentirebbe di cogliere meglio la portata dello sviluppo durante l’intero periodo sensibile che va dalla pubertà fino appunto al raggiungimento della maturità, dunque dai dieci ai ventiquattro anni. La fase di transizione si sarebbe infatti ampliata negli ultimi decenni, „incorporando e trascendendo i confini del termine più antico di adolescenza“. Poiché la mortalità infantile si è drasticamente ridotta, il tasso di natalità è diminuito e l’aspettativa di vita è globalmente aumentata, il periodo principale di rischio per la salute si è spostato dall’età pre-puberale alla metà dei vent’anni. Queste tendenze contribuiscono ad aumentare la dipendenza della società dalla salute e produttività dei giovani.
Età media
Peraltro l’età media della popolazione varia significativamente nei diversi contesti. Nei paesi a basse e medie risorse, l’età media della popolazione è di solito molto più giovane; ad esempio, l’ONU ha stimato che l’età media della popolazione dell’Africa subsahariana fosse nel 2020 di 18,7 mentre nello stesso anno l’età media in Italia era di 45,7 anni – forse questo dato demografico basta di per sé a spiegare perché in Italia non cambi mai nulla 😉
Cambiamenti della fase di cambiamento
I compiti del/della giovane in transizione rimangono peraltro sostanzialmente gli stessi includendo “l’evoluzione di un senso di sé stabile, l’individuazione dalla famiglia d’origine, l’indipendenza e spesso una famiglia propria.” Sono stati però osservati negli ultimi anni cambiamenti significativi di questa fase dello sviluppo: una diversa costruzione sociale e culturale del passaggio all’età adulta; l’allungamento dell’istruzione e della durata della vita; l’innalzamento dell’età media del matrimonio e del parto; oltre alle serie di destabilizzanti cambiamenti sociali, tecnologici ed economici di cui scriverò successivamente. Diversi studi suggeriscono un ritardo nell’inizio dell’attività sessuale, un ritardo (e la riduzione) dell’uso di alcol e droghe illecite, tranne che nei gruppi emarginati, una tendenza a una maturazione più lenta, anche se e quando si raggiunge l’indipendenza economica. Essere un giovane che attraversa il passaggio alla maturità adulta oggi è dunque molto diverso da quello che era anche solo 20 anni fa.
Quadri concettuali
Andando ad analizzare le prospettive attraverso le quali osservare e interpretare questa delicata e decisiva fase di passaggio dalla pubertà alla fase adulta, come suggerito dalla commissione Lancet, ci troviamo inevitabilmente di fronte a molteplici fattori, biologici, sociali e cognitivi, culturali così come megatendenze globali politiche, socioeconomiche e strutturali.
Prospettiva biologica
È quasi scontato ricordare che l’avvio della fase di transizione, cioè la pubertà, porta alla maturità riproduttiva e che l’incremento degli ormoni sessuali durante tale periodo gioca un ruolo importante nello sviluppo del sistema nervoso, nelle performance sociali e nella salute mentale.
“Studi di ricerca che hanno utilizzato la risonanza magnetica hanno dimostrato lo sviluppo strutturale del cervello, caratterizzato da una diminuzione del volume della materia grigia corticale dalla fine dell’infanzia ai metà anni venti, e, nello stesso periodo, un graduale aumento del volume della materia bianca cerebrale”.
Viene spesso affermato che i social modificano lo sviluppo e il funzionamento del cervello degli adolescenti. È senz’altro vero. Va peraltro ricordato che praticamente tutto quello con cui abbiamo a che fare (anche quest’articolo, nel bene o nel male) ha un’influenza sul nostro cervello. È semplicemente l’effetto della nostra plasticità cerebrale, del fatto cioè che siamo in grado di apprendere da ogni nuova esperienza in quanto le nostre reti di cellule nervose si modificano a seconda del tipo di esperienza, dell’intensità, durata, profondità della stessa nonché del significato che noi le attribuiamo. Naturalmente durante le fasi di sviluppo dell’infanzia e dell’adolescenza il nostro sistema nervoso è ancora in formazione e gli stimoli esterni, quali appunto i social, hanno un impatto molto maggiore e dunque anche maggiori potenziali effetti negativi, ma anche positivi, se i social vengono usati bene e nei tempi e nei modi consigliati dagli esperti
Anche i tanto detestati algoritmi, che devono essere resi trasparenti e pubblici, agiscono sul nostro cervello. Lo fanno però non sulla base di una sconosciuta magia ma sfruttando il circuito della ricompensa, che è lo stesso che ci induce a ripetere, spesso senza confini o addirittura senza fine, i comportamenti che generano in noi piacere, dal gioco al sesso, dai piaceri della tavola a quelli dell’alcol e delle droghe, dall’esercizio del potere o della sottomissione. Anche se un po’ più evoluti, non siamo, da questo punto di vista, molto diversi dai topolini che, potendo premere il tasto per la stimolazione del loro circuito della ricompensa, dimenticano cibo, sesso e quant’altro, trovando la morte mentre ricercano il piacere. Noi abbiamo almeno la consapevolezza, quando vogliamo e sappiamo usarla.
Prospettiva sociale e cognitiva
Anche qui è quasi scontato sottolineare che durante l’adolescenza l’influenza degli amici o dei pari aumenta e l’influenza dei genitori o degli adulti diminuisce. “Gli adolescenti – come ognuno di noi sa – sono particolarmente sensibili al rifiuto da parte dei pari e all’approvazione sociale. La maggiore suscettibilità all’influenza sociale durante l’adolescenza, unita all’aumentata preoccupazione per il rifiuto sociale, aumenta la probabilità che gli adolescenti si conformino ai propri coetanei al fine di ottenere accettazione sociale e evitare il rischio sociale di essere esclusi dal gruppo dei pari.” Al tempo stesso le loro facoltà cognitive vanno migliorando. In particolare, sottolinea la commissione Lancet “la mentalizzazione, la capacità di comprendere le menti e le emozioni degli altri e la capacità di assumere prospettive altrui, sono ancora in fase di sviluppo. Questi progressi cognitivi, in un momento in cui il corpo, il cervello e l’ambiente sociale stanno cambiando, forniscono agli adolescenti gli strumenti cognitivi per riflettere su se stessi, sul loro posto nella gerarchia sociale e sul loro futuro.” Anche per questo sarebbe importante favorire e promuovere i processi di mentalizzazione non solo negli adolescenti in crisi, ma in tutti/e gli/le adolescenti (e magari in tutte le persone adulte). A questo riguardo è utile sottolineare che i rapporti sociali con i pari così come i rapporti intimi possono costituire elementi decisivi per offrire ai/alle giovani una maggiore stabilità emotiva e con questa una migliore gestione dei loro impulsi, dei loro affetti, il ché si traduce a sua volta in una maggiore capacità di gestire le relazioni.
Fattori culturali
“I fattori culturali, e soprattutto il paesaggio socioculturale in cui i giovani crescono, influenzano l’espressione della salute mentale giovanile e possono includere fattori diversi come religione, tradizioni culturali, cambiamenti tecnologici, disuguaglianza economica e incertezza sul futuro. La globalizzazione delle influenze culturali, mediate attraverso la rivoluzione digitale, i social media e l’avvento di influencer potenti, potrebbe diluire alcuni fattori culturali più tradizionali.”
Traggo qualche esempio dal rapporto: “le evidenze suggeriscono che la comprensione delle emozioni dipende dal contesto culturale di ognuno, che il riconoscimento delle proprie emozioni e di quelle degli altri è migliore tra membri dello stesso gruppo culturale e che percepire ed esprimere emozioni è determinato dai modelli culturali prevalenti. …L’immigrazione e l’acculturazione modificano e complicano l’influenza dei fattori culturali. In particolare tra i giovani immigrati, razzializzati, emarginati e indigeni, il legame culturale e un’identità culturale forte o positiva aiutano ad aumentare la resilienza, l’autostima, l’autoefficacia, la chiarezza di sé, la soddisfazione della vita, il benessere e la salute mentale. L’identità culturale può anche proteggere dal rischio di suicidio, dalla depressione, dall’uso problematico di sostanze e da altri segni di disturbi mentali. Utilizzando dati provenienti da 200 comunità indigene nella Columbia Britannica, in Canada, Chandler e Lalonde hanno dimostrato che la continuità culturale (ad es. strutture culturali, lingua e governance) era fortemente associata a tassi di suicidio significativamente più bassi. Il benessere spirituale si è dimostrato protettivo contro la depressione, ma una fede religiosa negativa (ad es. sentirsi abbandonati da Dio) può influenzare negativamente la salute mentale.”
Megatendenze
I giovani vivono e soffrono le trasformazioni cui è andata incontro la nostra società negli ultimi decenni, quali la globalizzazione, il neoliberalismo e la conseguente crescente disuguaglianza; la sempre maggiore pressione per raggiungere risultati accademici; le sfide dell’intelligenza artificiale per le aspettative future in ambito educativo e lavorativo; il grave deterioramento dei diritti dei lavoratori più giovani; e il cambiamento climatico.
Svariati autori, tra cui Wilkinson e Pickett, hanno dimostrato l’impatto negativo sulla salute mentale dell’ineguaglianza, inclusa l’ineguaglianza intergenerazionale e il trasferimento di ricchezza, la violenza di ogni tipo, la marginalizzazione di molti gruppi, l’ emigrazione dovuta a guerre, conflitti e cambiamenti climatici. I giovani sono particolarmente sensibili alle condizioni sociali, politiche ed economiche dominanti e alle forze strutturali, e gli effetti di questi fattori influenzano la salute mentale lungo tutto l’arco della vita. Inoltre, almeno nei paesi dell’occidente più agiato, le politiche neoliberiste che hanno avuto inizio già negli anni ’80, hanno prodotto un aumento dell’ineguaglianza intergenerazionale, un grave deterioramento della sicurezza lavorativa per i giovani che entrano nel mondo del lavoro, un trasferimento di ricchezza dalle generazioni più giovani a quelle più anziane, minori prospettive di proprietà di casa con l’aggravio di una crisi degli affitti, e crescita del debito studentesco.
Social media
Ritorno infine sul tema già inizialmente accennato dell’influenza dei social media sugli/sulle adolescenti, citando le conclusioni, a mio avviso molto equilibrate, argomentate e documentate, della commissione Lancet:
“L’uso dei social media aumenta drasticamente durante l’adolescenza, e ciò potrebbe influenzare il modo in cui il cervello si sviluppa e potrebbe contribuire alle pressioni sociali, ai disturbi mentali e influenzare il grado di insoddisfazione nella vita. Le evidenze sull’uso dei social media durante l’adolescenza stanno emergendo, e finora indicano un ruolo potenzialmente molto forte, ma suggeriscono anche che la relazione tra i social media e la salute mentale è complessa e bidirezionale. Anche se i social media e la diffusione degli smartphone, che permeano attualmente le società dei giovani (anche) in contesti a basse e medie risorse, offrono nuove vie per la prevenzione e l’intervento, diffusi e crescenti timori circondano il loro impatto sulla salute mentale giovanile. Anche se l’associazione temporale è forte, i dati provenienti da studi longitudinali ben controllati sono scarsi. Tuttavia, molti sostengono che sia urgentemente necessario regolamentare questa potenziale fonte di danno. Basandosi sul lavoro di Twenge, Haidt ha argomentato in modo deciso che questa questione debba essere affrontata più seriamente come una megatendenza chiave che mina la salute mentale dei bambini e dei giovani. Allo stesso modo, il potere economico senza precedenti di coloro che controllano questa rivoluzione tecnologica, i cosiddetti capitalisti del cloud, attualmente senza vincoli, è stato sottolineato in un recente lavoro di Varoufakis …. Haidt e Twenge sostengono che gli smartphone sono l’unica novità che può spiegare il tempo e il modello della crisi di salute mentale giovanile e che è necessaria un’azione urgente su molti livelli geografici e sociali; tuttavia, nonostante le prove che hanno raccolto e il consenso tra molti leader politici e il pubblico più ampio, la composizione delle cause è probabilmente molto più complessa. Il problema rischia di diventare eccessivamente polarizzato. Gli smartphone e i social media sono probabilmente solo uno degli elementi, anche se potenti, in un insieme più ampio e pervasivo di megatendenze dannose che devono ancora essere pienamente comprese o controllate.”.
A corollario conclusivo sul tema cito l’articolo su doppio zero di Elena del Pra sul lavoro di Haidt e il capitolo 5, curato dal Prof Chittaro, Benessere, solItudIne e uso problematico nei social media del libro a quattro mani, mio e del Prof Chittaro, Le illusioni dei social media, dal quale emerge quanti e quali fattori (tempo, attività/passività, consapevolezza, stile di attaccamento etc) influenzano l’uso dei social media e dunque l’effetto positivo o negativo degli stessi.