Social: un attaccamento da comprendere

Il governo australiano vuole vietare l’uso della maggior parte dei social media ai minori di 16 anni. La relativa legge è stata favorevolmente accolta e dovrebbe essere approvata a breve per entrare in vigore tra un anno, tempo che tra l’altro serve al governo australiano a capire come attuare la censura, cosa tutt’altro che facile, al punto che per rendere operativo il divieto il governo si affiderà probabilmente alle stesse piattaforme.

Cosa si sa


Come rileva Elena Tebano in un approfondimento del Corriere di qualche giorno fa, il problema non è solo come mettere concretamente in atto la censura ma ancor prima sapere se e in che modo i social sono così dannosi per gli adolescenti da richiederla e se sia poi la misura giusta. A fronte di un preoccupante incremento dei disturbi psichici tra gli adolescenti ed i giovani in tutto il mondo – cui ho dedicato più articoli La crisi della salute mentale dei/delle giovani La crisi della salute mentale dei giovani (2) Determinanti e cause La crisi della salute mentale dei/delle giovani. (3) Cosa fare?– la connessione di causa effetto tra social e disturbi psichici è ancora tutta da verificare. Se Haidt e Twenge sostengono che gli smartphone sono l’unica novità che può spiegare il tempo e il modello della crisi di salute mentale giovanile e che pertanto bisogna agire subito vietandone e/o limitandone l’uso, altri studiosi sostengono che le cause della crisi della salute mentale giovanile sono molto più complessa e consigliano cautela con i divieti.

Strumento troppo debole 

Al punto che anche in Australia, come ricorda Elena Tebano, “più di 140 accademici esperti di tecnologia e benessere dei bambini hanno firmato una lettera aperta al premier australiano in cui si opponevano a un limite di età per i social media, ritenendolo «uno strumento troppo debole per affrontare i rischi in modo efficace”. Inoltre, come ricorda ancora Tebano, Jackie Hallan, direttrice del servizio di salute mentale giovanile ReachOut, ha fatto notare che il 73% dei giovani australiani che accedono al supporto per la salute mentale lo fa attraverso i social media.

Indice e gogne 

Che accademici e studiosi si dividano e si contrappongano sull’oggetto dei loro studi non è certo cosa nuova anche perché i fattori da considerare nel caso specifico sono tantissimi e complessi. E non è certo una novità nemmeno che sia difficile tradurre in pratica i risultati degli studi quand’anche si sia giunti ad un certo consenso degli stessi. Non mi sembra però di grande vantaggio per nessuno e certamente non per gli adolescenti che la discussione si riduca ad una sorta di censura dei social, una specie di nuovo Indice dei libri proibiti o addirittura di gogna per chi li usa, cui partecipano illustri colleghi.

Gli stili di attaccamento 

Provo allora a raccontare qui di seguito i risultati di alcuni studi che mi sembrano di grande importanza per comprendere meglio gli effetti dei social e prevenirne i danni. L’impatto psichico dei social dipende non solo dall’uso che se ne fa (passivo/attivo, consapevole/inconsapevole, aperto a svariati temi o monotematico etc), dal tempo d’uso ma anche dallo stile di attaccamento della persona che li usa, dallo stile cioè che guida ciascuno di noi in tutte le sue relazioni più importanti. Basandosi sull’osservazione dei rapporti tra madri e infanti, Bowlby e Mary Ainsworth sono riusciti a individuare quattro stili di attaccamento, cioè tipi di legame, che si instaurano entro i 18 mesi e rimangono sostanzialmente costanti per tutto il resto della nostra vita, influenzando l’intero nostro comportamento relazionale (scelta del partner, comportamento nel corso delle nostre relazioni, atteggiamento verso figure significative della nostra vita, etc.).

Quattro stili 

Sono, rispettivamente, l’attaccamento sicuro (F, free), insicuro-ansioso (E, entangled), insicuro-evitante (A, avoidant) e disorganizzato (U, unresolved). Nel caso dell’attaccamento sicuro il bambino e poi l’adulto trova nel rapporto sostegno, senza però lasciarsene intrappolare. Nel rapporto insicuro-evitante, il bambino, precocemente deluso dal rapporto con la madre, ricercherà perennemente l’autonomia temendo la delusione da ogni rapporto ravvicinato. Nell’attaccamento insicuro ansioso il bambino prima e l’adulto poi ricercheranno in continuazione la vicinanza della figura di riferimento prima e poi del/della partner poi, senza peraltro mai trovarne conforto fino in fondo. Si potrebbe anche dire che nei soggetti con attaccamento insicuro, i partner assumono una funzione di stabilizzazione senza peraltro che i soggetti ne abbiano consapevolezza. I bambini con un attaccamento disorganizzato hanno subito traumi talmente intensi e precoci da non riuscire ad organizzare uno stile di attaccamento ben definito e riescono solo a alternare sequenze di stili di attaccamento diversi. 

Social e stili di attaccamento 

I ricercatori di social media hanno dunque ipotizzato che lo stile di attaccamento influenzi non solo i rapporti con le persone nel mondo analogico, offline, ma anche quelli con gli utenti online e che dunque anche l’attaccamento sia, come ormai la nostra vita, “onlife” (Floridi).

Diversi studi hanno effettivamente riscontrato un’associazione positiva tra attaccamento ansioso e un maggior uso di social media. Altri studi hanno dimostrato che l’attaccamento ansioso è associato a un elevato tempo di permanenza notturna su social media e che l’attaccamento ansioso è fortemente correlato alla ricerca di conforto su social media, soprattutto quando si provano emozioni negative. Sembra infatti che l’uso del social soddisfi il bisogno di cure e affetto. Ciò innesca un circolo vizioso che induce a rinforzare e mantenere la permanenza sul social. Inizialmente i feedback ricevuti danno l’illusione di migliorare la percezione di sé o almeno di alleviare momentaneamente la visione negativa di sé ma l’incremento dell’uso porta con sé il rischio di un progressivo ritiro sociale oltre al fatto che con il tempo i feedback positivi tendono a diminuire riconfermando la percezione negativa dell’utente.
Altri studi indicano poi che individui con attaccamento ansioso utilizzano il social per sviluppare e mantenere le loro relazioni, per affrontare la paura dell’abbandono, per far fronte al rifiuto, per sentirsi parte di una comunità. Essi tendono a percepire cioè il social come un rifugio sicuro, una comunità in cui esprimere le proprie opinioni senza timore di eccessivi conflitti, che peraltro inevitabilmente insorgono. 

Altri studi dimostrano invece che individui con stile di attaccamento insicuro-evitante sono a minor rischio di dipendenza da social media

Gli studi relativi a individui con attaccamento sicuro confermano infine che questi ultimi utilizzano il social in modo positivo, presentando minor rischio di dipendenza. 

Quel ragazzo/quella ragazza 

Lo stile di attaccamento è naturalmente solo uno dei tanti fattori che influenzano l’impatto dei social sulle persone, in particolare sugli adolescenti. È tuttavia un fattore molto importante di cui si tiene sempre più conto anche in psicoterapia per meglio comprendere la relazione paziente-terapeuta nonché gli esiti della psicoterapia stessa. Perché allora fare per i social di tutta l’erba un fascio anziché distinguere tra casi così diversi? Non sarebbe forse meglio cercare di comprendere a quale scopo e come vengono utilizzati i social da quel ragazzo ragazza che ho di fronte a me? E dunque aiutarlo/aiutarla a usare i social come in modo diverso oppure a ricercare altrove e prima ancora in sé stessi un rifugio sicuro? Certo è più facile prendersela con i social come un tempo la Chiesa se la prendeva col modernismo. Si è visto con quali risultati.