Lo gnommero della vita e dell’AI


Lo Gnómmero non è ancora la parola dell’anno 2025 ma ha la concreta possibilità di diventarla. Certo, lo si sente appena la si pronuncia, non ha nulla a che fare con i neologismi dei social, delle generazioni z o alfa. Ma ha dalla sua un origine tutt’altro che banale. Come spiega Valeria Lazzaroli in un suo gustosissimo post  il concetto di gnommero è stato coniato da uno dei più geniali scrittori italiani del secolo scorso, Carlo Emilio Gadda per indicare quel “groviglio di eventi più o meno gravi con responsabilità e causalità come nodi apparentemente impossibili da districare” e dunque per descrivere “un sistema di relazioni caotiche in cui ogni elemento è interconnesso, rendendo vana la ricerca di una singola causa o colpevole.”
Gnommero” deriva infatti dal dialetto romano “gomitolo” ed assume dunque il significato letterale di “matassa ingarbugliata” per indicare una complessità che non può essere ridotta a una semplice spiegazione lineare. Lazzaroli ne ricava un ulteriore significato quello cioè di profonda frustrazione ed impotenza che l’individuo avverte di fronte ad una complessità che non può essere né schematizzata né controllata fino ad arrivare ad una sorta di “colpevolezza generalizzata”, nella quale ogni individuo è responsabile, ma nessuno lo è pienamente.


Lo gnommero reale 

Se vi trovaste ad esempio, come è capitato all’improvvido sottoscritto a vagare per la Stazione Termini di Roma in un giorno di quasi festa alla ricerca di una valigia colpevolmente dimenticata o quantomeno lasciata incustodita su un treno regionale, vi rendereste subito conto che anche l’ufficio oggetti smarriti è un gnommero non solo nella sua dimensione fisica ma anche in quella concettuale. Non si tratta solo della procedura kafkiana necessaria per accedere all’ufficio stesso (ha fatto denuncia? Ah, ma solo telefonica non basta, serve cartacea all’ufficio informazioni fs … sì ma non quello centrale … era un treno regionale no?) ma della stessa presenza fisica di un tale ufficio, sostenuta da alcuni e negata da altri, tutti appartenenti alla stessa categoria, invero alquanto vasta, degli impiegati delle FS. Se per una gentile addetta l’ufficio si trova al binario 24, per un altro è dietro il binario 24, sa va sans dire,  senza segnalazione. Ma c’è anche chi, tra gli stessi impiegati, sostiene che il suddetto ufficio non esiste (e che la richiesta di farlo esistere sia un problema mentale del richiedente che è pertanto invitato a rivedere criticamente i propri schemi mentali se non la propria stessa condizione mentale).


Processo kafkiano e gnommero gaddiano

 

Il collega a fianco dello stesso impiegato – da me apostrofato con un termine indicativo della mia effettivamente ridotta capacità di riflessione e mentalizzazione al momento- mi spiega invece essere appunto la realtà uno gnommero, nel senso che l’ufficio oggetti smarriti effettivamente non esiste. A fianco del binario 24 si troverebbe però un k.point presso il quale, volendo, si potrebbe andare a verificare se, magari, l’oggetto smarrito si fosse per caso materializzato lì. Appartenendo però l’oggetto smarrito alla categoria “regionale” e non “freccia” anche il k.point cessa di esistere, sostituito da un gabbiotto volante all’inizio del binario 24 dove vengo gentilmente inviato a compilare una nuova denuncia naturalmente cartacea, non essendo attualmente nessun impiegato in servizio né in presenza né in home Office all’ufficio innominato e innominabile nonché introvabile ove gli oggetti smarriti si materializzano.

Lo gnommero metaforico

Ma esiste appunto anche un significato metaforico dello gnommero, che rappresenta la struttura aggrovigliata della vita, fatta di eventi, emozioni e significati che si intrecciano e si condizionano a vicenda, un insieme di fili intricati, consci e in gran parte inconsci, spesso indecifrabili, un enigma senza una soluzione chiara e definitiva. Cosa mi ha portato a dimenticare, quantomeno lasciare incustodita la mia valigia in treno? Per la seconda volta, sullo stesso percorso? Qualcosa di troppo pesante che non volevo portare con me o piuttosto un deficit con cui volevo farmi cogliere? Fino a che punto riusciamo ad essere responsabili per le nostre azioni e soprattutto perché ci è così difficile accettare di non averne pienamente il controllo?


Lo gnommero e l’inconscio 

Lo gnommero ci ricorda anche questo, che non siamo padroni di noi stessi, anche se è fortemente augurabile che, con tutte le nostre forze cerchiamo di esserlo e di renderci conto di quanto non lo siamo. Lo gnommero sono dunque anche i percorsi tortuosi, i labirinti del nostro cuore e della nostra mente, per esprimere i quali non bastano rappresentazioni schematiche e semplificate, servono “architetture labirintiche” come quelle appunto dello stile di Gadda, che secondo Magris, è una continua ricerca di senso, senza mai giungere a una verità definitiva. Al di là delle facili banalizzazioni secondo le quali lo scopo è il cammino stesso, effettivamente il senso della vita, come dice Pierre in Guerra e pace, il senso della vita è vivere, e la faticosa ricerca di ogni piccolo tassello di verità, rinunciando a suggestive quanto improbabili immagini a volo d’uccello l’unica realistica speranza. Da questo punto di vista chiarire di volta in volta, con atteggiamento aperto quanto umile e modesto, i nostri pensieri, le nostre emozioni ed intenzioni così come quelle altrui, in uno scambio sincero ed al tempo stesso non totalizzante, come ci consiglia di fare la mentalizzazione, è anche l’unica possibilità per dialogare con noi stessi e con gli altri in modo partecipe e non ostile. Abbiamo d’altro canto bisogno anche di una empatia non sempre mentalizzante, di una vicinanza calorosa ed amichevole che non richieda spiegazioni e riflessioni ma solo una partecipe presenza se vogliamo sentirci esseri umani.

Lo gnommero artificiale 


Esiste infine un gnommero digitale o meglio artificiale, quello che risulta dall’interazione non sempre semplice tra noi esseri umani e i prodotti della nostra tecnica, le macchine. Quando ho chiesto a ChatGPT di integrare la mia non più fresca memoria, indicandomi il passo der”Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” in cui Gadda descrive lo gnommero, ecco che cosa mi ha risposto:
“Sì, uno dei passaggi più celebri in cui Carlo Emilio Gadda fa riferimento allo **”gnommero”** si trova in *”Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”*. Ecco un estratto emblematico:

> *”…lo *gnommero*, la matassa imbrogliata delle cose, dove un filo tira l’altro e tutto se strigne, se ‘ntraversa, s’ammiscela co’ n’artro, pe’ cui nun è facile capì chi ha fatto che, e perché l’ha fatto, e che c’entra quell’antro pezzetto de filo all’estremità opposta…”*

Peccato che il passo sia completamente inventato, ammissione fatta da ChatGPT solo dopo che l’ho colto in fragrante

“Sì, hai ragione! È un classico esempio di “allucinazione” del modello: ho costruito un passaggio credibile ma inesistente, basandomi su descrizioni coerenti con lo stile di Gadda, ma senza un riferimento testuale preciso. La metafora dello “gnommero” è così evocativa che è facile cedere alla tentazione di attribuire citazioni immaginarie a un autore così complesso.”
Il ché conferma peraltro che quelle di charGPT sono confabulazioni ( “formulazione verbale incoerente, fantastica e mutevole, dovuta essenzialmente a un grave disturbo della memoria di fissazione”) e non allucinazioni, ma questo sarebbe un altro discorso. Rimane il dato di fatto che anche nel continente digitale, che noi stessi abbiamo creato, e in particolare nel nostro rapporto con l’AI non siamo padroni di noi stessi e del rapporto stesso e che dobbiamo sempre mantenere un atteggiamento mentalizzante, cioè di riflessione critica, non pregiudiziale, ma invece aperta ed umile, basata sul principio e sull’esperienza di non sapere e dunque sulla necessità di instaurare con il nostro prossimo ed anche con le macchine a noi prossime un rapporto aperto alla collaborazione e al confronto.