L’ombra del nostro inconscio collettivo

Come siamo arrivati qui? Intendo all’immagine dei migranti in catene esibita dal sito ufficiale della Casa Bianca come tangibile prova di una promessa elettorale esaudita? Al saluto fascista di Musk, ai progetti di „remigrazione“ del partito AfD tedesco, alla liberazione e alla riconsegna alla Libia su apposito aereo da parte dell’Italia di un criminale ricercato dalla Corte penale internazionale?

La moviola

Proviamo a guardare insieme la moviola collettiva per osservare al rallentatore come l’inconscio collettivo si sia mosso negli ultimi anni. Ma da dove partire? Provo a farlo, del tutto arbitrariamente e avventatamente, dal 1992, quando esce la celebre opera di Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo (The End of History and the Last Man), in cui Fukuyama teorizzava che la fine della Guerra Fredda avrebbe segnato il trionfo definitivo della democrazia liberale e del capitalismo come modelli universali, pur esplorando anche i limiti e le contraddizioni del modello liberale.

Eravamo allora reduci dall’euforia della caduta del muro di Berlino e stavamo sperimentando la globalizzazione come metodo di sviluppo destinato a portare ricchezza non solo all’occidente ma anche al terzo mondo.

Paura liquida

Dubito che qualcuno abbia mai potuto prendere sul serio la tesi di Fukuyama ma il fatto stesso che sia stata formulata e sostenuta è significativo di quella, ora quasi incomprensibile, temperie culturale. Già allora peraltro Zygmunt Bauman evidenziava che la fine delle certezze del passato e la globalizzazione inducono una frammentazione sociale e una perdita di punti di riferimento stabili.  In „Paura liquida“ Bauman scriveva “i rapporti cessano di essere àmbiti di certezza, tranquillità e benessere spirituale, per diventare una fonte prolifica di ansie“ 

Retrotopia

Nella sua ultima opera, Retrotopia, il sociologo polacco preconizzava addirittura l’andamento all’indietro dello spirito del tempo, reinterpretando le parole con cui all’inizio degli anni Quaranta Walter Benjamin, nelle Tesi di filosofia della storia, commentava l’Angelus Novus – da lui ribattezzato «angelo della storia» – dipinto nel 1920 da Paul Klee. Se per Benjamin l’angelo della storia ha il viso rivolto al passato – che gli appare come un cumulo di rovine – e la tempesta, impigliata nelle sue ali, lo sospinge inesorabilmente verso il futuro, ora, sostiene Bauman, si assiste ad un cambio di rotta. Il volto dal passato si rivolge adesso al futuro e la tempesta spira dall’inferno del futuro, “temuto prima ancora che accada”, verso il paradiso del passato. “Tocca ora al futuro, deprecato perché inaffidabile e ingestibile, finire alla gogna ed essere contabilizzato come voce passiva, mentre il passato viene spostato tra i crediti e rivalutato, a torto o a ragione, come spazio in cui la scelta è libera e le speranze non sono ancora screditate.” Sembra proprio che Bauman sia riuscito a scorgere i segni del nostro inconscio collettivo prima di molti altri, anche se ciò alla fine poco conta. Il dato di fatto è piuttosto che il movimento del nostro inconscio collettivo non sembra essere troppo creativo essendo centrato su una preoccupante oscillazione tra avanti e indietro.

Le rivoluzioni social

La propaggine social del digitale, i social media appunto, sembrava almeno promettere rivoluzioni e liberazioni “dal basso”, al punto da ipotizzare che le piattaforme digitali avessero svolto un ruolo cruciale nell’organizzazione, diffusione e documentazione dei movimenti di protesta che hanno poi portato tra il 2010 e il 2012 alle cosiddette “Primavere arabe”. Successivamente è tuttavia risultato evidente non solo che il ruolo dei social era stato di gran lunga sopravvalutato ma soprattutto che, come ha sottolineato Morozov, i governi autoritari possono utilizzare le informazioni condivise sui social media per monitorare e controllare i cittadini, come è avvenuto e tutt’ora avviene in numerosi stati autocratici.

Il potere oscuro delle piattaforme

Non solo. Lo scandalo di Cambridge Analytica, emerso pubblicamente nel 2018, ha mostrato il potere oscuro dei big data e i pericoli dell’abuso di potere da parte delle aziende tecnologiche. È stato infatti rivelato che l’azienda, una società britannica di consulenza politica e analisi dei dati, aveva raccolto illegalmente i dati di milioni di utenti di Facebook senza il loro consenso per influenzare elezioni e campagne politiche in vari paesi. Negli ultimi anni poi il pendolo del sentimento collettivo relativo ai social si è ulteriormente spostato verso il polo negativo, al punto che i social sono stati considerati e dichiarati negli Stati Uniti un germe patogeno e recentemente in Australia banditi ai minori di 16 anni. Anche nel caso dei social il pendolo del nostro sentire collettivo, sovraccarico di stimoli e informazioni e sempre più vulnerabile, sembra oscillare da un polo all’altro senza conoscere soste al centro. D’altro canto che pendolo sarebbe?

Grande recessione e Shock economy

La crisi economica del 2008, originatasi negli Stati Uniti per poi diffondersi a livello globale, ha avuto conseguenze devastanti per mercati finanziari, imprese e lavoratori provocando non solo disoccupazione e impoverimento ma anche uno stato di panico generalizzato a livello collettivo. Naomi Klein nel suo saggio “Shock economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri” descrive come il neoliberismo sfrutti proprio il caos e la paura indotti da eventi traumatici per implementare politiche economiche neoliberiste che, in condizioni normali, incontrerebbero una forte opposizione. La paura non è dunque solo una risposta naturale a una minaccia, ma diverrebbe un’emozione deliberatamente manipolata da chi detiene il potere. L’inconscio collettivo, spinto dall’angoscia, diventa più docile e accetta restrizioni alla libertà.

La società della stanchezza

Il filosofo Byung-Chul Han, in uno dei suoi tanti, non proprio multiformi, saggi dedicati all’attuale società neoliberista e iper tecnologizzata, “La società della stanchezza”, descrive l’autosfruttamento e l’isolamento come caratteristiche del capitalismo avanzato con conseguente perdita della capacità di agire collettivamente. (Ma presto in libreria ci farà trovare la Speranza).

La morte del prossimo

Con straordinaria finezza psicologica e acume interpretativo, Luigi Zoja, nel suo (splendido) “La morte del prossimo” evidenzia che la solitudine non è solo una condizione personale, ma una patologia sociale che minaccia la nostra stessa capacità di immaginare una comunità. “Col volgere del secolo XX in secolo XXI – scrive Zoja – cede in modo irrimediabile anche il secondo pilastro del comandamento [Ama Dio e ama il prossimo tuo come te stesso]: l’uomo metropolitano si sente sempre piú circondato da estranei. È dunque tempo di pensare al sequel di Nietzsche, e dirci apertamente che è scomparso anche il prossimo.” Si potrebbe affermare allora che il nostro inconscio collettivo oscilla anche in questo caso tra una disperata ricerca di connessione con persone lontane e il rifiuto del prossimo. Da quello del vicino di casa, di scompartimento, di quartiere fino a giungere al respingimento, al mancato soccorso, all’arresto con catene ai piedi dei migranti, presentati come il nemico, la causa, anziché l’epifenomeno, della crisi, del malessere finanziario e sociale.

Paranoia

Il meccanismo sottostante è quello ben noto della paranoia, illustrato nell’omonimo saggio di Zoja che la interpreta come risposta inconscia all’angoscia collettiva.  Quando cioè l’inconscio collettivo è dominato dalla paura, il nemico, sia esso una nazione o una comunità percepita e presentata come estranea alla propria, (ebrei, zingari, LGBT, migranti) diventa il capro espiatorio necessario per ritrovare un’illusoria coesione sociale. Non a caso Trump, oltre a far mettere in catene i migranti clandestini, ha chiuso tutti gli uffici federali per la diversità e l’inclusione, ritornando anche in questo caso al passato e alla sola accettazione dei due generi maschile e femminile. Come sostiene infatti Wendy Brown, nel suo “Undoing the Demos”, la politica neoliberista non si basa sull’inclusione, ma sull’estrazione: del potere economico, del consenso politico e persino della speranza collettiva. Tutto ciò avviene tuttavia, come sostiene Byung-Chul Han in Psicopolitica, non con la coercizione esplicita ma con la manipolazione psicologica. L’angoscia collettiva viene canalizzata in una politica di paura che legittima misure autoritarie

Il riemergere dell’ombra

Dall’elenco per quanto arbitrario e parziale degli eventi e dei conflitti che ho illustrato credo risulti evidente quanto, sotto l’apparente perfezione della post-modernità iper tecnologica, si nascondano o meglio vengano rimosse paure profonde. Il fallimento delle promesse neoliberiste ha alimentato disillusione e paure sia esistenziali che dí perdita di ruoli prestabiliti. L’isolamento e la dissoluzione dei legami sociali hanno reso gli individui vulnerabili. La manipolazione della paura e dell’informazione ha creato un terreno fertile per derive autoritarie.

Fuga dalla libertà

In questo clima di forte disorientamento, vulnerabilità, incertezza ed angoscia sempre pronta a trasformarsi in panico rimane quanto mai attuale il concetto chiave di Erich Fromm. Nel suo Fuga dalla libertà lo psicoanalista evidenzia come il nostro percorso di individuazione porta inevitabilmente con sé la rottura ed il superamento dei legami con i nostri genitori, le nostre tradizioni, i nostri sistemi di riferimento e determina una condizione di solitudine, impotenza, smarrimento. Se non riusciamo a superare questa angosciante solitudine non ci rimane che il “conformismo da automi”. Il prezzo è la sottomissione passiva al potere (politico, finanziario o mediatico di turno) la perdita dunque della nostra autonomia e libertà.

“Tuttavia, se le condizioni economiche, sociali e politiche… non offrono una base per la realizzazione dell’individualità nel senso appena descritto, mentre allo stesso tempo le persone hanno perso quei legami che davano loro sicurezza, questo divario rende la libertà un peso insopportabile. Diventa allora identica al dubbio, a un tipo di vita priva di significato e direzione. Emergono potenti tendenze a fuggire da questo tipo di libertà attraverso la sottomissione o qualche forma di relazione con gli altri e con il mondo che promette sollievo dall’incertezza, anche se priva l’individuo della sua libertà.”(Erich Fromm, Fuga dalla libertà)

Il nostro inconscio collettivo sembra attualmente fortemente gravato da quest’ombra che ci porta a cercare rifugio in autorità e soprattutto personalità apparentemente forti, che sanno sfruttare le nostre paure, incertezze, offrendoci protezione ed ordine, a loro modo. Con catene più o meno visibili. La brutalità della foto dei migranti in catene forse ci fa vedere oltre alle loro, le nostre, più invisibili ma non meno paralizzanti. La lotta per liberarci non è mai finita.