La sofferenza di Marta
Cosa accade oggi a un adolescente in cura per disturbi mentali quando compie 18 anni? La storia di Marta ci aiuta a capirlo. Marta ha quasi 17 anni quando, dopo mesi di silenzi, liti con i genitori e con le amiche, crisi di pianto, idee suicidarie e gesti di autolesionismo (si scalfisce superficialmente le braccia fino a farle diventare un reticolo di sofferenza nel tentativo di scaricare la tensione), riceve una diagnosi di disturbo borderline di personalità e inizia un percorso presso la neuropsichiatria infantile della sua ASST. Entra in contatto con un’équipe multidisciplinare: una psichiatra che la segue regolarmente, una psicoterapeuta, un’educatrice che l’accompagna nel reinserimento scolastico – è una ASST modello, anche se sulla suddivisione un po’ rigida dei compiti si potrebbe discutere. I genitori, inizialmente smarriti, trovano finalmente un punto di riferimento e Marta inizia lentamente a migliorare.
Quando Marta compie però i 18 anni la presa in carico, per legge, deve passare alla psichiatria per adulti. Le viene garantito un “colloquio di transizione”, un incontro unico tra le due équipe. Ma i tempi sono lunghi: il passaggio effettivo avviene dopo diversi mesi. Marta, intanto, si sente “scaricata”. Il nuovo psichiatra non la conosce, la visita dura 25 minuti (magari!) il setting è freddo. Nessuno parla più con i genitori, che tornano a sentirsi esclusi.
La soglia dei 18 anni
Nel frattempo, la psicoterapia si interrompe perché il nuovo centro non ha disponibilità. Marta, si chiude in casa, abbandona la scuola. Dopo sei mesi viene portata in Pronto Soccorso per una ferita auto-infertasi al polso molto più profonda del solito. È il primo di due ricoveri in un anno nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura. I ricoveri in un reparto super affollato durano pochi giorni ed hanno l’unico risultato di agganciare in modo stabile la giovane paziente al CPS, il centro psico sociale, altrettanto, se non ancora più oberato del reparto di psichiatria, e che dovrebbe costituire il pilastro dell’assistenza psichiatrica pubblica.
Questo esempio mostra come, in assenza di un programma apposito per la fascia 14–24 anni, il passaggio dalla neuropsichiatria infantile alla psichiatria dell’adulto possa rappresentare un trauma secondario. Non è solo una questione organizzativa: è una questione identitaria. L’adolescente si trova nel momento più fragile della vita e invece di una continuità riceve una frattura, uno sradicamento, come viene ben illustrato dal documento della commissione Lancet sulla crisi della salute mentale dei giovani cui avevo dedicato una serie di articoli
Quello di Marta è solo uno dei purtroppo numerosissimi esempi di inadeguate prese a carico psichiatriche e psicoterapeutiche che non riempiono la cronaca dei quotidiani nazionali – spesso più preoccupati dai catastrofici pericoli dell’intelligenza artificiale – ma appesantiscono talvolta fino allo sfinimento la vita dei pazienti e delle loro famiglie.
Il lavoro di gruppo di sei studenti
Innanzitutto per questo ho trovato quanto mai prezioso il lavoro di gruppo di sei studenti dell’Università Commerciale “Luigi Bocconi”, in collaborazione con Umanamente, che hanno individuato nella salute mentale “una priorità non più rimandabile”, andando ad analizzare dettagliatamente per la Regione Lombardia il trend in crescita dei disturbi mentali e i mezzi insufficienti con cui l’SSN cerca di rispondere. Il presupposto iniziale è stato l’individuzione di una serie di criticità nel settore sanitario lombrado a cui dedicare un ipotetico aumento del 4% della quota destinata alle aziende ospedaliere. Come si può dedurre dal report completo , esposto per esteso sul sito di umanamente, queste sono le principali criticità:
Sovraccarico dei Centri Psico-Sociali (CPS) e dei pronto soccorso
“gli accessi nei pronto soccorsi lombardi di pazienti psichiatrici sono superiori alla media nazionale mostrando un sovraccarico dei pronto soccorsi e una chiara carenza assistenziale preventiva e pregressa”. Inoltre “una percentuale non trascurabile dei pazienti viene riammessa nei reparti di psichiatria entro pochi giorni dalla dimissione”
(Degenze psichiatriche più lunghe rispetto alla media nazionale)
“Tale valore non ha tuttavia un’interpretazione univoca (in assenza di altre informazioni) dato che potrebbe essere dovuto a cure più approfondite (e dunque una maggiore efficacia) ma potrebbe essere anche la conseguenza di ritardi nelle dimissioni (e dunque indicativo di una scarsa efficienza, a causa dello spreco di risorse) – dubito fortemente!. All’interno della regione, le ATS mostrano evidenti disparità: alcune gestiscono percorsi di dimissione più rapidi, mentre altre hanno tempi medi molto più lunghi”
Grave carenza di psichiatri e medici nei Dipartimenti di Salute Mentale
I grafici annessi al report indicano “un’evidente carenza di personale medico e psichiatri all’interno dei DSM lombardi: i numeri sono inferiori alla media nazionale e il problema dei sovraccarichi è anche legato alla carenza di personale medico”.
Offerta insufficiente di posti letto nelle strutture residenziali e semiresidenziali.
“Per quanto riguarda le strutture residenziali e semiresidenziali, la Lombardia sembra offrire un numero di posti letto per abitante inferiore ai benchmark. Tuttavia, il numero di utenti effettivamente presenti in queste strutture è quasi sempre maggiore rispetto alle altre regioni, suggerendo un elevato tasso di occupazione dei posti disponibili. Analizzando i posti letto in strutture ospedaliere psichiatriche, la Lombardia presenta una capacità allineata con il Piemonte e la media nazionale, ma inferiore all’Emilia-Romagna.”
“Un’ulteriore problematica della regione Lombardia è quella della copertura non uniforme del territorio. Al contrario, le strutture che si occupano di salute mentale dovrebbero essere distribuite in modo capillare per una serie di ragioni: accessibilità per tutti, continuità e prossimità delle cure, integrazione con i servizi territoriali, riduzione del rischio di ospedalizzazione forzata”
Discontinuità assistenziale nella transizione adolescenza–età adulta
È il problema che ha fatto a lungo soffrire Marta e con lei tante altre ragazze e ragazzi. Il passaggio dalla Neuropsichiatria infantile alla psichiatria per adulti, imposto dalla legislazione attuale al compimento della maggiore età, dovrebbe avvenire tramite un’équipe di transizione che si rivela però, per vari motivi, insufficiente per consentire un adeguato passaggio di presa a carico.
Questo causa spesso un abbandono del processo di terapia da parte dei pazienti – o il ricorso al settore privato che però non può fornire lo stesso tipo di servizio – al punto che oltre il 40% dei ragazzi/ragazze già in trattamento si perde in questa fase di transizione.
Proposta di un modello innovativo per l’allocazione delle risorse, basato su indicatori previsionali e strutturali.
Come scrive uno degli estensori, Matteo Corti, “l’elaborato non si limita alla sola individuazione delle criticità e alla destinazione delle risorse in maniera analitica, ma ha l’ambizione di sviluppare un modello di governance per una gestione efficiente e coerente con le finalità desiderate. L’analisi propone la creazione di un comitato tecnico regionale di salute mentale grazie al quale si possano definire i criteri di riparto e l’allocazione dei fondi, garantendo in questo modo equità, trasparenza e coerenza tecnica. Il comitato si impegnerebbe poi a mantere un dialogo costante con le ATS e le ASST coinvolte affinché si possa creare un ciclo di feedback fondamentale per una corretta rendicontazione.”
Rassegnazione o innovazione?
E qui, da psichiatra italiano 63enne espatriato in Svizzera da 30 anni, mi viene spontaneamente da sospirare sugli ottativi e sulle ambizioni degli estensori. Ma forse uno dei tanti problemi che affligge la sanità italiana e l’Italia in generale sono proprio questi rassegnati sospiri che non consentono di immaginare altro che la prosecuzione dell’esistente e cioè di una burocrazia sanitaria, legata a filo doppio con la politica locale, che divora mezzi finanziari in modo inefficiente, mentre al tempo stesso le strutture sanitarie pubbliche non vengono dotate delle risorse di personale, mezzi e formazione che sarebbero necessarie per fornire a tutti i cittadini e soprattutto alle categorie più fragili un’assistenza sanitaria equa ed adeguata.
Confronto con analoghi studi europei
Il confronto con analoghi studi europei dimostra che nelle regioni europee più avanzate vige un approccio preventivo e integrato, viene investito di più nella transizione adolescenziale, la cultura della valutazione è molto più sviluppata e l’equità territoriale meglio garantita.
In molte regioni europee avanzate, la salute mentale è integrata nei servizi di base (es. medici di famiglia con formazione psichiatrica, team multidisciplinari nei quartieri). In Lombardia permane una forte separazione tra servizi, con discontinuità nell’assistenza.
In paesi come Norvegia o Olanda esistono servizi specializzati per i giovani (14–25 anni), con protocolli continui e unità dedicate, che in Lombardia risultano ancora in gran parte assenti.
A livello europeo si tende a utilizzare KPIs outcome-based, come qualità della vita post-trattamento, tassi di reinserimento sociale/lavorativo, e soddisfazione dell’utente.
Sistemi come quello danese garantiscono una distribuzione capillare dei servizi sul territorio, mentre in Lombardia si riscontra una marcata disuguaglianza tra ATS.
La perfida intelligenza artificiale
Stimolato dall’entusiasmo di questi sei giovani, sono andato oltre la rassegnazione e ho chiesto ad una di quelle intelligenze artificiali, destinate a segnare l’estinzione della nostra specie ;-), quali suggerimenti avesse da offrire dopo aver analizzato lo studio. Premesso di non avere alcuna competenza di programmazione sanitaria e basandomi dunque solo sulla mia esperienza clinica, le mie datate conoscenze teoriche e le mie connessioni sinaptiche in via di estinzione, mi sembra che le proposte di ChatGPT, per quanto forse tese a sopraffare il genere umano ;-), siano non prive di ingegno. Con un coraggio che rasenta l’incoscienza mi permetto di riportarle 😉
Co-produzione dei servizi con utenti e caregiver
Lo studio si concentra su una governance tecnico-istituzionale (Regione–ATS–ASST). In molti paesi europei si promuove la “co-design” dei percorsi terapeutici, che aumenta l’aderenza alle cure e riduce gli abbandoni, soprattutto nei giovani adulti. Da qui l’idea di attivare tavoli territoriali con utenti, caregiver, associazioni per raccogliere bisogni reali e co-costruire interventi (es. gruppi di advocacy o peer support).
Integrazione Salute Mentale–Scuola–Lavoro
Il report evidenzia l’urgenza di agire sulla fascia 14–24 anni. In questo ambito le scuole, le università e i servizi per l’impiego potrebbero giocare un ruolo importante ad es. creando sportelli psicologici stabili in scuole e università, e programmi di reinserimento lavorativo protetto per giovani e adulti, magari con incentivi per le imprese che assumono persone con diagnosi psichiatrica.
Sfruttare la transizione digitale per la salute mentale
Il documento cita il SISS lombardo, ma il potenziale di strumenti digitali per screening, terapia online, monitoraggio di follow-up e prevenzione personalizzata potrebbe essere ulteriormente incrementato sviluppando app regionali o piattaforme digitali di salute mentale per facilitare l’accesso, la continuità e l’empowerment dei pazienti.
Misurazione del “valore sociale” e indicatori qualitativi
Lo studio si basa su indicatori strutturali (posti letto, accessi, personale), che potrebbero però venire integrati da strumenti di valutazione qualitativa (soddisfazione, qualità della vita, reintegrazione sociale). Da qui l’idea di introdurre indicatori di valore sociale e benessere soggettivo, magari sviluppando un cruscotto di indicatori “multidimensionali” per ogni ATS, ispirato al BES (Benessere Equo e Sostenibile) di ISTAT.
Rafforzare la salute mentale come leva di coesione territoriale
La forte disomogeneità tra ATS suggerisce che la salute mentale può diventare un ambito di riequilibrio territoriale e contrasto alla marginalità. Ragion per cui si potrebbero prevedere fondi perequativi permanenti per le ATS più fragili e incentivare operatori a lavorare nelle aree meno servite, anche con benefit logistici, alloggi o incentivi economici.
Attivare una valutazione indipendente degli esiti
Il modello di allocazione proposto è interessante, ma la valutazione è affidata agli stessi attori che gestiscono i fondi (ATS, CTR). Questo rischia di costituire una mancanza di imparzialità per cui si potrebbe istituire un osservatorio regionale indipendente o collaborare con centri universitari per valutare gli esiti e suggerire miglioramenti (es. Cergas Bocconi, Istituto Mario Negri, ecc.).
Considerazioni finali
Sono temi complessi che non si possono certo analizzare e discutere in un post. Mi auguro tuttavia che qualcosa rimanga e faccia riflettere: L’entusiasmo competente e diligente di sei giovani studenti. L’importanza di tutelare, non a parole ma con risorse di mezzi, personale e formazione, la salute mentale di tutti i cittadini, soprattutto di quelli più fragili, quali sono attualmente i giovani, nonché delle fasce economicamente più disagiate e delle categorie a rischio. La necessità di una seria programmazione sanitaria pubblica, che non può prescindere da tutti i parametri indicati, compresi indicatori quantitativi e qualitativi per evitare di spendere male e offrire servizi scadenti o addirittura inesistenti. E infine l’imprescindibile utilità del digitale, “uno strumento potente per migliorare l’ambiente, l’economia e la società, ma al tempo stesso una sfida da rendere sostenibile” (Stefano Epifani). È tempo di passare dalla diagnosi alla cura. Anche del nostro sistema.
Suggerimento musicale: Franco Battiato, la cura