Rage bait o fiducia? Due parole per leggere la temperatura emotiva del nostro tempo

C’è una sensazione diffusa, difficile da ignorare: la rabbia sembra più presente, più esibita, meno trattenuta. Non solo nei social network o nei talk show politici, ma nel linguaggio quotidiano, nei gesti, nelle posture. Come se qualcosa si fosse allentato nei freni inibitori che, per lungo tempo, hanno regolato l’espressione dell’aggressività.

Crescita della rabbia 

Non è solo una percezione soggettiva. Negli ultimi anni, la letteratura scientifica su rabbia e aggressività è cresciuta in modo significativo: analisi bibliometriche mostrano un aumento costante delle pubblicazioni dedicate a questi temi, soprattutto dopo la pandemia. Un indice significativo che il fenomeno rabbia sta diventando clinicamente e socialmente rilevante.

In parallelo, grandi studi internazionali sulla salute mentale dei giovani indicano un aumento di irritabilità, rabbia e difficoltà nella regolazione degli impulsi, in particolare tra adolescenti e giovani adulti. Non necessariamente più violenza fisica, ma più reattività, meno capacità di mentalizzare l’esperienza emotiva prima di agire.

 

Parola 2025 per L’Oxford English Dictionary: rage bait 


Dentro questo clima si inserisce perfettamente la parola scelta dall’Oxford English Dictionary per il 2025: rage bait. Non un semplice neologismo, ma la descrizione di una strategia comunicativa online sistematica: contenuti social progettati per suscitare indignazione, rabbia, polarizzazione, perché sappiamo che la rabbia cattura l’attenzione, fidelizza, crea appartenenza contro qualcuno.


Il piacere di distruggere 


Proprio alla rabbia e alle sue conseguenze è dedicato non a caso  „Il piacere di distruggere. Elementi del fascismo democratico“ – che ho qui recentemente recensito. Il saggio analizza dal punto di vista sociologico la trasformazione in senso aggressivo ed autoritario delle società occidentali, in particolare in Germania e negli Stati Uniti. Il libro prova a comprendere e spiegare da dove nasca il consenso verso forme nuove di autoritarismo, ciò che gli autori definiscono “fascismo democratico”: un fascismo che non si impone con la forza, ma cresce dentro il risentimento, viene legittimato dal voto e alimentato da un clima emotivo in cui distruggere l’altro appare più gratificante che comprenderlo.

In questo quadro, la distruzione non è solo fisica o istituzionale. È distruzione del legame, del dialogo, della possibilità di riconoscere nell’altro una mente distinta dalla propria. Distruggere diventa una scorciatoia psichica: sospende il pensiero, riduce la complessità, restituisce un’illusione momentanea di controllo.

Parola 2025 per la Treccani: fiducia 

Eppure, nello stesso anno 2025, la Treccani ha scelto come parola dell’anno fiducia. Una parola fragile, quasi anacronistica. Fiducia non come ingenuità, ma come atto rischioso, come disponibilità a esporsi all’altro senza garanzie preventive.
Certo la fiducia – come il coraggio per Don Abbondio – uno non se la può dare. Non basta invocarla, e nemmeno desiderarla. La fiducia è un processo, una costruzione lenta, che richiede condizioni precise.

Mentalizzazione e fiducia 

Qui entra in gioco la mentalizzazione: la capacità di riconoscere che il comportamento dell’altro è mosso da stati mentali – emozioni, intenzioni, convinzioni – che non coincidono automaticamente con i nostri.
La mentalizzazione non elimina il conflitto, ma lo rende pensabile. Introduce una pausa tra stimolo e risposta, tra rabbia e azione. È una pratica – clinica, educativa, relazionale – che crea lo spazio per pensare e sentire nel rapporto con se stessi e con gli altri. Senza questa pausa, la fiducia è credulità; con essa, diventa una competenza condivisa.

 

Fonagy e la fiducia epistemica 


Qui il pensiero di Peter Fonagy offre un contrappunto decisivo. La sua nozione di fiducia epistemica indica la capacità di considerare l’altro come una fonte potenzialmente affidabile di significato, non come un avversario da smascherare. Quando questa fiducia si erode, ogni messaggio viene letto in chiave sospettosa; e la rabbia diventa una risposta quasi automatica, una difesa preventiva.


In un ecosistema comunicativo che premia la reazione rapida e l’emozione forte, la rabbia è efficiente, mentre la fiducia è lenta, costosa, faticosa. Ma senza fiducia – nelle relazioni, nel linguaggio, nelle istituzioni – la rabbia perde la sua funzione di segnale e diventa struttura, identità, destino.

 

Define Good 


Forse è per questo che quell’immagine del bambino seduto sulle ginocchia di Babbo Natale continua a disturbare. Non perché smascheri un’illusione infantile, ma perché mostra una richiesta adulta formulata con voce infantile: definisci il bene. Dimmi dove sta il confine, dimmi perché dovrei fidarmi, dimmi che cosa vale la pena difendere senza dover distruggere qualcuno.


In un tempo in cui il rage bait offre risposte immediate e la rabbia promette identità, quella domanda resta sospesa. E senza una risposta condivisa, la tentazione è sempre la stessa: sostituire il senso con la forza, il dialogo con l’attacco, la complessità con la semplificazione aggressiva.


Forse allora la domanda del bambino non è rivolta a Babbo Natale, ma a noi. E la risposta non può essere uno slogan né un algoritmo. Può solo essere un modo diverso di stare nella relazione.


Buon 2026 all’insegna della fiducia

 

Immagine tratta da @IrenaBuzarewicz 

Suggerimento musicale: How to disappear completely 

  • Rosa |

    Aggiungerei ciò che scrive J.Sandler : la rabbia, l’aggressività sono risposte al dolore psichico e quindi dipende da come ciascuno di noi trova un modo per esprimerle. Può essere un modo autodistruttivo (disturbi alimentari, psicosomatici,ecc…), o un modo etero distruttivo, ma può assumere un carattere costruttivo se manteniamo, ad es., la capacità di indignarci per le ingiustizie, le guerre, le violenze, ecc., mantenendo la fiducia di poter costruire “un mondo migliore “. Ciao Giuliano,, un abbraccio 🌹

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