A ciascuno di noi è probabilmente capitato almeno una volta di guidare in condizioni di stanchezza tali, da non ricordarsi poi nulla del tragitto (abituale) percorso. Ringraziando Dio o la buona sorte per lo scampato pericolo, ci chiediamo, meravigliati e quasi increduli, come sia stato possibile arrivare sani e salvi a capo di questa esperienza che in termine tecnico è detta di “vuoto temporale”.
Quando veniamo richiesti di spiegare come funzionano attrezzature semplici di uso comune (come il water) o di fare delle stime, di stimare ad es. la percentuale di migranti nel nostro paese o di calcolare la distribuzione approssimativa della ricchezza nella nostra società, compiamo, nella maggior parte dei casi, errori grossolani. Pur confidando anzi, proprio perché confidiamo nella nostra capacità di comprendere sistemi semplici e anche complessi come la politica, l’economia, dimostriamo in realtà un’incapacità di comprensione e di stima apparentemente inesplicabili. Le nostre stime ad esempio della percentuale di migranti in Italia sono falsate in forte eccesso (30% a fronte di una percentuale reale che non raggiunge il 10%). Sovrastimiamo pure la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza (ritenendo che la maggior parte della popolazione si trovi nella fascia più bassa di reddito, mentre invece si trova nella fascia media).
“Il problema è che le percezioni errate influenzano le opinioni e le decisioni…. numerosi dati mostrano infatti come la correzione delle percezioni sbagliate non influisca o influisca in modo irrilevante sugli atteggiamenti delle persone sul tema.
Che c‘azzecca, mi si dirà, la stanchezza alla guida con stime statistiche sballate? La risposta è, per quanto sorprendente, molto facile. L‘inconscio!. „Quando la nostra coscienza „si assenta senza permesso, l’inconscio prende il volante dimostrando livelli di competenza straordinari.“ (Tallis) – il che non è peraltro un invito a sperimentarne i limiti! Quando si è stanchi, meglio non viaggiare e dormire. Nella risposta ai quesiti indicati sopra (funzionamento del WC, stime di migranti e distribuzione della ricchezza) giocano un ruolo essenziale pregiudizi, false conoscenze ma anche paure e altre emozioni di cui non siamo noi stessi consapevoli. Al punto tale che non solo la percentuale dei migranti è sovrastimata a causa della nostra paura del diverso ma addirittura la stima di distribuzione della ricchezza è influenzata ad es. dal nostro desiderio, se poveri o anche solo immaginandoci tali, di stare in compagnia di molti altri poveri (“poverty prefers company”). A questi pochi esempi se ne potrebbero aggiungere infiniti altri provenienti dalla vita quotidiana, nostra o altrui, lapsus (un ministro degli Interni che si definisce presidente del consiglio, un presidente del consiglio che si dice presidente della repubblica e via pavoneggiando), battute di spirito che fanno comprendere agli altri e a noi stessi ciò che desideriamo senza volerlo ammettere, sogni che ci rivelano che quanto si agita dentro di noi e che ci agita è a noi stessi nascosto al punto da suscitare disappunto, meraviglia o addirittura angoscia quando ne diveniamo consapevoli. In realtà intuiamo di essere un rebus anche a noi stessi e la migliore letteratura ce l’ha sempre svelato e ricordato ma continuiamo a comportarci come se fossimo, singolarmente e collettivamente, padroni di noi stessi. Non solo, anche la ricerca e la letteratura scientifica più innovativa, nonostante sia sempre più attenta a bias, percezioni soggettive, errori di valutazione etc, sembra procedere considerando l’inconscio come uno strano fenomeno circoscritto da maneggiare (e definire) con le pinze.
È dunque un piacere vedere uscire a breve distanza di tempo uno dall’altro due libri che fanno dell’inconscio, pur se in modi molto diversi, il loro tema principale.
Uno è “Molti inconsci per un cervello” di Paolo Legrenzi, Carlo Umiltà. L’altro Breve storia dell’inconscio di Frank Tallis, invero ripubblicato, con bella prefazione di Vittorio Lingiardi che sul Domenicale del Sole ha recentemente recensito anche il primo saggio.
Due libri, come accennato, molto diversi. Il saggio di Legrenzi e Umiltà è dedicato all’inconscio cognitivo, che gli autori si premurano assai di mantenere separato da quello che loro chiamano freudiano, spiegando così la loro (discutibile) scelta
„Quando… all’inconscio cognitivo è tolto il velo che lo nasconde e i suoi contenuti emergono a livello di coscienza … si scopre che sono contenuti normali. Sono esattamente identici a quei contenuti che erano consci fin dal principio. I contenuti dell’inconscio cognitivo sono qualitativamente uguali ai contenuti consci.“ „Tutt’altra cosa sono i contenuti dell’inconscio freudiano. L’inconscio freudiano è considerato come costituito da contenuti oscuri, difficilmente esplicitabili e, frequentemente, paurosi se esplicitati.“
Cosa li induca a tali considerazioni sull’inconscio „freudiano“ se non remote e ampiamente superate fake news sulla psicoanalisi non è dato sapere. Il merito del libro di Legrenzi e Umiltà, professori emeriti di psicologia, sta comunque nel fatto di scegliere e commentare approfonditamente pochi esperimenti (ad es di priming) dai quali emerge incontrovertibilmente l’influenza del funzionamento inconscio sulle percezioni e decisioni, che noi riteniamo illusoriamente consapevoli. La descrizione tecnica degli esperimenti è assai accurata, la lettura piacevole, la riflessione sui risvolti teorici nonché sui corollari etici (spoiler: il libero arbitrio non c’è) dei risultati condotta con didattica chiarezza. Anche il cosiddetto inconscio artificiale, quello relativo cioè al mondo
digitale, viene brevemente preso in considerazione. Vengono infine esposte e discusse le “7 trappole dell’inconscio cognitivo” il tutto all’insegna di un atteggiamento illuministico, secondo il quale, conoscendo i trabocchetti, che l’inconscio cognitivo ci gioca, possiamo razionalmente prevenirli.
Il libro di Tallis, psicologo clinico londinese, si legge come un Thriller e non è un caso, visto che l‘autore scrive pure gialli storici in cui lo psicoanalista Lieberman aiuta l‘amico detective a risolvere efferati delitti. In questo caso il „colpevole“ da ricercare è già noto, l‘inconscio di cui Tallis narra, tra psicologia, filosofia, medicina e letteratura, le vicende da Leibniz fino si nostri giorni. Tallis si ispira evidentemente al grande Ellenberger, autore di due tomi di erudizione, passione e ricerca per chi voglia sapere tutto o quasi su „ La scoperta dell‘inconscio“. Tallis è più spiccio ma, partendo da Leibniz, ripercorre con precisione ed arguzia tutte le principali tappe del rapporto scientifico dell‘uomo con l‘inconscio. Il grande merito di Tallis è di tener sempre presente e di illustrare con chiarezza non priva di fascino il filo rosso che lega gli studi sull‘inconscio dal 700 ad oggi. Senza farsi ingannare da nuovi nomi, concetti, categorie che di volta in volta sono state attribuite all‘inconscio, senza farsi tirare la giacca dai cognitivisti o dagli psicoanalisti, Tallis rimane concentrato sul nocciolo duro e ormai incontrovertibile della questione: la maggior parte del nostro funzionamento mentale non giunge a livello di coscienza. Freud l’aveva intuito più di cent’anni fa, riconoscendo al contempo che questo sarebbe divenuto il più scottante smacco per l’uomo dopo la perdita della centralità nell’universo (Copernico) e nell’evoluzione (Darwin):
„la megalomania dell’uomo è destinata a subirla da parte dell’odierna indagine psicologica la quale ha l’intenzione di dimostrare all’Io che non solo egli non è padrone in casa propria, ma deve fare assegnamento su scarse notizie riguardo a quello che avviene inconsciamente nella sua psiche.“ (Freud, Introduzione alla Psicoanalisi, 1915-17). L’originalità di Freud non sta dunque nell’aver “scoperto” l’inconscio ma nell’ aver fatto di tale intuizione il cardine del sue pensiero, dandogli la massima importanza e paragonandolo alle due più straordinarie scoperte della storia della scienza, l’eliocentrismo e l’evoluzione della specie. Scrive Tallis: „Freud insisteva sul fatto che le questioni fondamentali della vita mentale umana potessero essere risolte solo facendo riferimento a uno strato della mente inaccessibile al controllo cosciente. La maggior parte dei filosofi contemporanei, neuroscienziati e psicologi, è giunta esattamente alla stessa conclusione. L’inconscio non è più un vicolo cieco concettuale e teorico. L’inconscio è una strada verso un orizzonte al di là del quale sta il futuro delle neuroscienze.”
Il grande merito di Tallis, oltre al suo affascinante stile narrativo, è proprio di non separare e spezzettare gli inconsci, ma di raccontarne la storia attorno ad un unico filo conduttore, anche se dipanato da mani diverse. Egli sa fiutare l’inconscio anche sotto spoglie, vocabolari ed epoche storiche diverse. Così, partendo da Turing e dal suo progetto di „macchina capace …di simulare il tipo di operazioni mentali realizzate dagli esseri umani per la risoluzione di problemi …[insomma] un computer.“, Tallis ritrova il filo dell’inconscio nel dopoguerra quando sembrava che l’interesse per l’inconscio come era stato inteso fino a Freud si fosse definitivamente spento. Ma proprio allora, ci racconta affabilmente Tallis “I computer ci offrirono una dimostrazione di come processi meccanici potessero essere programmati per produrre un comportamento che fino ad allora era stato considerato esclusivamente umano, come la soluzione di problemi e il calcolo matematico“. Poi arrivò Miller a dimostrare „ che gli esseri umani possono tenere a mente circa sette unità di informazione (parole, nomi, numeri), difficilmente di più.“ e che dunque „la coscienza può essere descritta come un canale a capacità limitata.“ Quindi un “gruppo di ricerca scoprì che i soggetti avevano bisogno di tempi di esposizione maggiori per il riconoscimento delle parole tabù rispetto a quelle neutre. Questo suggeriva l’intervento di una qualche forma di difesa psicologica che innalzava automaticamente la soglia del riconoscimento per le parole tabù allo scopo di proteggere l’Io dall’ansia.“ Di fronte a questi sviluppi, Tallis è capace di riconoscere e di ammettere! che „gli psicologi dibattevano ancora sul funzionamento dei meccanismi inconsci, ma questa volta non con il linguaggio appassionato della Vienna del xix secolo. Al contrario, utilizzavano il lessico misurato dell’informatica.“
„Il nuovo lessico contribuì – scrive Tallis – a legittimare alcuni concetti freudiani che solo pochi decenni prima erano stati respinti come assurdi e non scientifici. L’edificio psicoanalitico era stato restaurato. Era stato spogliato degli orpelli ridondanti del secolo precedente, donandogli una veste più sobria, più in sintonia con le preferenze moderne. Una volta portato a termine questo processo molti teorici poterono tornare a occuparsi del concetto di inconscio con la coscienza scientifica pulita, per poi giungere alla conclusione che per molti anni era stato eluso un aspetto essenziale nei principali modelli della mente umana.“
Possiamo a questo punto solo augurarci che i ricercatori che scalano la montagna dell’ignoto, sia pure da versanti diversi, si ritrovino insieme sulla vetta e, come fa sportivamente Tallis, si stringano la mano!
„Apparentemente, il modello psicoanalitico e quello cognitivista ispirato al computer si trovano agli antipodi. Eppure, dalla fine degli anni ottanta, in riferimento all’inconscio la tradizione psicoanalitica e quella della psicologia cognitiva hanno mostrato una singolare convergenza. Pur essendo partite da posizioni molto diverse, le loro destinazioni sono state le stesse. Sulle grandi questioni relative alla vita mentale, le due scuole si sono trovate d’accordo: l’importanza della coscienza era stata sovrastimata e l’inconscio era tutt’altro che stupido.” L’inconscio no, gli uomini…
immagine: Liu Bolin, Teatro alla Scala, n 2