Come evitare il sessismo nella lingua italiana? Non è certo cosa che si possa risolvere in poche parole. In effetti l‘Accademia della Crusca, nella persona del Prof. Paolo D‘Achille, gliene dedica 5870, pari a 38304 caratteri, ovvero a dieci pagine, in un intervento dal significativo titolo “Un asterisco sul genere” . Il risultato? “Forse, un uso consapevole del maschile plurale come genere grammaticale non marcato, e non come prevaricazione del maschile inteso come sesso biologico (come finora è stato interpretato, e non certo ingiustificatamente), potrebbe risolvere molti problemi” con la precisazione, s’intende, che “non si tratterebbe di una scelta sessista (come viene invece considerata da molte donne), bensì dell’opzione per una forma “non marcata” sul piano del genere grammaticale”. Molte altre sono invero le precisazioni dell’Accademia, innanzitutto che l’intervento dei Cruscanti intende rispondere solo alle domande inviate senza tener conto delle prese di posizione mass- e social-mediatiche (aggettivi miei) sul tema, inoltre che la risposta, ça va sans dire, “investe il piano strettamente linguistico, con riferimento all’italiano”, e ancora che “la maggior parte di coloro che ci hanno scritto […] si mostra non solo contraria al sessismo linguistico e rispettosa nei confronti delle persone che si definiscono non binarie, ma anche sensibile alle loro esigenze”. “E questo” – commenta il Prof. D’Achille – è senz’altro un dato confortante”. Come non essere d’accordo? Assai meno confortante è la conclusione dell’Accademia, che, con tutto il rispetto per la prestigiosa Istituzione, mi sembra assai inconcludente, lasciando le cose come stanno, anzi proponendo un uso del maschile plurale per intendere anche le donne, poiché non si dovrebbe “cercare o pretendere di forzare la lingua – almeno nei suoi usi istituzionali, quelli propri dello standard che si insegna e si apprende a scuola – al servizio di un’ideologia, per quanto buona questa ci possa apparire.”
Premesso che ho competenze di linguistica quanto il mio cane d’informatica, non posso che far riferimento, nel mio giudizio, alla logica e alla psicologia, che un po’ mastico. Accetto dunque, per comprovata superiorità in materia, tutte le obiezioni linguistiche che l’Accademia oppone all’uso del neutro, dell’asterisco, dello schwa, del femminile plurale per rimuovere il sessismo nella lingua. Quando però l’Accademia invita ad usare ad es. al singolare “il candidato e la candidata” ma al plurale il maschile plurale “i candidati” per maschi e femmine, poiché “potrebbe risolvere tutti i problemi, comprendendo anche le persone non binarie” logica e psicologia si ribellano. Che soluzione logica è quella in cui le persone non binarie sono escluse al singolare e comprese al plurale? Inoltre se linguisticamente “il plurale “i candidati” è accettabile perché, sul piano della langue, non esclude affatto le donne”, psicologicamente le esclude eccome, tant’è che altre lingue quali l’inglese e il tedesco, tanto per citarne due che conosco, hanno da tempo già provveduto ad operare quei processi di “neutralization”e “feminization” che l’Accademia ritiene forzature: “Neutralization is achieved, for example, by replacing male-masculine forms (policeman) with gender-unmarked forms (police officer), whereas feminization relies on the use of feminine forms to make female referents visible (i.e., the applicant… he or she instead of the applicant… he).”
In realtà già a partire dagli anni 70 sono state introdotte regole di Gender-fair Language (GFL) in svariate categorie professionali (ad es American Psychological Association) che sono state estese poi a diverse nazioni (In Italia sono state pubblicate linee guida al riguardo nell’87 Sabatini) e sono state infine tradotte (1999) nelle linee guida dell’UNESCO
UNESCO’s position in favor of GFL is described in their gender equality guidelines: “This development indicated a growing awareness that language does not merely reflect the way we think: it also shapes our thinking. If words and expressions that imply that women are inferior to men are constantly used, that assumption of inferiority tends to become part of our mindset; hence the need to adjust our language when our ideas evolve”
In moltissimi paesi infatti, la cui lingua è, al pari dell’italiano “un organismo naturale, che evolve in base all’uso della comunità dei parlanti” l’obiettivo della GFL si è tradotto in precise norme adottate da amministrazioni ed enti culturali
In the German-speaking countries, language policies have become part of the organizational culture of various institutions such as universities and administrations (e.g., Schweizerische Bundeskanzlei, 1996, revised in 2009; Merkel, 2011; Swiss Federal Institute of Technology Zurich, 2011; Gendup – Zentrum für Gender Studies und Frauenförderung, 2012). Even so, Austria is the only country where the use of GFL in job advertisements is strictly prescribed and companies are fined for failing to address both genders in their job ads (Bundesministerium für Frauen und Öffentlichen Dienst, 2009). This may be the reason why the proportion of job ads worded in GFL differs between Austria and German-speaking Switzerland: only 9% of Austrian job advertisements contain masculine generics, whereas it is 27% in Switzerland (Hodel et al., 2013).
Non solo. Da tempo si cerca di determinare scientificamente se e quanto la GFL abbia effettivamente contribuito alla riduzione degli stereotipi di genere e delle discriminazioni, come ad es. nella non proprio recente ricerca citata dell’Università di Berna (2016) in cui si constata tra l’altro che il maschile non viene inteso come riferito ad entrambi i generi ma interpretato come pregiudizialmente maschile
speakers do not understand masculine forms as referring to both genders equally but that they interpret them in a male-biased way. This underscores the importance of implementing GFL in everyday language and of using it consistently, so that speakers take up this usage in their own texts and utterances.
Altri studi confermano inoltre che la GFL è tanto più frequente ed accettata quanto più il suo uso viene supportato da norme ufficiali e il suo mancato impiego in qualche modo sanzionato
Moreover, our review suggests that—independent of language structure—GFL is more frequent and more accepted when it is backed by official regulations and when the use of biased language is sanctioned in some way (e.g., in official publications or texts; American Psychological Association, 1975, 2009; Bundesministerium für Frauen und Öffentlichen Dienst, 2009; see Hodel et al., 2013).
A differenza di quanto affermato dai Cruscanti l’evoluzione della lingua non avviene infatti solo sulla base del suo uso quotidiano ma sulla base di una dinamica bidirezionale tra norme ufficiali e dinamica sociale
The relationship between policy-making and social change is surely bidirectional. On the one hand, gender equality movements and their demands find their way into legislation. On the other hand, official regulations may stipulate social change by facilitating the internalization of new norms and enforcing their execution.
Mi si dirà che le questioni linguistiche sono quisquilie se confrontate con le disparità economiche sofferte dalle donne. In effetti non v’è dubbio che un femminile o maschile plurale valga di gran lunga meno rispetto al 14% in meno di stipendio che le lavoratrici private percepiscono rispetto ai colleghi maschi. E ciò è a sua volta poca cosa rispetto ad una violenza sessuale o ad un feminicidio cui le donne possono andare incontro ad opera di noi maschi. Ma di questo passo potremmo sopportare o far sopportare quasi tutto, rinviando a domani, alla prossima legislatura, alla prossima generazione ogni cambiamento che non sia assolutamente necessario, consuetudine che peraltro in Italia fa parte del costume nazionale. D’altro canto l’intervento dei Cruscanti si chiude paradossalmente proprio con l’esplicito invito “ma alle parole andrebbero poi accompagnati i fatti” il ché suona come un lapsus freudiano. Chi li dovrebbe fare per primo i fatti, quando si tratta di parole, se non l’Accademia della Crusca? Insomma, a me l’intervento dei Cruscanti ricorda molto l’atteggiamento di Don Ferrante nei confronti della peste: “In rerum naturà, ” diceva, ” non ci son che due generi di cose: sostanze e accidenti; e se io provo che il contagio non può esser né l’uno ne l’altro, avrò provato che [la peste] non esiste, che ‘è una chimera.” Come sappiamo, la sua dimostrazione era brillante ma non gli evitò il contagio della peste. Il femminile fa così paura?