I social media diverranno luoghi di terapia? Lo smartphone farà (sempre più) diagnosi? Non sono boutade ma i probabili sviluppi della psichiatria digitale cui è dedicato un documentato e approfondito articolo apparso ancora nel settembre scorso sulla rivista World Psychiatry dal significativo titolo The growing field of digital psychiatry: current evidence and the future of apps, social media, chatbots, and virtual reality
I numerosi autori partono da constatazioni note: i disturbi psichici colpiscono un ampia fetta di popolazione, circa un terzo della popolazione mondiale, la depressione è la principale causa di disabilità a livello mondiale e l‘offerta terapeutica non riesce a soddisfare la domanda nemmeno nei paesi più ricchi tanto che ad esempio un rapporto del dicembre 2020 del governo degli Stati Uniti, ha indicato che l’offerta di cure per la salute mentale della nazione richiederebbe altri 4 milioni di professionisti qualificati. Nei paesi meno sviluppati la discrepanza tra domanda e offerta di salute mentale è ancora maggiore e tutto fa pensare che sia impossibile colmare la lacuna con le sole terapie in presenza.
La drammatica emergenza della pandemia ha rappresentato anche in ambito psichiatrico e psicoterapeutico un cambio di paradigma dimostrando non solo la fattibilità e l’efficacia della tele-psichiatria ma anche la validità delle digital health technologies (DHTs) che rappresentano pertanto una via realistica e percorribile per aumentare l’assistenza psichiatrica tradizionale e colmare il divario tra il bisogno di terapia e la capacità di erogarla. A seguito infatti delle restrizioni dovute alla pandemia l’interesse e l’utilizzo delle DHTs hanno presentato una straordinaria accelerazione come testimoniato da un recente studio svolto in 17 diversi paesi che ha riportato un aumento generalizzato dell’uso dei programmi di salute mentale digitale.
Provo a tracciare una breve panoramica a partire proprio dallo smartphone, cui era stata predetto un ruolo crescente nel mediare il rapporto tra terapeuta e paziente già un decennio fa quando il New York Time titolava „The Therapist May See You Anytime, Anywhere“. Molti fattori rendono infatti lo smartphone uno strumento d’elezione quale ausilio terapeutico. Si calcola innanzitutto che almeno il 70% delle persone con gravi disturbi psichici possieda uno smartphone ed è facile immaginare che questa percentuale sia destinata ben presto ad aumentare anche nei paesi più poveri. Oltre ad interventi terapeutici basati su app, gli smartphone consentono l’acquisizione di un’infinità di dati longitudinali sulla salute mentale utilizzabili nella diagnosi e nel monitoraggio del decorso. Gli smartphone permettono inoltre di analizzare i dati, sempre più tramite machine learning paradigms, dando luogo a previsioni cliniche individualizzate. Essi offrono infine un’ampia gamma di possibilità di intervento facilitando i collegamenti con l’assistenza clinica, il supporto, le risorse personalizzate, le cure di emergenza. I dati raccolti dagli smartphone, distinguibili in attivi (ad es raccolta di sintomi spontanea o su richiesta) e passivi (ottenuti tramite sensori dello stesso smartphone o di dispositivi indossabili), consentono quella che viene chiamata una „fenotipizzazione digitale“ (“digital phenotyping”) di straordinaria importanza per comprendere le esperienze vissute dal paziente nel suo contesto. Ad esempio, i dati GPS hanno contribuito a far luce sulla relazione tra mobilità ridotta e peggioramento della salute mentale durante la pandemia. Siamo però solo agli inizi di un promettente sviluppo tanto che si ritiene che ad oggi meno del 2% delle app attualmente in commercio sfruttino il potenziale della fenotipizzazione digitale. I risultati dell’analisi dei dati sono per il momento molto disparati. Mentre non hanno portato per il momento ad alcun significativo miglioramento nella predizione dei tentativi di suicidio, hanno dimostrato in piccoli campioni una buona capacità di prevedere il rischio di ricaduta nella schizofrenia grazie al “rilevamento di anomalie comportamentali“ e variazioni rispetto alla norma.
Gli interventi basati su app utilizzano poi aspetti consolidati delle terapie cognitivo-comportamentali per offrire ai pazienti l’accesso “on demand” a strumenti di cura basati sull’evidenza.
For example, the smartphone may be able to infer low mood in the context of social isolation and offer a relevant intervention, whilst, in another circumstance, it may infer low mood in the context of poor sleep and recommend an alternative intervention.
Addirittura i social media possono essere utilizzati come strumento terapeutico. Innanzitutto le recenti ricerche hanno dimostrato che, a differenza di quanto sostenuto in passato, il tempo assoluto trascorso davanti allo schermo o l’esposizione stessa non sono significativamente associati a un peggioramento della salute mentale. Naturalmente il troppo storpia anche in quest‘ambito ma si è riscontrato che è la qualità del tempo trascorso davanti allo schermo e delle interazioni sui social media ad essere ben più importante della quantità. Non solo. L’analisi dell’utilizzo dei social media può essere un mezzo per rilevare il peggioramento dei sintomi di salute mentale. Ad esempio, i cambiamenti nel contenuto e nello stile dei post sui social media possono offrire un segnale precoce di ricaduta nella schizofrenia. Addirittura i social network possono essere utilizzati come intervento terapeutico dimostrando risultati promettenti nei giovani con diversi bisogni di salute mentale. Ad esempio, l’app PRIME è progettata per aiutare le persone con schizofrenia attraverso la promozione del recupero funzionale e la mitigazione dei sintomi negativi (es. mancanza di motivazione) attraverso una rete di supporto personalizzata. La piattaforma Moderated Online Social Therapy (MOST) è un altro esempio di innovazione che offre una terapia personalizzata combinata con connessioni sociali.
Ai Chatbot della salute mentale ho già dedicato un articolo invero non molto favorevole Terapia un tanto al bot
C’è poi il capitolo sempre più interessante e promettente della terapia tramite realtà virtuale, l’immersione cioè in un ambiente interattivo simulato al computer tramite un headset. L’esposizione controllata a stimoli che inducono ansia all’interno di un ambiente virtuale offre un mezzo sicuro, conveniente e accessibile per fornire trattamenti comportamentali basati sull’esposizione progressiva e controllata. Ad esempio, studi randomizzati controllati hanno dimostrato che imparare a impegnarsi in interazioni sociali virtuali può ridurre la paranoia nelle persone che soffrono di psicosi. Una recente meta-revisione di 11 meta-analisi, riguardanti principalmente i disturbi d’ansia e il disturbo post-traumatico da stress ha dimostrato un’efficacia da moderata a grande con mantenimento dei risultati anche al follow-up.
Recenti ricerche dimostrano che le nuove digital health technologies (DHTs) non sono solo utili per gestire autonomamente meglio il disagio psichico ma cominciano a mostrare una crescente efficacia nel controllo e nella cura di veri e propri disturbi clinici quali disturbi ansiosi, depressione maggiore, psicosi, disturbi dell’alimentazione e addirittura disturbi da uso di sostanze. Non è qui il caso di andare in dettagli troppo tecnici.
Valgono però, secondo me, alcune considerazioni di carattere generale. Le nuove capacità tecnologiche di smartphone, intelligenza artificiale, social media e realtà virtuale stanno già cambiando la cura della salute mentale in modi imprevisti ed entusiasmanti. Non si può non tenerne conto o peggio demonizzarle. Praticamente tutti gli studi dimostrano che le digital health technologies danno migliori risultati quando sono coniugate all’intervento, magari anche solo occasionale, di un terapeuta. La terapia, almeno come la conosciamo fino ad ora, è un dialogo non solo con sé stessi ma anche con un’altra persona, professionalmente competente, che ci aiuta a guardare al disturbo e a noi stessi da un’altro punto di vista. Sarebbe infine una tragica ironia della sorte se il digitale divide si trasformasse in una situazione di disuguaglianza tale per cui le persone meno ricche e fortunate potessero accedere “solo” alle digital health technologies e solo i più fortunati avessero accesso alle terapie in presenza.
Immagine tratta da healthcaremba.gwu.edu