Se lo psichiatra per antonomasia dell‘ascolto gentile, della tenerezza e della sensibilità dedica il suo ultimo libro a „L‘agonia della psichiatria“, vale la pena di porsi qualche domanda. A partire da quelle che Eugenio Borgna stesso formula in avvio del suo breve, intenso e accessibilissimo saggio:
„Come ancora non riflettere sulla quasi esclusiva importanza dedicata ai farmaci, nella cura dei disturbi psichici, di non poche psichiatrie italiane di oggi, e questo in discordanza con la concezione di una psichiatria che intenda essere scienza umana e scienza sociale? Come non constatare che i grandi ideali della psichiatria della riforma siano oggi agonizzanti in luoghi pubblici e privati di cura?“
Proprio da queste domande nasce l’attuale saggio di Eugenio Borgna dal titolo „tagliente e radicale“ che dovrebbe a mio avviso interrogare ogni psichiatra e contribuire a un dibattito approfondito sulla gestione della salute mentale, al di là del già dimenticato bonus psicologico.
Immagino alcune delle risposte di colleghi che in quei luoghi pubblici lavorano, avendovi anch‘io prestato servizio sia pure molti anni fa (1990-1994), quando il tempo di ricovero medio dei pazienti in un servizio di diagnosi e cura (Brescia) era di 9 (nove!) giorni. Si può in nove giorni andare alla „ricerca di quello che vive e muore nel cuore della interiorità delle pazienti e dei pazienti“? Conosco colleghi e colleghe che ci provano e spesso ci riescono ma certo questa tendenza alla „turbo-psichiatria“, come veniva ironicamente definita dai miei colleghi svizzeri, non favorisce la comprensione psicologica profonda del paziente. Nel frattempo sono state create, peraltro non in tutte le regioni italiane e non in modo omogeneo, strutture intermedie in cui le/i pazienti dimessi dai Servizi di diagnosi e cura possono essere ulteriormente curati prima di accedere alle cure ambulatoriali, così come sono stati allestiti appartamenti protetti a vario grado di protezione per pazienti cronici.
Vale la pena però di interrogarsi sui motivi per cui la psichiatria soprattutto, ma non solo, italiana stia ricadendo nell‘errore di considerare ancora „il cervello e le sue disfunzioni“ l‘oggetto della disciplina, rischiando in tal modo di perdere di vista ancora una volta „la soggettività, la interiorità, il modo di essere nel mondo della vita, delle pazienti e dei pazienti“. Indubbiamente hanno contribuito a questa involuzione, come scrive Borgna, „le inerzie e la indifferenza, la dipendenza farmacologica e tecnologica“ così come la rinnovata disattenzione dell’opinione pubblica e della politica nei confronti della psichiatria. Personalmente credo abbiano giocato un ruolo di rilievo anche la rinascita di una, mai defunta, concezione organicista della psichiatria rinata sotto le mentite spoglie delle neuroscienze, nonché lo svuotamento amministrativo-burocratico della riforma psichiatrica. „Non basta“ scrive infatti Borgna „cambiare le strutture ospedaliere e territoriali se a ciò non si aggiungono sensibilità e delicatezza, ascolto del dolore dell‘anima e del corpo, introspezione e immedesimazione“. Proprio „l’importanza dell‘introspezione e della immedesimazione nella conoscenza delle esperienze vissute e degli stati d‘animo delle persone, malate, o non malate, il valore delle relazioni umane fra chi cura e chi è curato, il rispetto della dignità della sofferenza, e della sofferenza psichica in particolare“ sono state, scrive Borgna, „le premesse che hanno consentito di realizzare la rivoluzione teorica e pratica di una psichiatria recuperata nella sua sensibilità e nella sua umanità“.
Come è possibile che queste premesse basilari per una psichiatria che voglia essere anche scienza umana, e soprattutto umana, vengano dimenticate? ci interroga Borgna. Come è possibile che la contenzione venga ancora sistematicamente praticata in alcuni Servizi pubblici? “Chiudere gli occhi dinanzi a queste sofferenze – ci ammonisce Borgna – non è possibile, sapendo che continuano nel silenzio, nella indifferenza e nella rassegnazione, nell’oblio della dignità”. Le parole di un grande della psichiatria italiana non esprimono un giudizio sommario ma costituiscono un invito alla ricerca e alla riflessione, alla riscoperta “delle emozioni nella conoscenza e nella cura della sofferenza psichica, non più considerata come qualcosa da analizzare con la freddezza di un chirurgo, che taglia e ricompone un organo malato, ma come una ferita viva da arginare: immedesimandoci nella vita interiore di chi sta male” senza dimenticare che “non minore importanza nella cura hanno gli stati d’animo di chi cura”.
Uno dei grandi meriti di Borgna è quello di ricordarci che “non c’è psichiatria se non analizzando senza fine le parole, che diciamo alle pazienti e ai pazienti, e le emozioni che sono in loro, e in noi; ma non c’è nemmeno psichiatria se, nel parlare dei disturbi psichici … non ci serviamo di parole semplici, non convenzionali, e non aridamente e crudelmente tecniche”. A Borgna va riconosciuto l’indubbio merito di aver creato, grazie alla sua formazione fenomenologica e alla sua immensa cultura letteraria ed artistica, una nuova lingua psichiatrica, intessuta di gentilezza, tenerezza, sensibilità, in cui tutti/e possiamo ritrovarci. Con la poesia, la letteratura, l’arte Borgna ha saputo dare espressione ai nostri sentimenti, ai nostri moti d’animo, malati e non, creando o riprendendo metafore capaci di esprimere ciò che di sano e creativo c’è nei malati e ciò che di fragile e malato c’è in tutti noi.
Così facendo Borgna ha dato anche consapevole espressione nella psichiatria alla componente femminile (o almeno a una parte di essa) che anche ogni maschio porta con sé (l’anima di Jung) e che proprio nei reparti acuti di psichiatria tende ad essere rimossa e negata a favore di un maschile autoritario e repressivo. Non a caso Borgna ricorda di essere stato a lungo direttore di un manicomio femminile e di aver molto imparato dalle pazienti “in gentilezza, in tenerezza, in sensibilità, in fluidità emozionale, e in ascolto”. Spesso la clinica psichiatrica quotidiana, non solo in Italia, sembra improntata ad una rigidità irriflessiva, quasi militaresca priva di differenziazioni e sfumature mentre la sensibilità dello psichiatra viene scissa e riservata all’attività di studio e ricerca e la gentilezza ai pazienti privati. Borgna ha invece il coraggio di affermare che “la psichiatria ha bisogno (anche) di tenerezza, di conoscerla e di ricercarne le sorgenti, e di gentilezza”. Naturalmente la psichiatria ha bisogno anche di competenza, innovazione, ricerca. Personalmente confido che proprio dall’innovazione e dalla ricerca nascano spunti e motivazioni per una nuova psichiatria e per una nuova generazione di psichiatri che non hanno sete di autorità, ma di sapere, di integrazione di saperi, di nuove forme di psicoterapia ma non dimenticano che “la psichiatria non è solo cura della sofferenza psichica nelle sue diverse forme, ma è anche ricerca di quello che rende più umane e gentili le relazioni interpersonali, e più aperte all’ascolto del cuore”
Immagine tratta da www.htcnet.it
Suggerimento musicale a cura di @marcoganassin: Luigi Tenco: Vedrai, vedrai