“Siamo le nostre narrazioni” dice il neuroscienziato Michael Gazzaniga citato da Luca De Biase nel suo recente homo pluralis. E ciò fin da quando i nostri antenati dipingevano le loro storie nelle grotta o le incidevano sulle rocce. Mai come in questa fase storica tuttavia la narrazione è stata così centrale nella vita quotidiana di tutti noi al punto da diventare un fenomeno di massa oltre che un parametro di conoscenza ed interpretazione del reale. Se infatti nelle epoche passate la narrazione era principalmente affidata agli scrittori nelle cui storie il lettore si identificava, oggi il lettore è divenuto narratore di sé stesso in Internet e soprattutto sui social network. “Le persone parlano sempre di dove vanno, di che cosa fanno, di dove sono. È stata l’ispirazione per Twitter. – racconta il suo inventore Jack Dorsey (che cito ancora dal libro di De Biase). – Ora tutti possiamo dire dove siamo, dove andiamo, come ci sentiamo. Facendolo sapere al mondo intero”. Il punto di congiunzione che rende possibile il passaggio dalla narrazione degli artisti “eletti” a tutti noi l’aveva però intuito con la consueta perspicacia anche Freud. Nella sua relazione sul tema Il poeta e il fantasticare Freud si chiedeva come riesca il poeta a tenerci così avvinti alle sue storie, a suscitare in noi tanta eccitazione ed emozioni e se anche in noi vi sia un’attività in qualche modo simile a quella del poeta. La risposta che lui stesso si dava in una libreria viennese nella fredda serata del 6 dicembre 1907 è che l’attività comune all’artista e a tutti noi consiste nei sogni diurni (ad occhi aperti), qualcosa che ci avvicina ai bambini. Il poeta stesso – dice Freud – è molto simile al bambino che gioca: come il bambino, il poeta crea un mondo di fantasia che prende molto sul serio dedicandovi un grande investimento affettivo e distinguendolo dalla realtà. Freud paragona quindi il poeta al sognatore ad occhi aperti e le sue creazioni artistiche ai sogni diurni.
Ma cosa sono i social se non (anche) lo spazio di elaborazione dei nostri sogni diurni? Certo i risultati concreti dell’elaborazione ed espressione di questi sogni ad occhi aperti che ci avvicinano ai poeti sono assai disparati. Lo scavo interiore può arrivare – come in @anno_zero15 – al punto da condensare in parole e immagini stati d’animo quanto mai privati e intimi che si articolano tra loro in una sorta di artistico diario collettivo. Oppure l’attività di fantasticare è stimolata ed ispirata dal desiderio di “rileggere e riscrivere” insieme un romanzo o un saggio come in twletteratura Certo i social sono pieni anche di narrazioni sulle abitudini sportive, professionali, pseudo artistiche, alimentari, sessuali di ciascuno di noi superflue se non addirittura volgari o violente. O semplicemente terribilmente banali. Perché non ogni storytelling è una narrazione riuscita, non ogni storia è una buona storia. Quale è e soprattutto cosa è una storia buona, the good story? si chiede J.M. Coetzee in uno splendido libro in cui il premio Nobel discute con la psicoterapeuta Arabella Kurtz su verità, narrativa (fiction) e psicoterapia. Le storie sono il nucleo costitutivo del lavoro sia degli scrittori che dei terapeuti. E si potrebbe aggiungere con Peter Bieri – autore del treno di notte per Lisbona e di un bellissimo articolo (in tedesco sul Balint Journal) su conoscenza di sé attraverso la narrazione – gli scrittori, analogamente al lavoro psicoanalitico, cercano di allentare la loro censura per lasciar emergere la parte inconscia delle loro fantasie. Ma mentre lo scrittore è l’unico responsabile della storia che racconta, il terapeuta collabora con il paziente nel raccontare la storia della sua vita, ne è per così dire l’editor. Quale verità perseguono l’uno e l’altro? Quella obiettiva o quella soggettiva di ricordi rivissuti nello spazio sicuro della relazione terapeutica? O piuttosto quella che si costruisce faticosamente nel rapporto terapeutico? Le storie curano dice Hillman in un suo vecchio ma sempre attualissimo libro. Ma sono le storie a curare o le esperienze di quel rapporto che si fanno (nuova) narrazione? E se al cuore di psicoterapia, letteratura e SN ci sono le storie cosa possono reciprocamente insegnarsi ed apprendere queste discipline in tempi di digitali interconnessioni per aiutare ciascuno di noi a riscrivere con maggiore fiducia e consapevolezza la propria storia? Questi sono i temi del convegno logratese “Storie che curano: tra narrazione e social” con interventi, tra gli altri, di Eugenio Borgna, Cristina Cenci, Paolo Costa, Luca De Biase. La possibilità stessa di riscrivere la nostra storia è un tenue filo di speranza in realtà esteriori e interiori che sembrano irrimediabilmente già scritte, “un risveglio da parte del cuore che immagina, delle sensibilità, delle intimità, dei ricordi” (Hillman).
Suggerimento musicale: Scheherazade, Rimski-Korsakow