Forse affaccendati a comprendere se l’appellativo ufficiale della nostra nuova Presidente del Consiglio violi più il femminismo o il buon senso, sembriamo esserci scordati in Italia che in Iran le donne stanno facendo la rivoluzione al grido di “donna, vita, libertà”. È ormai il 44 giorno della rivolta dal’uccisione della povera Mahsa Amini, la ragazza curda di 22 anni, sbattuta in galera dai “guardiani della moralità”, perché il suo hijab avrebbe lasciato scoperto qualche ciocca di capelli, e restituita morta ai familiari qualche giorno dopo. È stato fin da subito chiaro che Masha era deceduta in seguito alle torture cui era stata sottoposta e non a causa di un attacco di cuore, come riportato nella versione ufficiale delle istituzioni. Le donne attorno a lei hanno però cominciato a protestare apertamente come mai era successo prima, togliendosi proprio lo hijab, il velo simbolo della rivoluzione khomeinista del 79, che aveva trasformato l’Iran in una Repubblica islamica fondata, nonostante la parvenza di istituzioni democratiche, su organi composti da religiosi che fanno a loro volta riferimento alla Guida suprema, l’Ayatollah di turno. L’introduzione del velo era andata dunque di pari passo con la conculcazione dei diritti delle donne. E la liberazione dal velo va di pari passo con la liberazione delle donne dal giogo maschilista di “religiosi dogmatici settuagenari che impongono il loro modo antiquato di vedere le cose a una società giovane e diversificata. Un sistema che può essere sostenuto solo tramite la coercizione” (Karim Sadjadpour citata da Il Post )
La coercizione non fa più paura
Ora proprio quella coercizione, che si era mantenuta anche grazie alla violenza delle istituzioni e dei pasdaran, sembra non fare più paura poiché le donne sono disposte a morire piuttosto che tornare a vivere nell’umiliazione e nella schiavitù. Anche se gli esiti della rivolta sono tutt’altro che scontati e il bilancio in vite umane è già ora tragico (verosimilmente 154 morti, cui si aggiungono centinaia di feriti e migliaia di arresti), è sconvolgente vedere donne senza velo e uomini che si mettono davanti alle forze dell’ordine chiedendo loro di sparare.
È impressionante osservare studenti disposti a farsi arrestare ed uccidere pur di poter mangiare insieme, uomini e donne, nelle mense universitarie dove ciò fino a ieri era impensabile. È straordinario constatare che docenti universitari sostengono gli studenti e si sottraggono alle bugie del regime anche a costo di essere arrestati e/o uccisi. È incredibile apprendere che la rivolta guidata, senza cedimento alcuno, dalle donne liberatesi del velo, si è estesa a più di ottanta città e sta pacificamente dilagando dovunque mentre anche i personaggi pubblici più noti prendono ormai le distanze dal regime.
Il potere
Ma gli uomini del potere se lo lasceranno togliere senza colpo ferire? Sembra impossibile immaginarlo. Anzi, la repressione si sta facendo sempre più dura e un ultimatum dell’ establishment ha intimato la fine delle manifestazioni. Ma anche questo sembra impossibile. È la ferma, coraggiosa e pacifica risolutezza la straordinaria forza di questa rivoluzione femminile che, per quel poco che conosco di storia, mi sembra non avere uguali? Potrebbe essere proprio questa caratteristica a renderla vincente e a evitare quei bagni di sangue che le rivoluzioni, salvo rare eccezioni, portano con sé?
Tante domande
Le domande che mi assalgono sono tante, troppe. Noi, donne e uomini occidentali, cultori della libertà, stiamo a guardare? Un altro aspetto singolare di questa rivolta che viaggia anche sui social media, nonostante il blocco di Internet disposto dal regime, è la richiesta da parte delle donne iraniane a tutti noi, di stare almeno simbolicamente, con un qualche gesto, dalla loro parte. In Germania circa 100.000 persone hanno manifestato loro sostegno, anche se la televisione iraniana ha trasformato la manifestazione in una protesta contro l’aumento del prezzo della benzina. E i nostri governi, la UE cosa dovrebbero fare per favorire la liberazione del popolo iraniano?
Continuare a trattare per gli accordi nucleari con il regime tirannico attuale o sospendere le trattative per solidarietà con il popolo iraniano oppresso? E se non bastasse, come regolare l’accesso ai social media in caso di rivoluzione? Vale ancora l’assolutismo della libertà di parola sostenuto da Musk fino a ieri o da oggi conterà di più la pacifica convenienza della (sua) finanza? Khamenei, “Iran Supreme Leader” come lui stesso si definisce nella bio, continuerà ancora a predicare via Twitter mentre le sue guardie della rivoluzione seminano la morte?
Eppure di fronte a tante catastrofi, guerre e cupe previsioni finanziare e ambientali, se c’è un barlume di speranza mi sembra proprio venga dalle donne iraniane che gridano senza paura “Zan, Zendegi, Azadi (Donna, Vita, Libertà)”