Utopia e disincanto

I bilanci più significativi si tirano, generalmente, non a fine anno ma quando un evento negativo sconvolge il consueto andamento della nostra vita e ci costringe a rivedere progetti e programmi che avevamo attivamente formulato o più o meno passivamente fatto nostri. In quei momenti siamo costretti a rivedere i nostri piani o quanto meno a renderci conto di averne o di non averne avuti. Come diceva Facebook: abbiamo due vite, la seconda inizia quando ci rendiamo conto di averne solo una.
Si potrebbe anche sostenere che il geniale aforisma – che stoltamente Confucio rivendica come proprio – valga anche per i gruppi e magari anche per quell‘ampio gruppo di 8 miliardi di persone che popola il nostro povero pianeta, giunto ormai, proprio grazie ai suoi abitanti, al capolinea. Nella fortunata quanto improbabile ipotesi che siamo arrivati quasi al punto di renderci conto che anche la terra ha una vita sola, cosa ci aiuterà a salvarla e a salvarci?

Cosa ci salverà? 
Le religioni sembrano aver fatto il loro tempo. Di volta in volta si parla di riscoperta del sacro, che non necessariamente coincide con il religioso, ma è obiettivamente difficile immaginare che una società (per fortuna) tanto secolarizzata e laica quale quella attuale possa d’un colpo ritrovare la salvezza in un ritorno acritico al potere della fede, salvo che vissuta interiormente.
Le ideologie del secolo scorso hanno provocato catastrofi di tale entità che, per quanto alcuni imbecilli ne reclamino la resurrezione, difficilmente quest’ultima si realizzerà. Naturalmente altre ideologie possono prendere il posto delle precedenti e i nazionalismi sembrano farlo attualmente con una certa efficacia. Gli eroi nazionalisti della prim’ora sembrano però cominciare già a cadere.
La scienza è ufficialmente tenuta in gran conto e su di essa si basano in buona sostanza i nostri sistemi più avanzati. Ogni campo scientifico ha avuto o ha il proprio momento di gloria. C’è stata pure una breve parentesi in cui la psicoanalisi, spacciandosi allora per scienza, venne reputata in grado di salvare il mondo, con gran gioia soprattutto degli psicoanalisti. Il ché fa capire che anche gli scienziati, e a maggior ragione quelli presunti tali, sono uomini e come tali fallaci. D’altro canto quanto sia popolare e trascinante la scienza l’abbiamo visto in occasione della pandemia: nonostante proprio la scienza abbia prodotto il più efficace rimedio contro il COVID-19, il vaccino, gli scienziati sono stati e vengono tutt’ora spesso trattati peggio dei cinesi all’inizio della pandemia. Insomma la scienza è essenziale per il progresso quanto lo è la democrazia per la libertà, ma, come la democrazia, anche la scienza è faticosa, dall’esito incerto e mai scontato, sempre in preda al dubbio. Non proprio l’identikit perfetto per un salvatore/una salvatrice.
La bellezza ci salverà, si legge in qualche Tweet in cui questa confortante certezza è accompagnata da romantiche immagini che dovrebbero servire da dimostrazione dell’’assunto. Ora che però l’uomo più ricco del mondo si è comprato il gioco di Twitter e vi ha riammesso anche i bannati, è legittimo nutrire qualche dubbio sul fatto che sia la bellezza e non il denaro a salvarci. D’altronde Dostojevski, non era lui stesso, mentre scriveva di bellezza, all‘affannosa ricerca di denaro?
Cosa rimane allora a prospettarci collettivamente la salvezza se non la tecnologia, che sembra portare con sé ancora un po‘ del fascino della magia? La tecnologia attuale, inutile dirlo, si identifica con la trasformazione digitale che „non è un semplice cambiamento del modo in cui fare le cose, ridefinisce piuttosto cosa abbia senso fare e cosa, in un mutato scenario di contesto, non ha più senso“ (Stefano Epifani). Di conseguenza non ha senso chiedersi se la tecnologia faccia male o bene ma piuttosto interrogarsi sui suoi aspetti negativi per minimizzarli e soprattutto su quelli positivi per valorizzarli in vista degli obiettivi di sostenibilità economica, sociale ed ambientale descritti e sottoscritti nell‘Agenda 2030 (Manifesto per la sostenibilità digitale). Abbiamo dunque trovato la nuova salvezza e i nuovi salvatori? Naturalmente no, (comunque sempre meglio degli psicoanalisti). Ma forse, ponendoci con consapevolezza di fronte al digitale possiamo trovare domande importanti da farci, probabilmente più importanti delle stesse risposte. In Kung-Fu Panda, non proprio un capolavoro della filmografia, una scena mi ha sempre affascinato. Quando il Panda, che sta appunto alle arti marziali come il cane alla creatività (lo dico da cinofilo appassionato), ha superato tutte le prove e può dunque raccogliere gli insegnamenti del suo grande maestro raccolti in un bigliettino, si trova davanti un pezzo di carta bianco. Da lì comincia il suo percorso di maturazione e consapevolezza. Molto più autorevolmente del film citato, Claudio Magris, nel suo Utopia e disincanto scrive:

„Nella letteratura non contano le risposte date da uno scrittore, bensì le domande che egli pone e che sono sempre più ampie di ogni pur esauriente risposta. Anche nella vita, del resto, le persone che contano per noi non sono tanto quelle che condividono le nostre risposte circa le cose ultime, quanto quelle che si pongono le nostre stesse domande intorno a quelle cose.”

Porsi le domande e magari incontrarsi per farlo : che sia questa la (transitoria) salvezza?

Immagine tratta da @IrenaBuzarewicz

  • carl |

    Mah…? Che cosa ragionevolmente sperare in un mondo che è via via arrivato ad essere popolato da circa 8 miliardi di persone cognitivamente, culturalmente (ed altro ancora) in ritardo rispetto alle sfide accumulate a seguito dei tanti errori fatti..? Inoltre, come se non bastasse, gli 8 miliardi sono anche variamente divisi (in nazioni, blocchi di nazioni, ecc.) antagoniste o, comunque, in competizione tra esse.. Popoli e nazioni che per giunta si sono anche diversamente e disarmoniosamente sviluppate..
    In ogni caso il primo dei gravissimi errori (che è e rimane tutt’ora tale, oltre che irrisolto) è il fatto che “chi/coloro di dovere” non si sono mai curati di favorire l’istruzione di massa.. Favorendo e ricorrendo per contro all’antico espediente rappresentato dal fornire alle plebi “panem et semper plus circenses…” le cui “industrie” e/o “organizzazioni di eventi” in questo nostro tempo si sono sviluppate come non mai in precedenza..
    E’ dunque umanamente possibile essere fondatamente ottimisti ? Oppure possiamo attenderci (in negativo) un meritato di tutto e di più?

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