„Si può sentire lo stato d’animo di una persona anche a distanza?“ Chiede Roberta @nuvolacristallo in un Tweet e la stragrande maggioranza di quelli che le risponde lo ritiene possibile, grazie all’ „empatia“. Confesso di essere rimasto piuttosto sbigottito.
Voce come biomarker
Vale forse la pena di fare qualche precisazione, poiché la domanda, apodittica, si presta a molti equivoci. Se si intende che la persona è lontana ma è in contatto, scritto o parlato, con noi, non ci sono dubbi che possiamo percepire il suo stato d‘animo. In particolare la voce sembra confermarsi come un potente biomarker che svela il cambiamento della condizione di una persona. Svariati studi dimostrano infatti come il cambiamento della voce sia in grado di rivelare non solo malattie laringee, respiratorie, neurologiche ma anche psichiatriche come la depressione o la mania.
In uno studio dell’UCLA, pubblicato sulla rivista PLOS One, persone affette da malattie mentali hanno risposto al telefono a domande programmate dal computer (come “Come sei stato negli ultimi giorni?”). Un’app ha analizzato le loro scelte di parole, prestando attenzione a come cambiavano nel tempo. I ricercatori hanno riscontrato che l’analisi dell’umore da parte dell’intelligenza artificiale era in linea con le valutazioni dei medici e che alcune persone nello studio si sentivano più a loro agio a parlare con un computer.
Empatia o telepatia ?
Ma molto più verosimilmente la domanda di Roberta si riferisce alla possibilità di sentire lo stato d‘animo di una persona a distanza senza alcuna forma di comunicazione, scritta o a voce. Insomma una specie di telepatia, tale per cui a consentire la comprensione dello stato d’animo altrui sarebbe un non meglio precisato legame tra le due persone, al quale, per mantenere una parvenza di scientificità, si dà il nome di empatia. Il prototipo di questa forma di comunicazione è in realtà quello tra il bambino/a e la mamma che potrebbe/dovrebbe sempre intuire gli stati d’animo del figlio/a senza che quest‘ultimo/a debba esprimerli, anche a distanza. Su questo modello è pure costruito il rapporto tra l’uomo e Dio, percepito come Essere in grado di conoscere sempre lo stato d‘animo di ognuno di noi in base alla sua presunta onniscienza e al suo presunto amore per ciascuno di noi. Infine la stessa capacità miracolosa di comunicazione, tale da non richiedere parole per intendersi, è stata attribuita anche agli amanti. Si tratta di rapporti, ai quali attribuiamo, in virtù dell’amore che vi scorgiamo, una sorta di pienezza, di perfezione, tale da rendere possibile quello che obiettivamente è impossibile, la comunicazione di stati d‘animo a distanza. È cioè il nostro pensiero magico, wishful thinking a farci immaginare che l‘amore renda possibile tutto, anche la telepatia, pur sapendo che obiettivamente, così non è. Per dare alla cosa una parvenza di scientificità si utilizza allo scopo poi il termine empatia, che in realtà nulla c’azzecca poiché empatia è la capacità di identificarsi con un‘ altra persona, con cui si è in contatto! ma anche la capacità di distanziarsi da tale identificazione e ancora la capacità di oscillare tra queste due funzioni. Essa comporta sia un’identificazione emozionale che un’interpretazione razionale. Cose dunque tutte molto diverse dall’improbabile comunicazione a distanza dei propri stati d‘animo.
Mentalizzazione
Forse in Italia, familiarmente abituati ad immaginare un‘empatia sullo stampo della mamma che tutto comprende e storicamente impregnati dallo Spirito (più o meno Santo) che tutto capisce e agisce senza proferir parola, potremmo trarre profitto dei concetti della mentalizzazione la quale parte invece dal presupposto che gli stati mentali sono per loro natura opachi e che per cercare di penetrare quest‘opacità bisogna parlare con l‘altro/a, riflettere con lui/lei e, prima ancora, dentro di noi.
Mentalizzare significa, come hanno spiegato Peter Fonagy e Antony Bateman, comprendere i propri e gli altrui pensieri, sentimenti ed intenzioni, presupporre che tali stati mentali siano alla base del comportamento, nostro e altrui e che possiamo cercare di comprenderli senza peraltro mai averne la certezza assoluta. Mentalizzare vuol anche dire essere in grado di relativizzare i nostri stati mentali e dunque di osservarli dalla giusta distanza, riflettendo invece di agire. In altre parole mentalizzare può essere definito la facoltà che permette di vedere sé stessi “dall’esterno” e gli altri “dall’interno”. Prima di andare a ricercare improbabili comunicazioni di stati d‘ animo altrui potremmo cercare di riflettere un attimo di più sui nostri. È già sufficientemente difficile mettersi d’accordo sulle emozioni che suscita in noi un’immagine che sta a pochi centimetri dal naso di due o più di noi. Un esempio? Provate a immaginare cosa stanno facendo, pensando e sentendo le persone in quest’immagine e poi chiedete di fare lo stesso alla/al vostro/a partner…
Immagine principale tratta da CPDEC