Ho 61 anni. Ne ho trascorsi 31 a fare lo psichiatra e psicoterapeuta a tempo pieno. Ho una formazione analitica e ho dunque alle spalle i necessari anni di analisi. Sono un convinto sostenitore delle psicoterapie ad indirizzo analitico, che durano a lungo (1-2 anni o anche più) – e che sono, dati scientifici alla mano, efficaci.
Questa settimana ho partecipato ad un seminario di due giorni per apprendere i fondamenti della NET, narrative exposition therapy, “un intervento psicoterapeutico a breve termine, evidence-based, culturalmente inclusivo e incentrato sul trauma, progettato per i sopravvissuti a traumi multipli e complessi.”
Mi hanno profondamente colpito la semplicità (non banalità) e rapidità della tecnica, la solidità delle basi teoriche e degli studi clinici, l’umanità e l’impegno sociale – e politico – delle persone che me l’hanno insegnata e fatta sperimentare.
Memoria frammentata
La NET si basa sul presupposto che il trauma, di qualsiasi genere esso sia, comporta una frammentazione della memoria e una separazione della due memorie di cui disponiamo: quella esplicita, contestuale – cui possiamo accedere consapevolmente e che ci consente di ricordare ad es. date e luoghi degli avvenimenti – da quella implicita, emozionale, associativa – che registra tutti i nostri vissuti senza peraltro che noi vi possiamo avere consapevolmente accesso. Nella vita quotidiana questi due sistemi di memoria collaborano bene tra loro consentendoci di associare gli avvenimenti ai nostri vissuti. Durante e dopo il trauma si verificano processi neuro-cognitivi che scindono invece questi due sistemi di memoria, conducendo alla frammentazione della stessa e in definitiva allo sviluppo e al mantenimento dei sintomi del trauma.
Le origini socio-politiche della NET
Il metodo NET è stato proprio sviluppato negli anni 90 per andare incontro all’esigenza di trattare una grande quantità di pazienti traumatizzati che si trovavano in zone di guerra o erano comunque esposti a violenze ripetute in regioni del mondo in cui l’assistenza sanitaria in particolare psichiatrica e psicoterapeutica era scarsa se non assente. Il metodo NET nasce così, a diretto contatto con la sofferenza dei più poveri e indifesi, grazie a ricercatori che erano prima di tutto volontari, decisi a lenire la sofferenza di chi era esposto a traumi d’ogni genere senza possibilità alcuna di terapia. Quei ricercatori-volontari (Prof. Dr. Frank Neuner, PD Dr. Maggie Schauer, Dr. Thomas Elbert) hanno dovuto superare i pregiudizi allora e in parte ancora oggi regnanti secondo cui i pazienti traumatizzati vanno dapprima a lungo stabilizzati, poi trattati “con le pinze” nel corso di terapie prolungate e condotte da personale altamente specializzato. In zone di guerra, nelle regioni più povere del mondo non se lo potevano permettere e hanno elaborato per il trattamento dei traumi una tecnica semplice, veloce e che può essere appresa facilmente anche da personale non medico e non psicologicamente formato. Gli studi clinici condotti ormai in tutto il mondo da 25 anni a questa parte hanno dato loro ragione. Le revisioni sistematiche di studi randomizzati e controllati hanno dimostrato che la NET è un trattamento efficace per i disturbi dello spettro traumatico in popolazioni diverse, di bambini e adulti , in più di 30 Paesi. La NET ha inoltre dimostrato un’elevata efficacia clinica anche quando è stata applicata da consulenti locali addestrati e non specializzati. Poiché la NET si basa sul bisogno umano universale di condividere esperienze, di raccontare storie, la sua applicabilità è indipendente dall’istruzione formale, dalla cultura o dall’età (approccio transculturale).
Le tre fasi dell’intervento terapeutico
L’intervento terapeutico, che anche nei casi più gravi arriva ad un massimo di 12 sedute, è organizzato in tre parti: la prima consente, tramite questionari, di porre la corretta diagnosi e di individuare tutti i tipi di traumi cui pazienti sono andati incontro.
La seconda consiste nella narrazione strettamente cronologica della vita del/della paziente, individuando non solo i traumi ma anche gli avvenimenti positivi e comunque significativi della biografia in modo da giungere ad una lifeline. In queste prime due parti dell’intervento terapeutico si rimane esclusivamente nell’ambito della memoria fredda, contestuale.
Nella terza parte avviene l’esposizione vera e propria del trauma o dei traumi sempre affrontati in ordine strettamente cronologico. Qui entra in gioco la memoria calda, associativa: il paziente viene empaticamente invitato ad esporre in dettaglio tutte le sensazioni, i pensieri, i sentimenti le reazioni corporee e che ogni momento del trauma ha scatenato in lei/lui nonché il significato che lei/lui ha attribuito a quei momenti. Il terapeuta non molla la presa fino a quando tutti i momenti del trauma e tutti gli aspetti associativi che lo compongono sono stati esposti contrastando, con grande sensibilità ed empatia, i vissuti del trauma con le sensazioni del qui e ora dell’intervento terapeutico. Alla fine il/la paziente vede il trauma con gli occhi dell’adesso, integra tutti i suoi vissuti (della memoria calda) con gli avvenimenti (della memoria fredda) e può finalmente lasciar passare il passato. Ho sperimentato in prima persona i momenti intensi ed interminabili dell’esposizione, ho rivissuto quei momenti del mio passato con i piedi nel presente e la costante, calda e rassicurante presenza di una terapeuta davanti a me. Credo che sarò grato finché vivo di aver potuto fare quest’esperienza, anche se i miei vissuti sono ben poca cosa rispetto ai traumi di chi è stata/o violentata/o, torturata/o, ha vissuto guerre e violenze d’ogni genere.
Interrompere la catena delle violenze
Proprio per questo la NET, per chi è disponibile, fa un passo in più. Non solo il/la terapeuta nella seduta successiva rilegge tutto quanto è stato detto dalla/dal paziente circa il proprio trauma e gliene dà il manoscritto che il paziente firma. Il/la terapeuta offre anche la possibilità al/alla paziente di lasciare una copia, anonimizzata, in un archivio a testimonianza dei diritti umani violati ma anche del desiderio di interrompere la catena delle violenze. Curando le ferite del trauma e consentendo ai sopravvissuti di testimoniare e riprendersi, si interrompe infatti la trasmissione del trauma. La NET riconosce e documenta “le violazioni dei diritti umani, mettendo i sopravvissuti in condizione di combattere la violenza, spesso sistemica, di cui sono stati vittime.”
Credo che riflettere su tecniche quali la NET sia sostenibile e innovativo allo stesso tempo. Ci consente di uscire da dibattiti spesso sterili e da contrapposizioni ideologiche sulla salute mentale nei nostri ricchi paesi occidentali e ci aiuta a comprendere le giuste proporzioni tra bisogni, risorse disponibili ed efficacia dei mezzi terapeutici. Ma è anche un modo per andare oltre pregiudizi e vecchi dogmi, e, anziché fare polemiche e attuare provvedimenti di retroguardia, essere aperti al nuovo.
Immagine: Achille benda la ferita di Patroclo – Ceramica di Sosia V Sec aC, da Wikipedia