La crisi della salute mentale dei/delle giovani

A noi giovani costa doppia fatica mantenere le nostre opinioni in un tempo in cui ogni idealismo è annientato e distrutto, in cui gli uomini si mostrano dal loro lato peggiore, in cui si dubita della verità, della giustizia e di Dio.

Il diario di Anna Frank, trad. di Arrigo Vita, Mondadori, 1982


Le crisi oggi abbondano: da quella pandemica del COVID appena superata, a quella forse imminente del MPOX (vaiolo delle scimmie), da quella finanziaria, da cui ci stiamo a fatica riprendendo, a quelle belliche, che sembrano proliferare anziché attenuarsi, da quella preconizzata dai catastrofisti dell’AI a quella, incontrovertibile, del clima, cui sembriamo andare incontro come il Titanic fece con l’iceberg.

Sulla base di queste premesse è quantomeno improbabile che un’altra crisi susciti non dico entusiasmo ma almeno l’attenzione e l’impegno che merita. Eppure dovremmo tutte/i darci da fare perché riguarda i nostri figli/le nostre figlie e/o i nostri nipoti/le nostre nipoti. È la crisi della loro salute mentale.

Il peggioramento della salute mentale giovanile 

Se infatti con l’arretramento delle principali malattie fisiche, in particolare di quelle infettive, che avevano afflitto la società fino alla seconda metà del XX secolo, i giovani e le giovani di oggi sono diventati i/le più sani/e dal punto di vista fisico di tutto il corso della storia umana, la loro salute mentale nelle due ultime decadi è peggiorata. Non lo dicono i soliti profeti di sventura, gli opinionisti che bofonchiano o urlano qualche parola in un servizio televisivo con il loro ultimo libro in mano, non lo afferma solo il chirurgo generale degli Stati Uniti, che ha etichettato il deterioramento dello stato psichico giovanile come una vera e propria “crisi della salute mentale dei giovani”. Lo testimoniano le statistiche di tutto il mondo, riportate tra l’altro da The Lancet Psychiatry Commission on Youth Mental Health, costituita dai più autorevoli neuropsichiatri infantili e professionisti della materia a livello internazionale. La Commissione ha recentemente pubblicato un Paper che è una riflessione ragionata sulla drammatica situazione attuale e contemporaneamente un pressante invito a riformare l’approccio alla salute mentale giovanile, puntando su prevenzione, intervento precoce e una comprensione più profonda delle specificità di questa fascia d’età (da questo sono tratti tutti i dati seguenti).

Le statistiche mondiali


Tra i molti studi (vd. anche figura 1 tratta dal già citato Paper, ad accesso libero) quello più allarmante è un recente studio nazionale sulla salute e sul benessere mentale condotto in Australia (2020-22), che ha mostrato un aumento del 50% rispetto al 2007 nella prevalenza di disturbi mentali nelle persone di età compresa tra 16 e 24 anni, che hanno raggiunto un tasso di prevalenza annuo del 39% nel 2020-22, mentre la prevalenza si spinge fino quasi al 50% nelle giovani donne.

Complessivamente i disturbi mentali sono oggi responsabili di almeno il 45% dell’onere complessivo delle malattie nei soggetti di età compresa tra i 10 e i 24 anni e sono tra le principali cause di disabilità in questa fascia d’età. Il suicidio è la principale causa di morte tra le persone di età compresa tra i 15 e i 44 anni in Australia e tra le persone di età compresa tra i 15 e i 39 anni in India,  è anche la seconda causa di morte tra le persone di età compresa tra i 15 e i 34 anni in Canada e tra le persone di età compresa tra i 10 e i 14 anni e 25-34 anni negli Stati Uniti. A livello mondiale il suicidio rimane la quarta causa più comune di morte per le persone di età compresa tra i 15 e i 29 anni.

Una recente revisione sistematica e meta-analisi ha studiato la distribuzione per età dei disturbi psichici sulla base di 192 studi epidemiologici su 708.561 individui che hanno sviluppato un qualsiasi disturbo mentale. Ebbene, entro i 14, 18 e 25 anni, le proporzioni erano rispettivamente del 34,6%, 48,4% e 62,5% del totale, evidenziando il peso della malattia mentale nei giovani.

L’ insorgenza dei disturbi psichici giovanili 


Bisogna peraltro precisare che da molto tempo si sa che le malattie mentali hanno un picco di età di insorgenza intorno ai 15 anni, e che circa il 63-75% delle malattie mentali si manifesta entro i 25 anni, il ché rappresenta l’inverso epidemiologico delle malattie fisiche. È pure risaputo che se non vengono trattate in modo efficace, le malattie mentali sono una delle principali cause di morte prematura per malattie fisiche e suicidio. Anche quando queste malattie non causano morte, sono una fonte permanente di sofferenza. Inoltre, secondo il World Economic Forum, la malattia mentale è, tra le malattie non trasmissibili, la più grande fonte di perdita di prodotto interno lordo (PIL) a livello globale.

Politiche sanitarie inadeguate

Non foss’altro che per questo stringente motivo economico, se non per umanità, si potrebbe pensare che le nazioni più industrializzate e benestanti si siano da tempo attrezzate per sconfiggere o, ancor meglio, prevenire questo flagello, che affligge, come spesso retoricamente si dice, “il nostro futuro”.

Ebbene solo il 2% del budget sanitario globale è dedicato alla salute mentale e, anche nei Paesi più ricchi, viene fronteggiata meno della metà dei bisogni, il ché rende la qualità della salute mentale mentale di gran lunga inferiore a quella dell’assistenza sanitaria fisica.

Inoltre poiché i disturbi psichici insorgono in gran parte, come visto, proprio tra i 14 e i 25 anni, a cavallo dunque dell’età (generalmente 18 anni) che definisce la soglia tra neuropsichiatria infantile e psichiatria degli adulti, il passaggio del trattamento da uno specialista all’altro è tutt’altro che facile e scontato.

Maggior bisogno di cure e peggiore accesso 

Lo studio MILESTONE, condotto nel Regno Unito, notoriamente dotato di assistenza sanitaria pubblica, ha confermato che solo il 19-6% dei partecipanti è passato ai servizi per adulti dopo aver raggiunto il limite massimo di età dei servizi di salute mentale per bambini e adolescenti (a 18 anni o a 16-19 anni) mentre il 26-8% è rimasto nei servizi di salute mentale per bambini e adolescenti. Il risultato è dunque che il gruppo di pazienti con il maggior bisogno di cure e le migliori prospettive di risposta al trattamento precoce, cioè gli adulti emergenti, abbiano il peggiore accesso alle cure. Altri studi dimostrano poi che anche in società ricche una percentuale sostanziale di giovani con disturbi mentali non ricorrono alle cure.

Lunghe attese e tassi di abbandono

Quand’anche i giovani ricercano un trattamento, devono affrontare lunghi tempi di attesa a causa dell’elevata domanda e della scarsità di terapeuti e risorse. L’attesa per le cure è associata a gravi conseguenze negative: un’indagine condotta nel Regno Unito nel 2022 ha rilevato che il 58% dei giovani in attesa di cure ha avuto un deterioramento della propria salute mentale e ben il 24% ha tentato di togliersi la vita. Per i fortunati che riescono ad accedere ai servizi, la qualità delle cure è a dir poco frammentaria e i tassi di abbandono sono elevati: un ampio studio ha riportato un abbandono del trattamento del 42% entro la terza seduta di terapia. I giovani che completano con successo il trattamento raramente ricevono poi un sostegno alle ricadute, nonostante sia noto che fino all’80% dei giovani con disturbi psichici complessi hanno spesso ricadute.

Quando i numeri hanno un volto 


Mi fermo qui con i numeri, che, si sa, se troppo numerosi, mettono paura. Inoltre le cifre possono trasmettere interessanti statistiche ma non storie, che ci servono invece per dare un volto a quello che leggiamo e a trasformarlo oltre che in riflessioni, anche in emozioni, senza le quali tutto rischia di rimanere astratto. Quando però ho dovuto dire a Maria, 18 anni appena compiuti e l’instabilità che le mangia il cuore ed i rapporti, che per entrare nel reparto di psicoterapia adatto a lei avrebbe dovuto aspettare più di 4 mesi, quel numero si è improvvisamente trasformato in emozione, anzi in tante emozioni, mie e sue. Dopo che ero riuscito con non poca fatica a convincerla che stare per 6-8 settimane a fare terapia con ragazzi e ragazze più o meno della sua età sarebbe stata un’occasione per lei di confrontarsi con sé stessa, lontana dalle liti familiari, dai conflitti lavorativi, e di imparare a capirsi e a capire gli altri senza dovere arrivare a ferirsi e a ferire, cosa le avrei detto? Che tanto va bene anche la terapia ambulatoriale? Che in altri Paesi non c’è neppure quella? È un po’ come se io arrivassi con una ferita al pronto soccorso e mi dicessero che non possono suturare la ferita ma mi potrebbero dare qualche cerotto…

Ecco in Psichiatria e in particolare in Neuropsichiatria infantile abbiamo spesso solo cerotti mentre avremmo bisogno di tante altre risorse, umane e materiali. Per questo vorrei continuare ad approfondire il tema della crisi della salute mentale giovanile nei prossimi articoli.