Da tempo i suicidi per crisi economica non raggiungono più le prime pagine dei giornali e non fanno nemmeno notizia nei social network. Difficile dire se ciò sia la fortunata conseguenza dell’esaurirsi di un fenomeno tragico oppure il frutto di colpevole dimenticanza, abietta negazione, rimozione a fini della retorica della ripresa. Difficile dirlo anche perché le statistiche al riguardo e soprattutto i commenti che su di esse venivano fino a poco tempo fa imbastiti ricordavano purtroppo da vicino i commenti politici dopo le elezioni. Con la macabra differenze che ad essere contesi qui erano dei morti. Oltre due anni fa avevo faticosamente cercato di mettere insieme qualche dato italiano, incompleto, che appariva allora ingenuamente rassicurante
Ora uno studio molto accurato, approfondito ed esteso praticamente a tutto il mondo condotto dalla Clinica Psichiatrica dell’Università di Zurigo fa chiarezza sul tema confermando molte preoccupazioni ma al tempo stesso evidenziando risultati inaspettati, come spesso accade quando, anziché lasciar parlare l’ideologia, si fa lavorare l’osservazione scientifica.
In questo studio longitudinale pubblicato online da Lancet Psychiatry pochi giorni fa (11.2.2015) sono stati analizzati tutti i dati pubblici relativi a suicidio, popolazione e economia derivanti dal database mortalità dell’Organizzazione mondiale della sanità nonché dall’economic outlook database del Fondo monetario internazionale (2000-2011). Da quest’ultimo database sono stati in particolare attinti ed analizzati quattro parametri economici: la percentuale di disoccupati rispetto alla forza lavoro, il prodotto interno lordo, il tasso di crescita e il tasso di inflazione.
I tassi di suicidi annuali sono stati selezionati per età e sesso. È stata utilizzata la classificazione internazionale dei disturbi psichici (ICD) per estrarre i dati dei suicidi (codici E950-959 e X60-C84) selezionando tutti i paesi con un numero di almeno venti suicidi maschili all’anno e con dati almeno sufficienti a coprire il periodo 2004-2009. I 63 paesi così selezionati sono stati poi raccolti in quattro gruppi, secondo la classificazione dell’Onu: America, Europa Nord-Est, Europa del Sud e dell’Ovest (tra cui l’Italia) e non Europa-non America (vabbè…).
I risultati:
I ricercatori di Zurigo hanno riscontrato che la disoccupazione è effettivamente correlata con un incremento del rischio relativo di suicidio del 20-30 % in tutte le quattro regioni mondiali esaminate. I suicidi associati alla disoccupazione erano 41148 all’anno nel 2007 (prima della crisi) e sono divenuti 46131 nel 2009 con un aumento dunque di 4983 suicidi rispetto a prima della crisi.
L’associazione dunque tra aumento della disoccupazione e aumento del rischio relativo di suicidio è confermata ma non è lineare e presenta un singolare sfasamento temporale.
Anche gli altri parametri economici (prodotto interno lordo, inflazione, tasso di crescita) sembrano avere una qualche influenza sul rischio di suicidio ma nessuno ha dimostrato una correlazione significativa per tutto il periodo in tutte le regioni prese in esame.
Va inoltre osservato che l’aumento del rischio relativo di suicidi verificatosi nel 2009 sì è per fortuna nuovamente ridotto nel 2011. Più precisamente:
The unemployment rates among the world regions differed more than the relative risk of suicides associated with unemployment between 2000 and 2011, reflecting non-linearity.
Over all study countries, the suicide rate associated with unemployment per 100000 population decreased from 3·53 (95% CI 3·36–3·69) in 2000, to 2·75 (2·65–2·86) in 2007, increased to 3·03 (2·91–3·15) in 2009, and decreased thereafter to 2·82 (2·71–2·94) in 2011
the relative risk of suicide decreased by 1·1% (95% CI 0·8–1·4%) per year between 2000 and 2011 (table 2). Notably, the time trends in the relative risk of suicide differed substantially. In the Americas, the relative risk of suicide increased by 0·7% (95% CI 0·1–1·4) per year, whereas in the non-Americas and non-Europe it remained stable (table 2). In northern and western Europe, the relative risk of suicide decreased by 2·4% (95% CI 2·1–2·7) per year and in southern and eastern Europe by 2·3% (1·9–2·7) per year between 2000 and 2011.
Quanto poi al genere, quello femminile risulta essere, così come già appariva da molti altri studi, per fortuna protetto.
Women had a four-fold lower relative risk of suicide than men (overall model 0·251 [95% CI 0·212–0·297]; table 2). Men had the highest suicide rates in southern and eastern Europe; women had the highest rates in the non-Americas and non-Europe
Per ciò che concerne infine l’età:
Finally, age groups only differed significantly in Europe, but not in the Americas and non-Americas and non-Europe (table 2). The relative risk of suicide in Europe was increased among older age groups (reference group: 25–44 years; northern and western Europe, 45–64 years: 1·516 [95% CI 1·226–1·873); northern and western Europe, ≥65 years: 1·449 [1·176–1·786]; southern and eastern Europe, 45–64 years: 1·701 [1·270–2·277]; southern and eastern Europe, ≥65 years: 2·172 [1·627–2·901]). Those individuals aged between 15 and 24 years had a reduced relative risk of suicide (northern and western Europe: 0·643 [95% CI 0·520–0·796]; southern and eastern Europe: 0·571 [0·425–0·766]).
I risultati più interessanti sono quelli però riguardanti sfasamento temporale e non linearità della correlazione tra disoccupazione e rischio di suicidio.
Lo studio dimostra infatti che il tasso di suicidio aumenta sei mesi prima dell’aumento del tasso di disoccupazione!
Queste alcune delle possibili spiegazioni:
Corporate downsizing and labour market restructuring during economic contraction could create additional work stress and a sense of job insecurity among the employed (eg, through an increasing work-load, change to part-time employment, or intermittent lay-offs), which might contribute to poor mental health.18,26 Besides such circumstances, however, particularly vulnerable individuals have an increased risk of dying by suicide.14
L’ampia ricerca zurighese dimostra inoltre a differenza di svariati altri studi, che è di fondamentale importanza il tasso di occupazione precedente alla crisi. Nelle aree infatti in cui i tassi di disoccupazione erano precedentemente bassi si riscontra il maggior incremento di rischio di suicidio, mentre quest’ultimo è paradossalmente ridotto in paesi che già conoscevano un tasso di disoccupazione molto alto.
The effect of a change in unemployment on suicide is stronger in countries with a lower rather than with a higher precrisis unemployment rate. Thus in countries where unemployment is uncommon, an unexpected increase in the unemployment rate might trigger greater fears and insecurity than in countries with higher precrisis unemployment rates.
Il quadro complessivo è tutt’altro che rassicurante. Ancor più se si considera che i suicidi per disoccupazione/motivi economici rappresentano circa il 20% del totale, dunque uno su 5. Eppure per la prevenzione del suicidio si potrebbe fare molto; qualcosa si sta già facendo nei singoli paesi venendo incontro alle direttive WHO (WHO. Public health action for the prevention of suicide. Geneva: World Health Organization, 2012. )
Le raccomandazioni dei ricercatori svizzeri mi sembrano più che condivisibili, anche se tutt’altro facili che da attuare.
Despite certain minor differences between world regions, the relative risk of suicide associated with unemployment remained quite similar between world regions and with time. This finding means that there is a continuous need to focus on preventing suicides, even more so in economically prosperous, stable time periods than in times of lower prosperity, when resources are scarcer. These efforts are necessary and valuable not only in countries with high, but also in those with low, unemployment rates. In particular, the interaction of fiscal austerity with economic shocks and weak social protection seems to escalate health and social crises, at least in Europe.
In particolare la seguente raccomandazione si presta in Italia all’indomani dell’approvazione del Job act a controversi giudizi.
Sufficient investment of governments in active labour market policies that enhance the efficiency of labour markets can reduce the unemployment rate and therefore help to generate additional jobs.
Anche in quest’ambito solo il tempo consentirà un giudizio oggettivo.
Importanti anche le conseguenze per il mondo del lavoro e l’assistenza sanitaria
Efforts at suicide prevention should be extended to professionals working with individuals at risk of unemployment, such as social workers and human resource management professionals. These professional groups should be informed about the specific risk and trained concerning the practical assessment of suicidality and possible interventions. Further, general programmes in medical education should support physicians to recognise, diagnose, and treat patients with depressions, thus leading to reductions in suicide.3 This also requires the particular attention of primary physicians to patients who are unemployed or at risk of job loss.
Mi permetto di aggiungere qualche mia vecchia riflessione
“Prima e più ancora di curare, si tratta di prendersi cura della persona, aiutarla a sentirsi correttamente percepito ed accettato nella sua disperazione, a superare sentimenti di vergogna che lo isolano ed a sviluppare invece nuovi sentimenti e legami di appartenenza. Si tratta ancora di essergli vicino rispettando tuttavia la libertà nel suo doloroso cammino di ricerca per (ri)dare senso alla propria drammatica vicenda e riannodare il delicato filo della propria esistenza”.
Immagine: Suizid di Thies Henneböhl