“Il metodo preferito dall’attuale scienza psicoanalitica – scrive nel 1937 lo psicanalista ungherese, naturalizzato inglese, Michael Balint – è l’approccio genetico; per spiegare un fenomeno psichico osservato in questo momento lo si fa risalire indietro fino a un fenomeno precedente e si dimostra in quale misura e in virtù dei quali influssi esterni e interni quest’ultimo si sia tramutato in quello attuale. Questo tipo di indagine che ricorda un po’ i gamberi finisce con arrestarsi in un punto…. proprio la dove il primo fenomeno quello originario non è più suscettibile di osservazione …nei primi anni della psicoanalisi la ricerca teorica arrivò fino alla situazione edipica, al quinto o al terzo anno di vita…” (M. Balint, L’amore primario).
Proprio (tra gli altri) ad un successore di Balint, lo psicanalista inglese John Bowlby e alla sua assistente Mary Ainsworth si deve l’avvio dell’osservazione diretta dei bambini nella prima infanzia, dei neonati e delle interazioni madre-bambino, un passo decisivo verso il metodo scientifico. Ne sono scaturite scoperte fondamentali non solo per la teoria psicanalitica (teoria dell’attaccamento) ma anche e soprattutto per la comprensione scientifica dello sviluppo infantile e del comportamento relazionale adulto (attaccamento sicuro, insicuro evitante, insicuro-ambivalente etc) . È nato anzi un vero e proprio nuovo filone di ricerca, quello detto con una punta di inglese umorismo dei baby watchers e da questo ulteriori essenziali scoperte su fasi e modalità del rapporto madre-bambino e dello sviluppo infantile.
Non è dunque un caso che proprio a Londra sia sorto il Babylab probabilmente il più completo laboratorio esistente dedicato esclusivamente all’osservazione e alla comprensione dello sviluppo infantile. Nel Babylab cui l’ultimo numero di Nature dedica un bell’ articolo vengono applicate tutte le tecniche immaginabili per risolvere i tanti enigmi che gravano ancora su un periodo di sviluppo, quello dei primissimi anni di vita, in cui avvengono le trasformazioni più importanti di tutta la vita stessa dallo sviluppo del linguaggio alla coscienza al carattere. Le tecniche di studio finora impiegate, basate in sostanza sull’osservazione di modi e tempi di fissazione dello sguardo infantile, si sono rivelate però molto limitate nel farci comprendere cosa succede nel complesso cervello infantile. Al Babylab sono state elaborate ed introdotte nuove tecniche quali la NIRS (infant near-infrared spectrometry) che misura l’attività cerebrale sulla base del colore cioè del grado di ossigenazione del sangue consentendo quindi di stabilire quali siano le aree cerebrali attivate. Molte altre tecniche (elettromiografia, elettroencefalogramma etc) sono state adattate alle situazioni infantili consentendo quindi la registrazione dei parametri che si vogliono misurare mentre il bambino svolge la sua normale movimentata attività oppure viene stimolato (da una “boccaccia” o da una farfalla artificiale) o la sua attenzione viene volontariamente distratta dallo stimolo. In un progetto del Babylab – finanziato con 2,3 milioni di sterline – bambini dai 18 mesi ai 3-4 anni di età saranno attaccati a modelli senza cavi di elettroencefalogramma, NIRS, tecniche di rilevamento dello sguardo mentre si muovono, giocano e interagiscono con altri bambini al fine di capire meglio processi quali lo sviluppo del linguaggio, della memoria a lungo termine, dell’identità personale.
Nei progetti di ricerca particolare attenzione viene dedicata al disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e all’autismo. Uno studio svolto al Babylab lo scorso anno su 104 bambini ha dimostrato che “i bimbi ad elevato rischio di autismo venivano dapprima attratti dal viso ma risultavano impiegare meno tempo complessivo rispetto ai bambini “neurotipici” nell’osservare un qualsiasi oggetto. E i bimbi che avrebbero poi sviluppato l’autismo presentavano il minor tempo in assoluto”. Una precedente ricerca dimostrava d’altro canto che bimbi di 9 mesi destinati a sviluppare l’autismo erano più capaci rispetto agli altri di individuare una lettera estranea in un gruppo di lettere su uno schermo. L’ipotesi che ne deriva, da tempo nota e corroborata da molte altre osservazioni cliniche e studi, è che questi bambini abbiano una particolare attenzione per i dettagli (superior perception) e che proprio per questo facciano più fatica a trarre delle conclusioni di carattere generale. Ce lo fa splendidamente capire anche Mark Addon, nel suo romanzo Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte.
La speranza dei ricercatori è di arrivare a trovare degli indicatori, biomarkers che consentano di porre diagnosi precoce di autismo. Anche perché altre ricerche sembrano dimostrare che terapie mirate molto precoci (addirittura nel primo anno di vita) svolte da operatori o dagli stessi genitori precedentemente istruiti sembrano dare promettenti risultati, potendo ridurre o addirittura in alcuni casi prevenire l’insorgenza dei sintomi di autismo.
Suggerimento d’ascolto: Claude Debussy, Chlidren’s Corner