Stigma e social media.

Qual è il potere delle parole? Chi avrebbe potuto rispondere al meglio a questa domanda ci ha purtroppo lasciato qui come coglioni, come scriveva in un memorabile Tweet Francesca Chiusaroli In una sua celebre bustina di Minerva Eco suggeriva infatti che “l’unico modo di prepararsi alla morte è convincersi che tutti gli altri siano dei coglioni”. All’interno delle genialmente ironiche considerazioni di Eco, il termine “coglioni” ha un effetto liberatorio, togliendo ogni velo di ipocrisia dalla dolorosa verità della morte (e della vita tra coglioni). Ma Eco è stato anche un maestro nell’analizzare le modalità d’impiego di una parola per ricavarne l’atteggiamento sotteso al concetto. Se associo psichiatra e psichiatria prevalentemente a violenza, imposizione, potenza, difficilmente mi rallegrerò al pensiero di incontrare un rappresentante della categoria.
Cosa si associa al termine “schizofrenia” e in particolare cosa vi associano i (presunti) giovani adulti che usano Twitter? Se lo sono chiesti i ricercatori che hanno analizzato tweets contenenti gli hashtags #schizophrenia and #schizophrenic nel primo studio dedicato allo stigma sui social media e pubblicato in Schizophrenia Research  Per farlo hanno paragonato questi tweet con quelli contenenti gli hashtag #diabetes and #diabetic, – una malattia socialmente accettata – analizzando più di 1,200 tweet dal punto di vista della frequenza del linguaggio negativo, sarcastico o con emoticon, inappropriato o inaccurato da un punto di vista medico. Più esattamente:

Tweets were considered “negative” based on the presence of negative valence words within the tweet. Tweets with the words “die,” “hate,” or “pain,” for instance, were flagged as negative. Similarly, tweets were considered “sarcastic” if they included humorous or sarcastic words, phrases, or emoticons, such as “LOL,” “:)” or “hahaha.” Medically inappropriate tweets make a direct reference to an inaccurate fact about the illness, such as conflating multiple personality disorder with schizophrenia or confusing Type 1 and Type 2 diabetes. Tweets were considered “not a reference” if they did not refer to the illness, a feature of the illness, or a person with the illness at all. For instance, if the tweet said, “The economy is so #schizophrenic” it would be considered “not a reference.”

Hanno dovuto constatare che la stragrande maggioranza dei twitters usano il termine schizofrenia “ad minchiam”. Twitter (“which offers a window into the uncensored and unscripted discourse of the online generation”) rivela atteggiamenti e prospettive negative verso la schizofrenia, non diversi – aggiungo io – da quelli della generazione offline.
I twitters usano infatti il termine schizofrenia in modo negativo, sarcastico e inappropriato molto più di quanto non succeda per il termine diabete e ciò in percentuali statisticamente significative. Confondono la schizofrenia con il disturbo di personalità multiple, usano l’aggettivo schizofrenico per indicare condizioni che nulla hanno a che fare con la malattia (“il tempo è schizofrenico”), in modo sarcastico o con riferimenti a temi negativi quale quelli dello violenza – anche se solo il 5% degli omicidi con armi è causato da persone con disturbi mentali.
Non si può dire che sia una rivelazione sconvolgente. Chi non ha mai usato l’aggettivo schizofrenico per riferirsi alla politica italiana scagli la prima pietra.
Cosa fare? Non potendo cambiare le cose sostituire i loro nomi? Lanciare un concorso per sostituire il termine schizofrenia con uno socialmente più invitante? in Italia avremo buone possibilità di vincerlo. Gli schizofrenici sono certo “Ideatori di mondi invisibili”, “percepiscono fenomeni ai più inaccessibili”, potrebbero a buon diritto rivendicare i diritti della realtà virtuale, anzi della realtà maggiorata, dell’iper-realtà essendone i primi progettisti e costruttori. Smetterebbero per questo di soffrire?
Recuperare il Laing sessantottino che riteneva la psicosi una reazione “normale”, “sana” alla società alienante e repressiva? Sono gli schizofrenici gli unici sani in un mondo di coglioni? Che tutti lo siamo ontologicamente non c’è dubbio ma dalle loro tremende angosce è quanto meno discutibile concludere che si sentano molto bene.
Cosa fare allora?
Darcy Granello, professor of educational studies at The Ohio State University ha dimostrato in una serie di studi che la semplice sostituzione del termine “malati mentali” con “persone affette da malattie mentali” cambia in modo significativo l’atteggiamento nei confronti di queste stesse persone. Non è (solo) questione di political correctness. Gli studi dimostrano che in tutti i gruppi (studenti, volontari adulti, counselors) analizzati , i probandi che avevano ricevuto saggi in cui veniva usata l’espressione “malati mentali” presentavano verso questi ultimi una tolleranza significativamente minore rispetto ai probandi che avevano ricevuto saggi contenenti l’espressione “persone con malattie mentali”.
Ma, si sa, anche cambiare le parole costa fatica e spesso, soprattutto quando riguarda gli altri, viene percepito come inutile. Perché allora non provare ad avvicinarsi a chi la schizofrenia la soffre? A maggior ragione se si può fare “a distanza” guardando un breve video di 15 minuti in cui Elyn Saks, la Prof.ssa Saks, racconta in modo sincero, appassionato ma mai ideologico, approfondito ma comprensibilissimo la sua sofferta, difficile, lotta con la schizofrenia. Che è riuscita a vincere solo quando è riuscita ad accettare la verità di averla ma anche di poterla curare e di poter vivere. “Non esistono gli schizofrenici.. esistono persone con la schizofrenia .. potrebbero essere vostra moglie, vostro figlio…dipingeteli in tutta la ricchezza e profondità della loro esperienza di persone e non di diagnosi” “L’umanità che abbiamo tutti in comune è più importante della malattia che non abbiamo”.