„La società informata e i suoi nemici. Perché la digitalizzazione mette in pericolo la democrazia“ è il titolo di un recente saggio (in tedesco) di Stephan Ruß-Mohl docente di giornalismo e Medienmanagement all‘Università della Svizzera italiana di Lugano nonché direttore dell’European Journalism Observatory (www.ejo- online.eu). Nel libro, dai toni sono piuttosto drammatici, la disinformazione è descritta come la peste del nostro tempo, la perdita di credibilità del giornalismo, l‘ascesa della figura e del ruolo dei PR, l‘accelerazione dei processi di elaborazione delle notizie vengono indicati come preoccupanti Trends. I nemici della società informata vengono individuati da un lato nei nuovi poteri autoritari ed autocratici (ad es. Putin, Erdogan) che falsificano le notizie a loro piacimento, ma anche tra i nuovi trionfanti populisti (tra cui vengono citati insieme a Trump e Le Pen anche i 5 Stelle in Italia e AfD in Germania) che fanno del sensazionalismo a senso unico la loro arma. Tra gli accusati anche i baroni dei media (sulla scia di Berlusconi e Murdoch) e ancor di più i giganti della tecnologia informatica (Google, Facebook, Amazon etc) che grazie al loro potere economico e a quello insindacabile dei loro algoritmi riporterebbero la società post-moderna a sistemi di potere feudali e anti- illuministici. Le denunce di Stephan Ruß-Mohl sono documentate da fatti, cifre, dati. L’ultimo scandalo della Cambridge Analytica, che avrebbe spiato per conto di Trump milioni di utenti Facebook dimostra che le preoccupazioni di Russ-Mohl non sono infondate. Mostrare il lato oscuro e potenzialmente pericoloso di giganti tecnologici che si presentano come il Mulino Bianco dell’informatica è certo utile e riflettere e far riflettere su quanto limitato sia il nostro potere di decisione e quanto ampia sia invece la possibilità di venir influenzati doveroso. Il saggio si colloca in un‘ampia scia di pubblicazioni, (cito solo, alla rinfusa, Homo premium di Massimo Gaggi, „World without Mind: The existential Threat of Big Tech“ di Franklin Foer, „The Internet of us: Knowing more and understanding less in the sage of Big Data“ di Lynch di cui avevo già scritto qui) che si potrebbero definire „contro-riformistiche“, molto critiche cioè nei confronti della riforma o meglio rivoluzione digitale. È naturale e credo anche sensato che dopo tanto entusiasmo, un po‘ ingenuo, sulla rivoluzione digitale come nuova liberazione antropologica dell‘uomo il pendolo oscilli dall‘altra parte, mostrando limiti e rischi di una rivoluzione alla quale tutti potremmo, anzi dovremmo prender parte. Quando però dalle critiche, indignazioni e reprimenda si giunge alle ricette mi sembra che il contro-riformismo mostri i suoi limiti. Molti appelli all‘etica professionale di giornalisti, uomini di scienza e manager, inviti alla sorveglianza e alla partecipazione attiva, l‘educazione (digitale) come momento privilegiato da sviluppare e curare e via predicando. Tutto vero e giusto, ma anche molto lapalissiano. Se tutto fosse così scontato e facile non avremmo nemmeno il problema. Sarebbe un po‘ come se cercassi di convincere il mio paziente paranoico che l’infame congiura della quale si sente vittima non c‘è. La forza del suo inconvincibile delirio non sta ovviamente nelle argomentazioni razionali che ne costruiscono solo l‘involucro esterno ma nei sentimenti di offesa, umiliazione e risentimento che ne costituiscono il nucleo. La sua sfiducia non è ingiustificata così come non lo è quella dei controriformisti che vedono “congiure” tra i piccoli e grandi giganti informatici. Tutti sappiamo che qualsiasi azienda, IT o no, non è un’associazione di beneficenza (e se anche lo fosse bisognerebbe comunque dubitarne) e che ogni oligarchia aumenta la tentazione di sfruttare più o meno legalmente il potere. (Per fortuna l’inconscio, con i suoi trabocchetti, è più democratico e vale in egual misura per noi impotenti utenti di social media come per Gates e Zuckerberg). Mi domando allora se non sia utile ribaltare il punto di vista e anziché vedere sempre le congiure altrui guardare le travi nei nostri occhi, fuor di metafora le emozioni e i sentimenti che ci inducono a ricercare lo sguardo e possibilmente l’approvazione altrui – come faccio anch’io qui ora – fino a diventarne dipendenti. Trovarsi in una condizione di dipendenza psicologica non è il massimo ma nemmeno una catastrofe eccezionale. Lo siamo nei confronti delle persone che amiamo, dei nostri stessi sentimenti, degli imprevisti ed incidenti, delle stesse condizioni meteorologiche… Forse oltre a smascherare doverosamente meccanismi illegali di abuso della nostra privacy e dei nostri dati personali potremmo anche chiederci perché noi tendiamo così tanto a lasciarci influenzare e manipolare.
(Segue)
Immagine tratta da reeditor.com
Suggerimento musicale di @marcoganassin John Lee Hooker & Van Morrison – Dont Look Back