Un disperato diritto di scelta

Ritengo che il suicidio assistito (qui le informazioni essenziali sul SA svizzero)costituisca, insieme a cure palliative, evitamento dell’accanimento terapeutico e testamento biologico, una misura necessaria, sensata dal punto di vista medico e dignitosa da quello umano, per alleviare le sofferenze di persone affette da malattie mortali o gravemente invalidanti e dolorose.
Non mi è stato facile arrivare a questa conclusione. Quando 25 anni fa, con la mia cultura cattolica (e) provinciale, mi sono traferito in Svizzera, confesso di aver provato un certo fastidio a sentir parlare con tolleranza, che a me appariva nonchalance, di “morte libera” (Freitod). Un concetto che invece nella cultura svizzera, impregnata di protestantesimo (calvinista e zwingliano), autonomia, autodeterminazione e autosufficienza, circola da secoli. Ancora più fatica ho fatto quando, da psichiatra, mi sono trovato a dover giustificare provvedimenti di ricovero coatto per pazienti psichiatrici gravi che avevano richiesto il supporto dei legali di Exit, la prima organizzazione che in Svizzera si interessava di suicidio assistito. È già di per sé molto doloroso percepire l‘angoscia di pazienti che, a causa della loro disperazione, non vedono altra possibilità se non quella del suicidio. Dover disporre provvedimenti restrittivi, anche se temporanei, della libertà personale è cosa che non si decide a cuor leggero. Il desiderio di ogni psichiatra, ogni medico (e credo di ogni uomo) è che tali provvedimenti rendano possibili cure che restituiscano alla persona che soffre l’equilibrio e la speranza di un nuovo inizio. Dover combattere contro ricorsi in cui mi sembrava che il diritto ignorasse la tragedia della malattia e mistificasse la sofferenza non mi era facile. In almeno due occasioni mi è stato poi esplicitamente richiesto da miei pazienti di dare il mio consenso perché avviassero la procedura per il suicidio assistito. In entrambi i casi ho, con rispetto ma anche con risolutezza, negato il mio consenso essendo (tutt‘ora) convinto che le malattie che presentavano allora quei pazienti fossero curabili e guaribili. Così è anche stato. Quei pazienti sono effettivamente guariti e hanno compreso, a posteriori, il mio rifiuto.
Col tempo ho però preso atto che il mondo non è fatto solo di pazienti psichiatrici. Ci sono purtroppo tante altre malattie e sofferenze che non possono essere né curate né guarite, nelle quali l‘unica via d‘uscita è costituita dalla libera volontà del paziente, in presenza naturalmente di lucidità mentale. In quelle condizioni estreme di dolore e sofferenza è solo ciascuno di noi che può stabilire se quel calvario è o meno sopportabile, ha o meno un senso, può o meno essere vissuto. È una decisione interiore, che ha il diritto di essere rispettata e, nei termini e nei modi della legge, messa in atto. La soluzione svizzera del suicidio assistito, che si fonda in realtà su un‘esile base legale (la non punibilità ci per chi, in assenza di motivi egoistici, presta aiuto al suicidio, art 115 del codice penale svizzero), privilegia proprio questo aspetto di volontà interiore che si articola poi in un rapporto di fiducia tra medico e paziente “Il nostro modello si basa sulla fiducia in due persone coinvolte: il medico e la persona che si vuole suicidare“(Hurst- Majno). Con vantaggi e svantaggi. Altri modelli medico-legislativi sono naturalmente possibili. Con altri pro e contra. Credo che in una questione così delicata e complessa ci si possa solo lontanamente avvicinare ad una soluzione accettabile. Anche l’idea di poter gestire autonomamente la propria vita e la propria morte è di per sé un’illusione. Si può, forse, cercare la via d’uscita meno disperata in una situazione disperata. Fondamentale rimane, per me, il diritto di ognuno di noi, in una situazione di sofferenza estrema ed irreversibile, a scegliere e al rispetto di questa dolorosa scelta.