La fiducia uno (se) la può dare? Tutto sembra ruotare attorno alla capacità di dare e accogliere fiducia nell’intenso romanzo “Gli effetti collaterali dei sogni” di Delphin de Vigan. La protagonista, Lou, una ragazzina non ancora tredicenne racconta che la sua amica, No, una diciottenne senzatetto che lei cerca disperatamente di aiutare, “vuole sapere se ho fiducia in lei, se mi fido di lei” e soggiunge :”non posso fare a meno di pensare a quella frase che ho letto da qualche parte, non so più dove: chi chiede continuamente conferma della tua fiducia sarà il primo a tradirla”. Nel romanzo, nella vita di e attorno a Lou la fiducia viene persa e ritrovata, concessa, soppesata, rifiutata. La madre di Lou precipita, dopo la morte dell’altra figlia, in una depressione che sembra senza ritorno. Quando Lou le porta a casa No, la madre si riapre alla fiducia nella vita. No a sua volta sembra aver ritrovato la fiducia nell’amicizia e nella vita grazie a Lou, che non si è accontentata di fare una ricerca sul campo sui senzatetto per il suo docente di liceo, ma vuole aiutare davvero No a costruirsi una vita che fino a quel momento le è stata negata. Lou non vuole accettare le spiegazioni realistiche ed impotenti ad un tempo di suo padre secondo il quale “le cose sono come sono e ce ne sono molte contro le quali non possiamo fare niente. È quello che bisogna accettare per diventare adulti”. Lou riflette:” siamo capaci di spedire aerei supersonici e missili nello spazio, identificare un criminale grazie a un capello o un minuscolo lembo di pelle, creare un pomodoro che resti tre settimane in frigorifero senza raggrinzirsi, contenere miliardi d’informazioni in un microchip. Siamo capaci di lasciar morire la gente per strada”
Al tema della fiducia e della sincera gentilezza (Kindness) è dedicato anche un bell’articolo di Peter Fonagy apparso sul Guardian qualche tempo fa in occasione della settimana di consapevolezza della salute mentale. Fonagy, uno dei maggiori psicoanalisti contemporanei, riflettendo su fiducia e controllo, constata che la gentilezza sconfigge la nostra naturale e necessaria vigilanza, la fiducia crea una catena capace di trasportare la cultura attraverso le generazioni . Tragicamente vengono però esclusi da questa catena – soggiunge Fonagy- proprio coloro che, in forza delle esperienze negative passate, sono stati privati della capacità di aver fiducia: le persone con disturbi mentali, problemi di droga, senzatetto o migranti provenienti da altre culture. Chi non ha alle spalle esperienze altrettanto difficili fatica a comprendere la loro diffidenza, a capirli, tende nuovamente a giudicarli e ad escluderli in un circolo vizioso che si auto perpetua. Se non riusciamo a comprendere davvero le preoccupazioni di chi ci sta davanti, le nostre buone intenzioni non sono in grado di penetrare la loro barriera difensiva, la nostra tolleranza rimane limitata e quando è esaurita ritiriamo la nostra fiducia proprio nel momento in cui ne avrebbero più bisogno. Gli studi dimostrano inoltre che i bambini maltrattati subiscono un danno così grave alla loro fiducia che la loro capacità di appendere è quasi impossibile.
Anche noi ora, a causa della pandemia, ci troviamo in una condizione di incertezza ed insicurezza tale per cui la fiducia in noi stessi, nelle nostre capacità, nella scienza e negli scienziati è incrinata. Anche noi ci sentiamo fragili e condividiamo per qualche istante l’insicurezza cui sono costantemente esposti gli emarginati. Possiamo a questo punto negare la nostra fragilità, nasconderla sotto un ottimismo borioso, che ci illude di superare tutto e tutti. Non mancano esempi illustri. Possiamo compatirci e rinchiuderci in un isolato quanto sterile vittimismo. Oppure possiamo comprendere che la nostra capacità di vedere il nostro punto di vista e quello altrui è l’essenza della nostra umanità, il nostro punto di forza. Il nostro rapporto con la pandemia è lo specchio quanto mai veritiero del conflitto dialettico che si agita in noi tra tra fiducia e controllo. Paradossalmente mentre adottiamo doverose misure di controllo per limitare e ridurre la pandemia ci rendiamo conto di quanto te controllo sia limitato nella sua efficacia. Non solo. Il desiderio di controllo può infiltrare sempre più l’atmosfera delle nostre relazioni, chiudendo la nostra mente (e il nostro cuore). Una fiducia critica e consapevole può essere il suo antidoto.