„Era in gioco la speranza. La cosa più sacra nella vita.“
Così si esprime Kafka, o quantomeno il Kafka di Jordi Serra i Fabra lo scrittore spagnolo che, prendendo spunto da un episodio realmente accaduto della vita di Kafka, trasforma l’autore della Metamorfosi nel postino delle bambole. Nel racconto „Kafka e la bambola viaggiatrice“ infatti, il non proprio ilare scrittore ceco si trova a consolare in un parco di Praga una bambina che ha perso la sua bambola. Lo fa raccontandole che la bambola è in realtà partita per un lungo viaggio e che le ha lasciato una lettera che lui, in quanto appunto postino delle bambole, ha l’incarico di recapitarle e leggerle. Inizia così una tenera storia di speranza proprio nel momento il cui la bambina vive uno dei suoi primi lutti.
Alla speranza ed alla disperazione è dedicato anche l’ultimo breve saggio “Speranza e disperazione” di Eugenio Borgna, un corpo a corpo con la speranza che si svolge a profondità sconvolgenti e vette altissime alternando psichiatria, letteratura, filosofia e la stessa esperienza clinica e umana di Borgna nel manicomio femminile di Novara. Eppure, pur confrontandosi e confrontandoci con riflessioni di straordinario spessore e con esperienze di inenarrabile sofferenza, Borgna sembra tenerci per mano e farci coraggio come il fantasioso Kafka con la bambina. Borgna, che aveva dedicato alla speranza studi e riflessioni quando ancora questo tema in Italia non veniva ritenuto degno di considerazione psichiatrica, prende le mosse dalle argomentazioni di S. Agostino sul tempo, distingue la speranza dall‘attesa e dall’ottimismo, che „ si illude di orientare il futuro lungo il sentiero dei nostri desideri e delle nostre aspirazioni, non riconoscendone mai il mistero“ mentre la speranza „è declinazione esistenziale, immaginazione e destino, che dischiude dinnanzi a noi un futuro non mai prevedibile e non mai programmabile”. Borgna sviluppa poi le sue riflessioni sulla scorta dei pensieri di Leopardi, secondo il quale „l‘uomo senza speranza non può assolutamente vivere“. Anzi „la disperazione medesima non sussisterebbe senza la speranza, e l‘uomo non dispererebbe se non isperasse“ tanto che, prosegue Leopardi, “ chi si uccide da se, non è veramente senza speranza“ in quanto confida con il suicidio di porre fine alle sue pene. Borgna illustra poi come le idee di suicidio possano accompagnare saltuariamente o persistentemente l’andamento della sofferenza psichica sulla scorta delle proprie esperienze cliniche ma anche del diario di Cesare Pavese, morto suicida. In questo lungo viaggio negli oscuri territori dell‘animo umano Borgna non si stanca di ripetere che la speranza è responsabilità e compito, a maggior ragione di fronte alle tragedie attuali, quali quella della migrazione: „la strage delle speranze umane è una delle cose più strazianti che oggi avvengono, e in fondo se ha un senso scrivere un libro sulla speranza, sulle attese e sulle speranze, è quello di riflettere sulla fine delle diserzioni della speranza, sulle conseguenze umane e sociali che conseguono alla perdita e alla cancellazione della speranza”. Ma soprattutto Borgna invoca un’etica della speranza per la cura. Anzi la speranza stessa è per lui cura. “Se la speranza non vive nel cuore di chi cura, o di chi assiste, una persona che sta male, la fiamma divorante del dolore e della disperazione, delle ferite sanguinanti dell’anima, non si spegnerà mai. La speranza in noi recupera e dilata i confini della cura, e la speranza è l’antidoto al male di vivere che è così legato alla sofferenza psichica, e alla solitudine che di essa è conseguenza dolorosa e lacerante”.
Credo che mai come oggi abbiamo bisogno di speranza, intesa nel senso di Kierkegaard proprio come passione del possibile.