Leggerezza

Nel bel mezzo di quello strampalato capolavoro che é La principessa Brambilla del non meno strampalato E.T.A. Hoffmann viene narrata la storia del re Ofioch e della regina Liris. Il giovane re Ofioch, che regnava sul paese del giardino di Urdar era perennemente triste, ragion per cui il consiglio di stato pensò bene di fargli sposare la principessa Liris, del giardino di Hirdar, che non faceva altro che ridere tutto il giorno. Contrariamente alle previsioni, le nozze non cambiarono lo stato d’animo degli sposi. Solo grazie alla magia di un grande saggio, essi riuscirono, dopo 13 lune, a posare il loro sguardo su una magica sorgente, si rispecchiarono e dopo aver entrambi riso di un nuovo riso a loro precedentemente sconosciuto, esclamarono:” Oh! eravamo in una contrada lontana e deserta, presi da terribili incubi, ed ora ci siamo ridestati in patria… ora finalmente ci riconosciamo in noi stessi e non siamo più come creature abbandonate!”
Mi tornava alla mente questa strana favola nell’attuale fase della pandemia in cui la stanchezza accumulata ci toglie le forze, le sofferenze patite pesano su di noi come macigni e le preoccupazioni ci impediscono di aprirci pienamente alla speranza. Abbiamo perso familiari, parenti, amiche/i, lavori e prospettive di reddito, mesi di scuola e di socialità, la fiducia nelle istituzioni e se non nella scienza certo in molti scienziati per non parlare dei politici. Abbiamo perso la normalità, ne cerchiamo un’altra pur sapendo che non potrà più essere quella di prima. Sarà anche migliore, ma intanto non arriva.
Non abbiamo bisogno di ilarità, che suonerebbe falsa e empia per i tanti che non ce l’hanno fatta. Ma avremmo certo tutte/i un disperato bisogno di leggerezza, per tornare a guardarci in faccia senza paura e senza livore, nella consapevolezza della tragedia ma anche nella speranza del suo superamento. Abbiamo bisogno di guardarci allo specchio e di riconoscerci in noi stessi. Credo che la sorgente più pura cui noi possiamo attingere siano gli occhi delle/dei nostre/i figlie/i. Di fronte a loro possiamo riconoscere di essere stati e essere in parte ancora in una contrada deserta e lontana in preda a terribili incubi. Guardandoli negli occhi possiamo però risvegliarci a casa, non più abbandonati e senza più abbandonarli. Il virus non perde certo la sua pericolosità perché noi ci guardiamo nuovamente negli occhi. Tanto rimane ancora da fare per la prevenzione, la cura, il tracciamento, la vaccinazione, l’economia. Eppure se noi non abbiamo il coraggio di guardare negli occhi le/i nostre/i figli/e per dire loro che stiamo tornando a casa, chi lo farà al nostro posto?