„Non c’è uomo più completo di colui che ha viaggiato, che ha cambiato venti volte la forma del suo pensiero e della sua vita” scrive Alphonse de Lamartine. Chissà cosa avrebbe pensato al riguardo Penelope, che dopo dieci anni di guerra, ha dovuto aspettarne altri venti prima di rivedere il marito, Ulisse. L‘hashtag #OmeroEDintorni proposto da @SalaLettura pochi giorni fa mi ha fatto tornare alla memoria quest’uomo dal multiforme ingegno, Ulisse appunto, che non cessa di esercitare il suo fascino anche nei tempi moderni. Nell’Odissea (libro XII) Ulisse nel suo avventuroso viaggio di ritorno verso Itaca con i suoi compagni, si salva tra l’altro dall’incanto delle Sirene con un po’ di cera messa a mo’ di tappo nelle orecchie dell’equipaggio e con le corde che lo legano all’albero della nave, consentendogli di ascoltare il canto ma impedendogli di cedere alle lusinghe delle creature mitiche. In realtà questi esseri per metà uccello e per metà pesce che affermano: “Tutto sappiamo quello che avviene sulla terra feconda“ sembrano rappresentare l’illusione della conoscenza illimitata individuale. La salvezza di Ulisse in Omero prima ancora che dovuta alla (semplice) tecnologia del tempo (cera e corde), è ottenuta grazie alla condivisione e organizzazione delle conoscenze. Ulisse infatti fa tesoro dell’avvertimento di Circe:” “giungerai per prima cosa dalle Sirene che incantano tutti gli uomini che passano loro vicino. Chi senza saperlo si accosta e ode la voce delle Sirene, non torna più a casa” e del suo consiglio: „chiudi le orecchie dei tuoi compagni con della morbida cera, perché nessuno di loro le oda; tu ascolta, se vuoi, ma fatti legare con i piedi e le mani alla base dell’albero“. Ma Ulisse non tiene il consiglio solo per sé, condividendolo invece con i suoi compagni, come dovrebbe accadere in ogni buon team, di ricerca, di avventura, di vita: “Amici, non è giusto che una persona o due soltanto sappiano quello che mi ha rivelato Circe divina. Io ve lo dirò, affinchè, consapevoli, possiamo affrontare la morte o sfuggire al destino fatale”.
Kafka, sempre affascinato dalle possibilità più sventurate e interessato più al rapporto del singolo che del gruppo con il destino, introduce, nel suo apologo “Il silenzio delle sirene” (1917), due elementi di novità, il fatto che il canto delle Sirene penetri ovunque e soprattutto l’idea geniale che le Sirene possiedano “un’arma ancora più temibile del canto, cioè il loro silenzio”. Nel racconto kafkiano Ulisse, inconsapevole di questa duplice arma delle Sirene, che risultano pertanto ancora più potenti, riesce a salvarsi non grazie a cera e corde ma al suo atteggiamento interiore, la sua risolutezza, cosicché “le Sirene sparirono davanti alla sua determinazione”.
Nell’excursus di Theodor Adorno, “Odisseo, o mito e illuminismo”, che si trova all’interno de La “Dialettica dell’Illuminismo” (1947) di Max Horkheimer e Theodor Adorno, Ulisse viene visto come il moderno Homo Faber, l’incarnazione dello spirito della moderna società borghese.
Secondo Adorno infatti, “come la storia delle Sirene adombra il nesso inestricabile di mito e lavoro razionale, così l’Odissea, nel suo complesso, testimonia della dialettica dell’illuminismo.” Ulisse, come osserva Lodovica Adamo – cui sono debitore per queste informazioni – rappresenta “il Sé che mira a liberarsi dal mito, dalla superstizione e dalla religione attraverso un processo dialettico di sottomissione/emancipazione dalla natura.” L’itinerario da Troia ad Itaca è la metafora della dialettica stessa dell’illuminismo. Ulisse deve sconfiggere le figure mitologiche incontrate durante il viaggio per prendere coscienza di sé ed emanciparsi attraverso la ragione. In questo contesto l’astuzia è elemento chiave dal momento che il principio della società borghese è “ingannare o perire”. In questa visione “Itaca rappresenta la stessa società borghese moderna con tutte le sue istituzioni patriarcali (Stato, politica, matrimonio e famiglia)”. Il punto di arrivo è dunque nell’interpretazione adorniana dell’Odissea il fallimento della dialettica illuministica tradizionale, che si capovolge nel suo opposto. La ragione da strumento di emancipazione diviene un apparato di dominio che produce uniformità e conformismo. L’uomo non riesce cioè ad emanciparsi dai vecchi idoli (la superstizione, il mito, la religione) ma li sostituisce con nuovi miti, il progresso, la macchina, la razionalità.
Non ci vuole l’astuzia di Ulisse per applicare la stessa dialettica illuministica, illustrata da Adorno, alla nostra attuale società digitale e per fare dunque di Ulisse un nuovo eroe, l’homo digitalis che solca le onde di un sempre più tenebroso WEB creato dall’uomo stesso, affronta i molti pericoli che vi si celano, riesce – speriamo – a sconfiggerli per approdare finalmente ad una Itaca, che si può facilmente immaginare digitale, ma digitale come? Non diversamente da quanto criticamente osservato da Adorno circa la nascente società borghese di massa, anche nella società digitale il rischio del fallimento deriva dal capovolgimento nel suo opposto. Internet nato per far accedere tutti alla conoscenza rischia di diffondere (anche) odio e disinformazione, le piattaforme tese a favorire la comunicazione si trovano a gestire un immenso potere di gestione dell’informazione che spetta in realtà al potere politico gestire, all’ oligarchia dei Mass media, si sostituisce ora quasi senza soluzione di continuità quella dei social media. Anche la rivoluzione digitale è già fallita come la dialettica dell’ illuminismo capovolgendosi nel suo contrario? Itaca è la restaurazione? È fin troppo presto, credo, per dirlo ma certo il viaggio digitale è avventuroso e i pericoli non mancano di certo. Sia quelli che provengono dal canto delle nuove Sirene che tutto dicono di sapere sul mondo digitale, ma anche dal loro silenzio arrogante che sembra dare tutto per scontato, come se tutto fosse già stato da loro deciso. L‘esito dell‘avventurosa impresa digitale dipenderà certo anche dai mezzi che le democrazie – sostituitesi agli dei – metteranno a disposizione dei naviganti per contrastare i pericoli, ma dipenderà soprattutto dalla consapevolezza del nuovo Ulisse digitale e dei suoi compagni, dalla loro capacità di condividere l’informazione e l’innovazione perché, come diceva già il primigenio Ulisse “non è giusto che una persona o due soltanto sappiano“. L‘avventura digitale, che apre nuovi mondi e attribuisce nuovo senso a quelli finora conosciuti, può riuscire solo se vissuta all’insegna della consapevolezza e della sostenibilità. Siamo noi i naviganti, dal nostro attivo impegno consapevole dipende l‘esito del viaggio digitale e dalla nostra capacità di non compromettere le risorse delle generazioni future dipende se ci potranno essere altri viaggi. Ulisse torna a Itaca trasformato dalle sue avventure e proprio in forza dei propri cambiamenti può rinnovare il suo luogo di origine e d’appartenenza, che è sempre lo stesso e diviene al contempo assolutamente nuovo. Il digitale non è, almeno non è solo e soprattutto un’estemporanea Itaca 4.0, ma il viaggio di consapevolezza e sostenibilità che ci porta a trasformare noi stessi e la nostra Itaca.