Ragionando di salute mentale

Il bonus psicologico è ora disponibile. È dunque giunto il momento di fare un passo avanti, superare l’emergenza che lo ha contraddistinto e discutere di assistenza psichiatrica nel suo complesso e di come facilitare e finanziare l‘accesso alla psicoterapia per chi ne ha bisogno.
Partiamo, per una volta, dai dati.

Nella recente sollecitazione ad agire elaborata da diverse sigle professionali – la Società italiana di psichiatria, di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, di Psichiatria delle dipendenze e la Federazione Italiana degli operatori dei Dipartimenti e dei servizi delle dipendenze FeDerSerD – l’Italia, paese in cui la parola „salute mentale“ è sulla bocca di tutti, risulta «tra gli ultimi in Europa» nella concreta realtà della salute mentale. Un’analisi condotta ancora nel 2019 da Fabrizio Starace, presidente della Società italiana di epidemiologia psichiatrica, aveva mostrato che già prima della pandemia “i Dipartimenti di salute mentale erano in grado di rispondere correttamente a poco più del 55% del fabbisogno assistenziale stimato» Analogamente, un’analisi di Starace e Minguzzi su dati più recenti, relativi al 2020, ha messo in evidenza come “la dotazione di personale dei servizi di salute mentale sia del 15% inferiore rispetto a uno standard fissato oltre 20 anni fa dal Progetto obiettivo tutela salute mentale 1998-2000”.
Se la situazione era già drammatica in epoca pre-Covid , è divenuta insostenibile ora dopo due anni di pandemia durante i quali si è assistito ad un aumento stimato del 30% di diagnosi tra depressione e altre patologie psichiche soprattutto tra giovani e studenti. Non solo, mentre la sofferenza mentale e la domanda di assistenza specialistica sono cresciute, gli psichiatri sono in calo: nel 2025, se ne conteranno tra pensionamenti e dimissioni mille in meno.
Da analoga impotenza si viene presi se si guardano le cifre che Starace in un recente articolo su quotidiano sanità illustra, analizza e paragona con gli standard di altri paesi. Ebbene, „Nel 2020, primo anno della pandemia ed ultimo disponibile, la spesa registra un lieve aumento (70 Mln €) ma continua ad attestarsi al di sotto del 3% del FSN“ laddove secondo le autorevoli raccomandazioni della Lancet Commission sulla Salute Mentale Globale e lo Sviluppo Sostenibile „i Paesi a basso-medio reddito dovrebbero aumentare la loro allocazione per la salute mentale ad almeno il 5% e i Paesi ad alto reddito ad almeno il 10% del bilancio sanitario totale”. L’Italia si colloca tra i Paesi ad alto reddito ma per la SM non raggiunge nemmeno i livelli di finanziamento previsti per i Paesi a basso-medio reddito“.

Cosa vuol dire questo in termini pratici? Secondo le recenti statistiche diffuse da Eurostat sui posti letto psichiatrici in Europa „L’Italia è all’ultimo posto in Europa con 9 posti letto per 100 mila abitanti, contro i 69 della media europea: meno della metà del paese penultimo in classifica – Cipro – e meno di un terzo del terzultimo paese, la Spagna.“ Logica conseguenza è che „ la degenza media [in Italia] è di meno di due settimane. Nel 13,9% dei casi, cioè quasi una dimissione su sei, si traduce in una riammissione non programmata entro un mese, mentre il 7% dei dimessi viene ricoverato nuovamente dopo solo una settimana.“ Al tempo in cui io lavoravo al Reparto di Diagnosi e Cura dell‘‘Ospedale Civile di Brescia (2000-2004) era di 9 giorni: non è cambiato molto in 20 anni. E come potrebbe visto che le strutture sono rimaste praticamente uguali.
1. corollario: bisogna aumentare significativamente il numero dei letti psichiatrici nei Reparti di Diagnosi e Cura perché le persone possano venire davvero curate. Perché ciò sia possibile il SSN deve essere dotato di fondi sufficienti, atti a garantire non solo spazi adeguati ma anche il personale che rende quegli spazi luoghi ricchi di umanità e capaci di cure competenti. Ma qui l’inerzia della burocrazia, va a braccetto con la taccagneria pubblica imprevidente (il risparmio sui posti letto si traduce in porte girevoli e aumento dei costi di assistenza) e con l‘ideologia (il ricovero è il male, la cura ambulatoriale il bene). Sconfiggere questi nemici non è facile.

L’assistenza psichiatrica non è però (per fortuna) solo ospedaliera. “Ci sono le strutture residenziali, quelle semi-residenziali e c’è l’attività a domicilio. Sempre secondo i dati del Ministero della Salute, le prestazioni erogate nel 2017 dai servizi territoriali ammontano a oltre 11 milioni, con una media di 15,3 prestazioni per utente. Il 78,1% degli interventi è stato effettuato in sede, il 7,9% a domicilio e il resto in una sede esterna. 32.515 persone nel 2017 vivevano presso strutture residenziali di questo tipo, per trattamenti della durata media di circa due anni e mezzo (815 giorni). Gli accessi nelle strutture semiresidenziali sono pari a 325 per 10.000 abitanti.”  Nel 2020 (ultimo anno cui si riferisce l’ultimo rapporto sulla salute mentale  ) „ il sistema informativo salute mentale ha rilevato dati di attività di 1.299 servizi territoriali, 1.949 strutture residenziali e 811 strutture semiresidenziali che si riferiscono a circa il 94% dei DSM. Nel 2020 il numero dei SPDC attivi è pari a 328. „

„il costo medio annuo [sempre riferito al 2020] per residente dell’assistenza psichiatrica, sia territoriale che ospedaliera, è pari a € 67,5 calcolato dividendo il costo complessivo dell’assistenza psichiatrica per la popolazione adulta residente nel 2020”.

Qui le cose si fanno un po’ più complicate e richiedono qualche spiegazione: mentre nella maggioranza degli altri paesi europei le cliniche psichiatriche sono state conservate e rinnovate e contengono al loro interno sia reparti acuti che reparti di media e lunga degenza, in Italia con la riforma è stata fatta un’altra scelta tale per cui le cliniche psichiatriche sono state chiuse, e negli Ospedali per la cura dei pazienti psichiatrici esistono solo i reparti di Diagnosi e Cura (quelli con degenza media inferiore alle due settimane). Le strutture intermedie in cui vengono ricoverati i pazienti che non possono essere dimessi subito ed affidati alle cure ambulatoriali sono state sparse sul territorio. Tali strutture intermedie essenziali per pazienti che richiedono cure sia farmacologiche che psicologiche di molte settimane o mesi sono per fortuna aumentate negli ultimi anni ma continuano ad essere insufficienti come risulta dal confronto dei dati sopra riportati. Molto buoni sono invece i servizi ambulatoriali psichiatrici italiani che tuttavia riescono a prendersi cura solo dei pazienti con patologie più gravi (schizofrenia, disturbo di bipolare, depressioni gravi, gravi disturbi della personalità).
Come si può vedere la spesa psichiatrica pro capite è estremamente bassa (€ 67,5) se si tiene conto che “In Italia, nel 2020, la spesa pubblica pro-capite per l’assistenza sanitaria è stata di 5.642 euro” cifra che è peraltro inferiore a quella della maggior parte dei paesi europei 
2. Corollario Bisogna aumentare significativamente il numero e la capacità delle strutture psichiatriche intermedie pubbliche (quelle destinate al trattamento, sia farmacologico che psicologico, a medio e lungo termine) alle quali possono accedere tutti senza pagare. Bisogna potenziare i servizi psichiatrici territoriali (CPS, centri diurni, appartamenti più o meno protetti etc) e ciò vuol dire dotarli di strutture architettonicamente adeguate, assumere medici, psicologi, infermieri, educatori, assistenti sociali, fornire e richiedere loro un aggiornamento continuo, offrire supervisioni. Anche questo è un compito del SSN che deve essere pertanto dotato dei mezzi necessari. Il bassissimo costo psichiatrico pro capite indica che c’è molto da fare ma anche che si può fare ancora molto con relativamente poco. Parallelamente vi sono già e si moltiplicheranno cliniche private, che solo persone facoltose si possono permettere. Nulla di male, purché il finanziamento di tali cliniche non gravi sui conti pubblici e i comuni cittadini possano contare sul ricovero in strutture pubbliche adeguate. Sulle cliniche private l’intervento del SSN dovrebbe essere solo di controllo di standard ed idoneità

Terapie ambulatoriali: Se ho una crisi nella mia vita privata o sul lavoro, se mi sento ansioso, depresso, esaurito a chi mi devo rivolgere? Prima di tutto al mio medico di medicina generale che (spesso) conosce me, la mia storia ed è (generalmente) in grado di stabilire se il mio malessere può essere determinato da cause fisiche (ipo/iper-tiroidismo, ad es) da farmaci etc. Forse presto ci sarà un’altra figura professionale, lo/la psicologo/a di base che potrà pure in colloquio con me aiutarmi a capire se è indicato per me un trattamento psicoterapeutico specialistico. Se dunque il medico di medicina generale o lo/psicologo/a di base ritengono che devo recarmi da uno specialista (uno psichiatra se sono utili o indispensabili farmaci o uno psicoterapeuta) oppure se lo ritengo opportuno io (dopo o senza averlo consultati), a chi mi rivolgerò? Qui ci addentriamo nella delicata questione dell’accesso alla psicoterapia e del suo pagamento. Teoricamente io posso recarmi al CPS o centro di salute mentale territorialmente competente. Come ho già scritto, l’ipotesi che le strutture territoriali pubbliche riescano a seguire tutti i pazienti che necessitano di psicoterapie è a dir poco illusoria. Le nostre strutture territoriali psichiatriche garantiscono un buono e talvolta ottimo trattamento ambulatoriale dei pazienti psicotici, dei pazienti con gravi disturbi della personalità e comunque con disturbi psichici gravi. Persone con disturbi socialmente più contenuti ma non per questo fonte di minor sofferenza (quali stati ansiosi, stati depressivi ricorrenti, disturbi di adattamento, disturbi di personalità meno gravi) non trovano però generalmente adeguato trattamento nelle strutture pubbliche. In questi casi inoltre la libera scelta dello psicoterapeuta è ancora più decisiva perché se la “chimica” (come si dice in tedesco) tra psicoterapeuta e paziente non funziona, non funziona nemmeno la psicoterapia. (Sappiamo infatti da diverse meta-analisi che il terapeuta e gli aspetti extra-terapeutici costituiscono i fattori più importanti ai fini dei risultati del trattamento, contando per l’80-87% nella variabilità degli stessi risultati).

3. Corollario Un’assicurazione psicoterapeutica, integrativa, integralmente detraibile dalle tasse al di sotto di un certo reddito e sempre meno detraibile invece per i redditi più alti, potrebbe garantire il rimborso (ad es. come in Svizzera) al 90% dei costi delle sedute psicoterapeutiche – che va, secondo il CNOP, da un minimo di 35 euro a un massimo di 115 euro a seduta – , darebbe la possibilità e la libertà al cittadino di scegliere il terapeuta e consentirebbe un’integrazione anziché una non molto sensata guerra tra pubblico e privato. Questa potrebbe essere un’iniziativa che parte dal basso, dai privati cittadini, dalle assicurazioni, dagli psicoterapeuti o da cooperative degli stessi senza dover aspettare la lentezza dell’iniziativa statale. Possiamo fare qualcosa di molto più concreto per la salute mentale che litigare sul bonus psicologico

Immagine: mia foto 

Suggerimento musicale: a cura di Marco Ganassin  Beethoven: Symphony No. 2 in D Major, Op. 36 – II. Larghetto