Fare cose e mentalizzarle

Dove preferireste trovarvi se vi sentisti abbandonati dalla forza della ragione e foste invece trascinati nella disperazione della depressione più nera, nell‘angosciante caos della psicosi, nell‘illusoria onnipotenza della mania, nel panico dell‘ansia, nella tempesta degli impulsi incontrollati? È certo molto difficile rispondere perché quando stiamo bene non solo, come diceva Freud, non riusciamo ad immaginare la nostra morte, ma fatichiamo anche ad immaginare di trovarci in una condizione di estremo malessere, inevitabilmente associata alla debolezza e all’impotenza. Verosimilmente ci augureremmo di essere in buone mani, curati cioè da medici, psicologi e infermieri/e competenti e umani in grado di aiutarci a recuperare quanto prima la nostra autonomia psichica. Ma dove? in quale ambiente, se la nostra condizione acuta rendesse impossibile la nostra permanenza tra le pareti e gli affetti familiari? Probabilmente molti di noi gradirebbero essere accolti in un ambiente armonioso, ampio, luminoso, dotato dei confort oggi abituali, fornito anche di spazi per fitness, lettura e relax, vicino alla natura – che spesso in questi momenti sentiamo come unica amica. In effetti ripetuti studi dimostrano che ambienti di ricovero così concepiti alleviano la sofferenza, riducono l’aggressività di chi vi è ricoverato e di chi vi lavora, riducono sensibilmente la necessità di giungere a controverse misure di contenzione per i pazientipiù ingestibili e diminuiscono anche i tentativi di suicidio – che pure all’interno delle più sicure strutture psichiatriche avvengono. Una struttura psichiatrica di questo tipo è stata appena realizzata ed inaugurata all’internodella clinica psichiatrica (pubblica!) della piccola città in cui vivo e lavoro in Svizzera, Coira. Si tratta del reparto a due piani, con un giardino al piano superiore, per 28 pazienti acuti che necessitano pertanto di un’assistenza continuativa particolarmente intensa prima di poter essere trasferiti ad altri reparti aperti della clinica oppure dimessi alle cure ambulatoriali o semi stazionarie dei centri diurni. Ecco qualche immagine:

(Per noi italiani, giustamente orgogliosi della riforma psichiatrica, i termini di clinica psichiatrica, reparto acuto etc, possono suonare sospetti ma, senza qui potermi dilungare, posso assicurare che i principi della riforma sono da tempo giunti anche in Svizzera, alcuni reparti psichiatrici sono all’interno degli ospedali come da noi, altre cliniche sono in un ambiente separato, tutte sono comunque improntate a grande rispetto per la libertà individuale, l’autonomia del paziente, la collaborazione tra curanti e curati).


Per fortuna gli stati psichici gravi e acuti che ho descritto prima sono un’eccezione, limitata inoltre nel tempo. La maggior parte dei/delle pazienti che accedono alla clinica, qui a Coira come ovunque, non lo fanno in condizioni di assoluta urgenza ma in modo programmato, spinti da una sofferenza che la terapia ambulatoriale non è stata in grado di risolvere o alleviare sufficientemente. È il caso di pazienti, anche molto giovani, che presentano disturbi di personalità, hanno sofferto traumi spesso ripetuti e continuativi nell’infanzia, manifestano disturbi del comportamento alimentare, oppure disturbi psicosomatici, o ancora disturbi ansiosi, ossessivi o depressivi più lievi ma prolungati nel tempo o ripetuti. In questi casi è il reparto di psicoterapia quello più indicato e qui, com’è facile immaginare, è la parola, ma non solo, a regnare sovrana, perché, come dice la Dr. Elisabeth Seiwald-Sonderegger, “la salute mentale si basa sulla capacità di sviluppare una narrazione e sulla capacità di ricomporla alla luce di nuove esperienze”. A sua volta la creazione di una narrativa deriva dalla capacità di mentalizzare, di comprendere cioè i propri e gli altrui pensieri, sentimenti ed intenzioni, capacità, che si sviluppa nel rapporto tra madre e bambino, è influenzata dalla qualità delle esperienze relazionali, dai tipi di attaccamento, dallo scambio affettivo con le prime persone di riferimento e subisce un ulteriore affinamento e la sua definitiva stabilizzazione nella prima età adulta. Mentalizzare – precisa ancora la Dr Seiwald-Sonderegger – vuol dire molte cose insieme: “essere in contatto con i nostri pensieri, sentimenti e motivazioni, essere in grado di relativizzarli e dunque di osservarli dalla giusta distanza (riflettendo invece di agire), presupporre che le altre persone abbiano, come noi, pensieri, sentimenti e motivazioni che sono alla base del loro comportamento, comprendere che possiamo intuire pensieri, sentimenti e motivazioni altrui senza peraltro mai averne la certezza assoluta, ritenere questi pensieri, sentimenti e intenti come base del comportamento nostro ed altrui ed essere in grado di riflettervi”. Sono questi i fondamenti della terapia basata sulla mentalizzazione MBT che è stata adottata, insieme ad altre tecniche, nel reparto di psicoterapia e ne informa il lavoro complessivo perché, come aggiunge la Dr. Laura Kecskemeti, “il disturbo del paziente si riflette nell’ambiente in cui si trova ospitato, per cui mantenere sempre aperti e trasparenti i canali di comunicazione all’interno del team e tra il team e i pazienti consente di esplorare i conflitti interpersonali dei pazienti, cosicché il gruppo dei terapeuti nel suo insieme tratta il gruppo di pazienti nel suo insieme”. La terapia basata sulla mentalizzazione prevede oltre a colloqui personali anche frequenti colloqui di gruppo cosicché il paziente si trova immerso da mattina a sera in un ambiente terapeutico improntato appunto al confronto sincero, aperto e trasparente con i propri pensieri, sentimenti e intenti e quelli altrui fino a far proprio il metodo della mentalizzazione che si può riassumere nell’ assunto „sentire ciò che si comprende“.


Perché racconto su un blog italiano dedicato all’innovazione quanto accade in una periferica clinica psichiatrica svizzera? Perché mi sembra che i due esempi che ho citato, la costruzione di un reparto psichiatrico acuto architettonicamente all’avanguardia e l’assunzione di un tipo di psicoterapia all’avanguardia (MBT) nell’intero reparto di psicoterapia, con tutto quello che ciò comporta in termini di formazione e aggiornamento del personale, siano scelte innovative e coraggiose che aiutano a riflettere sul tema poco dibattuto e ancor peggio impostato della salute mentale in Italia, ancora fermo agli strascichi della polemica sul bonus psicologico. Si può naturalmente discutere sull’opportunità di simili spese per un reparto acuto, sul tipo di terapia etc. e molte discussioni e molti conflitti sono sorti, per quel che ne so, prima di arrivare a quelle scelte. Una volta fatte, esse sono state però coerentemente portate avanti fino alla loro realizzazione.
So, per esperienza diretta oltre che dagli studi, quanto preparati, capaci ed esperti siano i miei colleghi, i terapeuti e il personale socio-sanitario che lavora nelle strutture pubbliche psichiatriche italiane. Eppure le istituzioni psichiatriche arrancano faticosamente, l’assistenza psichiatrica in molte parti del paese è carente, se non latitante, manca una visione d’insieme, iniziative di straordinario pregio sono occasionali e lasciate all’iniziativa personale. La mancanza di fondi, di competenze manageriali, di linee direttive coerenti, di criteri obiettivi nelle assunzioni, di una onesta collaborazione istituzionale, di adeguata formazione professionale continua, congiunta a particolarismi, settarismi, assurde divisioni ideologiche determina una permanente inazione, un’incapacità di andar incontro alle esigenze dei pazienti, uno spreco di risorse finanziarie ed umane. È invece tempo per la salute mentale di fare scelte coraggiose, coniugando emozioni e riflessioni.