Il verbo della scienza è provare, quello della tecnologia credere

“Zia, esistono altri uomini ragno oltre l’Uomo ragno?” Parte da questa domanda di suo nipote Francesco, di cinque anni, il libro “La tecnologia è religione” di Chiara Valerio (Einaudi, 2023).
Prima di fornirci la risposta, l’autrice ci racconta “una favola sul perché il corpo non ci basta più e in fondo non c’è mai bastato.” È la favola del telefono senza fili tra uomini e dei, tale per cui dapprima gli dei assomigliavano agli esseri umani poi con Platone prima, e il cristianesimo poi, divino ed umano, spirito e corpo, sostanza immortale e carne mortale sono stati sempre più separati da una barriera insormontabile. E il corpo ha mostrato sempre più i suoi limiti, invitandoci a trovare protesi sempre più ingegnose per aumentarne le capacità.

Filogenesi e ontogenesi

Passando poi dall’evoluzione storica allo sviluppo fisiologico, l’autrice constata che da bambini riteniamo vivo tutto ciò che ci fa cambiare stato emotivo (“teorema del peluche”). Con il passaggio all’età adulta dobbiamo abbandonare però questo animismo magico e sostituirlo con un’obiettività che ci fa individuare diverse gradazioni di vita e altre modalità di essere circondati dalla vita e di parteciparvi. La cosa che anima il mondo diviene ora il linguaggio. “Motivo per cui quando leggiamo In principio era il verbo e il verbo era presso Dio, ci crediamo. Crediamo cioè che le parole animino e questo è l’atto di fede che compiamo ogni giorno qualunque sia il linguaggio che impariamo e qualunque sia la fede“. L’autrice prosegue constatando che “da qualche decennio il linguaggio alberga pure presso le macchine, dunque, come abbiamo imparato le preghiere e i riti è utile che impariamo i codici” poiché appunto “ la tecnologia anima il mondo”.

La tecnologia è religione

La tecnologia è dunque diventata la nuova religione. “Che differenza c’è – si chiede infatti l’autrice – tra danzare per far piovere e schiacciare un tasto per illuminare uno schermo?” Sostanzialmente nessuno anche se “la danza della pioggia si rivolge al cielo e il dispositivo che ne attiva l’intervento è il nostro corpo” mentre il tasto è “un prolungamento del corpo e l’invisibile a cui ci rivolgiamo è il campo elettromagnetico”. D’altro canto “la religione si interessa della salvezza dell’anima nei cieli e la tecnologia della conservazione dei dati nel cloud”. Si potrebbe anche sostenere che la tecnologia e la magia tendono a assomigliarsi. La scienza, prosegue l’autrice, è invece cultura: “la differenza tra scienza e tecnologia è semplice. Il verbo della scienza è provare, quello della tecnologia credere”.

Un viaggio scientifico, filosofico e personale nella tecnologia digitale 

Partendo da esperienze del suo quotidiano e intensi ricordi della sua infanzia, Chiara Valerio ci guida in un viaggio scientifico, filosofico e personale insieme nella tecnologia digitale del nostro tempo. Ci suggerisce che “la frammentazione del tempo nella quale viviamo e alla quale contribuiamo attenua l’angoscia del trascorrere dei giorni o degli anni ma impedisce la prospettiva” per cui “l’unica eternità che sopportiamo è la ripetizione.” Ci avverte che gli esseri umani sono abituati ad inventare meccanismi che li sottraggano alla responsabilità della scelta e che “algoritmo è l’ultimo nome che abbiamo attribuito alla grazia divina e l’ultima forma di deresponsabilizzazione”. Ci indica che i social ci presentificano e ci musealizzano. Ci fa presente che “le cuffiette wireless da poco ma decisamente diffuse, ci rendono iconograficamente simili a pazzi o santi” nel senso che parliamo da soli, sentiamo le voci divenendo “i nuovi santi e i nuovi pazzi di un medioevo wireless.”. Ci ricorda che la tecnologia assomiglia alla religione anche perché “forma congregazioni – wireless, walles -nelle quali si ritira o chiude chi sente di non stare bene nel mondo”. Sono le bolle in cui tutti leggiamo le stesse cose, guardiamo gli stessi video, e pensiamo ed agiamo allo stesso modo.

(Inconscio digitale)

Anche il nostro inconscio, aggiungerei io, è diventato digitale o meglio il digitale presenta le caratteristiche che Freud attribuiva all’inconscio. Innanzitutto la sostituzione della realtà esterna con un’altra realtà, che però nel caso del digitale non possiamo chiamare tout court psichica, anche se nella dichiarazione di indipendenza del cyberspace essa è stata espressamente indicata come “la nuova casa della Mente”. In secondo luogo l’atemporalità. I contenuti del digitale, pur essendo ordinati o almeno ordinabili temporalmente, “non sono alterati dal trascorrere del tempo” proprio come i processi inconsci, tendendo ad una durata teoricamente illimitata con la quale solo da poco abbiamo cominciato a confrontarci. Altrettanto evidente è infine l’analogia tra l’estrema mobilità degli investimenti dell’inconscio e della realtà digitale, nella quale i contenuti vengono investiti e disinvestiti di interesse emotivo ed affettivo in modo subitaneo, basti pensare al fenomeno della viralità. Quello che Freud scrive a proposito dell’inconscio si attaglia anche al digitale: “in questo sistema non esistono la negazione, né il dubbio né diversi livelli di certezza” È anche ciò che al digitale viene spesso rimproverato, l’assenza di ogni ordine e valore in base ai quali orientarsi. Ma è anche la base di quella salutare libertà di Internet rivendicata dalla già citata dichiarazione di Indipendenza del Cyberspace:” Governi del mondo industrializzato, voi decadenti giganti di cemento e di acciaio. Noi proveniamo dal cyberspace, la nuova casa della Mente. … il cyberspace è un luogo fatto di transazioni, relazioni e di puro pensiero che si staglia come un’enorme onda nel mare della comunicazione. La nostra è una realtà che va oltre il mondo dei nostri corpi, un mondo, appunto, che si trova ovunque e allo stesso tempo da nessuna parte.”
Credo che il concetto di inconscio digitale, in senso psicoanalitico, ci aiuti a capire che proiezioni inconsce, distorsioni cognitive ed emotive avvengono, così come nell’offline, anche e ancora più intensamente nel digitale e che esse sono riconducibili a processi inconsci che operano in noi così come nei nostri interlocutori.

Studiare 

Studiare conclude Chiara Valerio “aiuta a non confondere l’intervento divino o magico con l’avanzamento tecnologico. Studiare scienze, più specificamente, consente di non percepire la tecnologia come fenomeno magico o religioso, ma come risultato di un avanzamento di umane umanissime conoscenze affette da errore e passibili di evoluzione miglioramento.” L’autrice si augura che “i testi scolastici ricuciano lo strappo tra tecnologia e scienza (e) riportino l’informatica nell’albero delle matematiche”. Accanto allo studio delle scienze matematiche, io mi permetterei di aggiungere anche quello delle neuroscienze e di una psicoanalisi ormai scientificamente fondata.

immagine: Spider-Man