Sintonizzazione AI e sintonia umana

Sono un un perenne apprendista digitale che cerca di carpire come può informazioni sull’intelligenza artificiale, mescolandole magari con concetti analitici, in improbabili cocktail. Apprendo che tre concetti importanti nell’apprendimento automatico per creare sistemi di intelligenza artificiale in grado di imparare dai dati, sono l’addestramento del modello (Model training), la messa a punto (Model Fine Tuning) e la messa a terra (Model Grounding).

 

Tre concetti per l’apprendimento automatico 


L’addestramento del modello – spiega con chiarezza una pubblicità – „è il processo di insegnamento a un modello di intelligenza artificiale di come prendere decisioni basate sui dati. Un modello di intelligenza artificiale è un programma che utilizza algoritmi matematici per riconoscere modelli e fare previsioni. Ad esempio, un modello di intelligenza artificiale può imparare a identificare le auto nelle immagini osservando molti esempi di immagini di auto etichettate.“

La messa a punto (Fine Tuning) – spiega lo stesso messaggio pubblicitario „consiste nel copiare tutti o alcuni dei parametri del modello pre-addestrato e aggiornarli in base ai nuovi dati… Ad esempio, se vogliamo utilizzare il nostro modello di riconoscimento delle immagini di automobili per un’attività di riconoscimento di camion, possiamo aggiungere un nuovo livello di output che preveda diversi camion in base alle immagini.“

La messa a terra del modello infine – apprendo dalla stessa fonte „è una tecnica molto più economica per collegare i risultati di un modello di intelligenza artificiale ai fatti o al contesto del mondo reale. Ad esempio, voglio che il nostro modello di auto sappia tutto quello che c’è da sapere sui camion Ford. Per questo motivo, dovremmo mettere a terra il modello con foto specifiche di camion Ford.“

Come si è visto, il termine inglese per indicare la messa a punto è in realtà Tuning, cioè sintonizzazione, tanto che nel sito sopracitato si immagina che il primo accostamento che viene in mente sentendo il concetto sia la radio, dove appunto ci si sintonizza su una specifica frequenza. Nel caso dell’intelligenza artificiale si sintonizzano tutti o alcuni dei parametri del modello pre-addestrato con i nuovi dati

 

Il concetto di sintonizzazione in psicoanalisi e psicoterapia 

Il concetto di sintonizzazione (Tuning) esiste anche in psicoanalisi e più in generale in psicoterapia. L‘ha introdotto uno psicanalista ungherese, naturalizzato inglese, ormai un po‘ dimenticato, Michael Balint. Nel suo libro, pubblicato postumo, „Sei minuti per il paziente“ Balint mette in discussione il metodo fino ad allora utilizzato dalla medicina e dalla stessa psicoanalisi, cioè quello deduttivo, in base al quale il medico e/o lo psicoanalista „aveva il privilegio e l’obbligo di comprendere cosa il paziente cercava di comunicargli, di riconoscere tutte le omissioni e distorsioni nella comunicazione, di risolverle senza errori sulla base della conoscenza e con la sua abilità di consentire al paziente di produrre le giuste associazioni, le quali poi dimostrano che le conclusioni del medico erano corrette“. Era cioè il medico a interpretare i sintomi del paziente, quindi a dar loro senso collegandoli in un concetto solo a lui noto di malattia o di sindrome, così come era lo psicoanalista a rivelare al paziente, sulla base dei materiali inconsci da quest’ultimo/a offerti (sogni, sintomi, lapsus, azioni o comportamenti a prima vista incomprensibili, motti di spirito), quale ne fosse il vero significato, fino a prima appunto inconscio al/alla paziente.

 

Il nuovo metodo 

Balint afferma invece che nella sua nuova forma di terapia “il ruolo del terapeuta è quello di sintonizzarsi (tune in) sulla stessa lunghezza d’onda del paziente”, concetto che era di straordinaria originalità per quei tempi (1970) e che precede di gran lunga quello di attunement (o sintonizzazione affettiva) di Stern (1985) e poi quello di Fonagy e Bateson di mentalizzazione. A tutt’oggi il concetto di sintonizzazione di di Balint rimane di straordinaria attualità. È in definitiva quello che, più o meno intuitivamente, la maggior parte di noi si aspettano da un/una medico o da un/a terapeuta, cui chiediamo appunto di mettersi sulla nostra lunghezza d’onda perché, prima di fornire il suo parere di esperto, si sforzi di mettersi, almeno per un momento, nei nostri panni. “Adesso – scrive ancora Balint nel 1970 – non viene più richiesta al medico la soluzione di avvincenti enigmi e problemi ma un così preciso “modularsi” (tune in) sulla frequenza delle comunicazioni del paziente da essere in grado di rispondere ad esse quasi senza errori. Perché medico e paziente possano parlare tra di loro senza grosso pericolo di fraintendimenti, tale condizione di modulazione reciproca (being tuned in) deve perdurare per tutto il tempo dell’intervista.” – anche se qui Balint mi sembra pretenda un po’ troppo dalla nostra categoria 😉

 

Sintonizzazione AI e umana 

 

Naturalmente il Fine Tuning dell’AI è, come abbiamo visto, tutt’altra cosa cioè la sintonizzazione di tutti o alcuni dei parametri del modello pre-addestrato con i nuovi dati. È però quanto meno significativo che tanto l’AI quanto la psicoterapia facciano riferimento a concetti analoghi. Questa può essere anche l’occasione per mettere ancora una volta a confronto essere umano e macchina e comprendere meglio quanto simili ma anche quanto diversi sono i processi si che avvengono nell’uno e nell’altra. Nell’intelligenza artificiale la sintonizzazione avviene tramite l’acquisizione e il confronto di ulteriori dati, “digeriti” senza problemi dalla macchina in quantità inimmaginabili per l’essere umano. In quest’ultimo invece la sintonizzazione avviene attraverso capacità non solo cognitive ma anche e prevalentemente emotive di empatia secondo alcuni, mentalizzazione secondo altri, che consentono comunque a un individuo di mettersi nei panni, nella prospettiva dell’altro

 

La trasformazione di sensazioni in emozioni e pensieri 


Nel libro Das Sensorische und die Gewalt, Zum Seelenleben im digitalen Zeitalter (Il sensoriale e la violenza, sulla vita dell’anima nell’era digitale), lo psicoanalista tedesco Werner Balzer, riprende ed applica al digitale il concetto di Bion, secondo il quale gli elementi sensoriali del neonato/a, cioè le sensazioni provenienti dall’interno del suo corpo e dall’ambiente esterno possono essere trasformati in emozioni prima e pensieri dopo solo in forza dell’opera di trasformazione della madre che si compie grazie al rapporto emotivo, alla sintonia tra lei e il neonato/a. In tal modo gli elementi beta, sensazioni, vengono trasformati in elementi alfa, emozioni e pensieri. Il neonato/a sua volta apprende dalla madre questa capacità trasformativa sottoponendo ad un analogo processo di mutazione le sensazioni che provengono dal suo interno ed esterno. Bion afferma che tale trasformazione si compie proprio nei sogni, non solo quelli notturni ma anche quelli da svegli (Waking Dream) che ci accompagnerebbero sempre e nei quali avverrebbe un costante scambio tra inconscio e conscio tale da rendere “sognabili” cioè traducibili in immagini ed emozioni le sensazioni. In tal modo gli elementi beta (fatti, sensazioni) vengono trasformati in elementi alfa, emozioni e pensieri.

 

Schermo beta 


Balzer riprende in particolare un concetto, più propriamente una metafora di Bion, quella dello schermo beta. “Un beta-schermo si forma quando c’è una carenza di funzioni alfa e gli elementi beta sostituiscono la barriera di contatto. Quando si forma un beta-schermo non c’è comunicazione tra il conscio e l’inconscio. Il pensiero razionale può esistere fino a un certo punto, ma è tagliato fuori dal significato emotivo. Il beta-schermo forma una barriera impenetrabile. È una difesa contro qualsiasi esperienza emotiva significativa”. Balzer ritiene che l’overload di stimoli proveniente dal digitale rappresenti un tale beta-schermo, essendo costituito da immagini che non sono frutto della nostra elaborazione interna ma appunto sensazioni fattuali indigerite e indigeribili nei tempi e nei modi del digitale. Balzer, che mi sembra unire al rigore teutonico una certa quale tendenza al catastrofismo millenarista, vede dunque in questo profluvio di immagini ed informazioni digitali che ci sommergerebbero senza tregua, “una barriera autolimitante: un sedimento impenetrabile di elementi sensoriali che sigilla la comunicazione interna con l’inconscio represso delle rappresentazioni e allo stesso tempo impedisce la propria elaborazione rappresentazionale, cioè senza profondità e significato, più incarnata che immaginata. Un mormorio senza scopo di tensione indecisa, unito a uno stato mentale di aperta eccitazione, di costante attesa e apprensione dello stimolo? Lo schermo beta così inteso è anche una maschera di noia protesa verso il nulla.”

Indubbiamente a Balzer non manca il rigore del modello cui richiamarsi (Model Training) e la sua riproposizione della metafora di Bion aggiornata ai tempi dell’overload digitale e dell’AI è stimolante. Sul suo Fine Tuning si può discutere.