Siamo inc…oronati o padirati? Siamo cioè arrabbiati a causa della pandemia da Coronavirus? Si chiedeva retoricamente già a fine agosto Berenike Schriewer in un articolo in cui proponeva l’acronimo “pangry” per indicare appunto chi è arrabbiato a causa della pandemia e l’analogo sostantivo “Pangriness” per indicare il corrispondente stato “the state of being irrationally angry and/or more irritable due to the extended stress of being in a pandemic.” Per dimostrare la sua tesi l’intraprendente coach, oltre a un buon intuito e ottime capacità linguistiche, riteneva di poter contare su uno studio della Nanyang Technological University, Singapore (NTU Singapore) che ha analizzato 20,325,929 Tweet provenienti da 170 nazioni relativi al Covid-19 e li ha classificati in 4 categorie emozionali: paura, rabbia, tristezza e gioia. La ricerca ha dimostrato che ancora durante la prima ondata della pandemia da gennaio ad aprile 2020 la percentuale dei tweet riferibili alla paura è progressivamente calata al 30% mentre quella dei tweet “arrabbiati” è progressivamente aumentata fino a raggiungere un picco del 29% il giorno successivo alla dichiarazione di pandemia da parte dell’OMS. La narrativa della rabbia è inoltre passata da temi xenofobi all’inizio della pandemia agli aspetti negativi del lockdown verso la fine della prima ondata.
È tutt’altro che una novità e, a mio modesto avviso, è un po’ poco per dare sostanza scientifica ad una nuova parola, pangry appunto, che peraltro, a maggior ragione ora che siamo alle prese con la seconda ondata e le incertezze delle misure di contenimento, appare quanto mai orecchiabile ed azzeccata.
Al di là dei giochi di parole, il concetto di rabbia da pandemia mi sembra interessante almeno per due motivi. Secondo la classificazione della Kübler-Ross la rabbia costituisce il secondo stadio, dopo la negazione, nel processo di elaborazione del lutto. Nel caso specifico della pandemia il lutto, la perdita è quella della normalità e con essa della sicurezza e della prevedibilità che la contrassegnavano. Dall’evoluzione del sentiment di Twitter si potrebbe dedurre che, con le solite numerose eccezioni (i negazionisti del COVID appunto), abbiamo superato, a livello collettivo, la fase della negazione e siamo arrivati a quella della rabbia. Fino all’accettazione il cammino è peraltro ancora lungo.
L’evoluzione delle emozioni collettive, che si esprimono nel sentiment di Twitter, dimostra inoltre che di fronte alla pandemia mettiamo in atto un processo di adattamento, personale e collettivo, che si può tradurre nello sviluppo di un disagio psichico ma anche nella sua prevenzione. Quanto più riusciamo a trovare strategie intelligenti d’adattamento, tanto meno siamo portati a sviluppare disturbi psichici in conseguenza della pandemia stessa. Lo dimostrano i risultati degli studi longitudinali inglesi e olandesi pubblicati sull’ultimo numero di The Lancet Psychiatry
La ricerca inglese ha analizzato l’andamento dei sintomi di ansia e depressione di 36520 persone che hanno risposto a tre questionari online nel periodo che andava da marzo ad agosto 2020. I risultati dimostrano che il carico psicologico maggiore è stato sperimentato dalle persone prima che scattassero le misure di lockdown e che i sintomi ansiosi e depressivi sono progressivamente diminuiti nelle venti settimane successive, in particolare nelle prime 4 settimane di lockdown più rigoroso. Questo suggerisce dunque che le persone hanno sviluppato un processo di adattamento riuscito, analogo a quello conosciuto in letteratura per altre condizioni di isolamento (incarcerazione, etc). Si può ipotizzare che il successo di tale processo di adattamento sia stato anche favorito dalle misure di protezione finanziaria e sociale messe in atto dal governo nonché dalla proliferazione di attività ludiche e ricreative online e da un vasto uso della comunicazione digitale.
“Being female or younger, having lower educational attainment, lower income, or pre-existing mental health conditions, and living alone or with children were all risk factors for higher levels of anxiety and depressive symptoms at the start of lockdown. Many of these inequalities in experiences were reduced as lockdown continued, but differences were still evident 20 weeks after the start of lockdown.”
“Nevertheless, many inequalities in mental health experiences (such as inequalities by age and gender) did remain and emotionally vulnerable groups (such as individuals with existing mental health conditions or individuals living alone) have remained at risk throughout lockdown and its aftermath. As countries face potential future lockdowns, these data emphasise the importance of supporting individuals in the lead-up to lockdown to try to reduce distress; yet these data also suggest that individuals might be able to adapt relatively fast to the new psychological demands of life in lockdown. But because inequalities in mental health have persisted, it is key to find ways of supporting vulnerable groups during this pandemic.”
Una ricerca condotta in Olanda tra aprile e maggio 2020 su coorti di pazienti affetti da depressione, ansia e disturbo ossessivo compulsivo e altre coorti invece senza patologia psichiatrica pregressa ha dimostrato che gli individui con disturbi psichiatrici più severi o cronici riportavano un maggior impatto negativo della pandemia sulla loro salute mentale, maggiore paura del COVID-19 e minore capacità di adattamento. Sia prima che durante la pandemia i livelli dei sintomi di depressione, ansia, preoccupazione e solitudine erano sistematicamente più elevati nei pazienti con molteplici e cronici disturbi psichici. Nel corso della pandemia però il livello dei sintomi è aumentato progressivamente nei soggetti senza disturbi psichici mentre è aumentato molto meno o si è addirittura ridotto nei pazienti con disturbi psichici cronici. Le spiegazioni possono essere molteplici: come già si sa dalla letteratura psichiatrica, i pazienti con gravi disturbi psichici cronici possono sperimentare una sorta di sollievo nel vedere che il loro mondo e le loro abitudini sono improvvisamente più in sintonia con il mondo esterno in quarantena, ovvero che il mondo esterno diventa più simile al loro. È inoltre possibile che, a seguito del lockdown, le persone affette da disturbi psichiatrici siano state costrette a sviluppare una routine più strutturata all’interno loro abitazione ricavandone un senso di maggiore sicurezza. È possibile infine che il miglioramento relativo dei pazienti psichiatrici sia dovuto ad una remissione spontanea.
Tali studi longitudinali ci ricordano e confermano dunque che la nostra mente mette automaticamente in atto un processo di adattamento alle circostanze avverse che è molto veloce (i sintomi ansiosi e depressivi più marcati compaiono prima del lockdown), che tale processo procede di pari passo con l’evolversi della situazione e che anche le persone con pregressi disturbi psichici hanno risorse apparentemente inaspettate che consentono loro talvolta di adattarsi meglio alle condizioni avverse quali l’isolamento rispetto ai cosiddetti normali.
Oltre che delle misure di prevenzione e contenimento del Virus, del vaccino, dovremmo dunque cominciare anche a ragionare su come incrementare la riflessione sulla nostra vita interiore, come favorirne il processo psicologico di adattamento attraverso misure psicologiche interiori (riflessione, mentalizzazione, mindfulness, etc.) ed esteriori (linee guida per affrontare i disagi dal punto di vista psicologico, psicologo di base, facilità di accesso alla psicoterapia etc).
Immagine tratta da @IrenaBuzarevicz
Suggerimento musicale a cura di @marcoganassin The Passion of Lovers