Prometeo pentito

“Oh gran bontà de’ cavallieri antiqui!” scriveva l’Ariosto, uno dei pochi scrittori ironici della nostra letteratura, ben consapevole che la presunta nobiltà dei bei tempi passati non fosse altro che il frutto della nostra idealizzazione. Eppure di lodatori del tempo passato sono, da tempo immemorabile, piene le fosse, sia quelle della letteratura che dei Mass Media, che, paradossalmente, dei Social Media. Paradossalmente perché ormai, dopo la caduta dei valori, delle ideologie, la fluidificazione della società, l’evaporazione dei padri, è proprio ai social media che si attribuisce comunemente il declino morale della società. Vedere dunque apocalittiche reprimende dei social media provenire dai social media stessi suscita un certa perplessità, – se non ilarità- pur essendo tale cortocircuito di auto svalutazione tutt’altro che nuovo nella politica, nella letteratura, nei Mass Media e in definitiva in ogni campo della conoscenza umana. L’età dell’oro (morale) è sempre prima (tanto che viene il dubbio che i dinosauri si siano estinti per altruismo) e a stabilirlo sono sempre quelli che lamentano il declino della loro categoria professionale a causa di colleghi immorali (filosofi, scrittori, artisti etc). Per non parlare poi delle geremiadi sulla corruzione indotta dalla tecnologia, dalla critica della scrittura di Platone in poi.

L’ingannevole sensazione del declino morale


Mi sembra quindi quanto mai geniale l’idea di due ricercatori, Adam Mastroianni della Columbia University, New York e Daniel Gilbert della Harvard University, Cambridge, di studiare scientificamente cosa ci sia di vero nella sensazione di declino morale lamentata da molte generazioni a questa parte. Lo studio pubblicato il 7 giugno scorso su Nature e di cui dà approfonditamente notizia, tra gli altri, il Post ha analizzato molteplici sondaggi condotti sia da altri studiosi tra 1949 e il 2019, che dai ricercatori già citati nel 2020.
Le conclusioni sono, per una volta, evidenti e incontrovertibili: “la percezione del declino morale è pervasiva, duratura, infondata e facilmente producibile”. “Le persone in tutto il mondo credono che la moralità sia diminuita, e lo credono fin dai tempi in cui i ricercatori glielo hanno chiesto”. I ricercatori aggiungono “I partecipanti agli studi precedenti credevano che la moralità fosse diminuita, e lo credevano in ogni decennio e in ogni nazione che abbiamo studiato. Credevano che il declino fosse iniziato intorno al momento della loro nascita, indipendentemente dalla data, e che continuasse ancora oggi.”
L’ipotesi dei ricercatori è che tale percezione ingannevole sia favorita da un lato dalla tendenza a ricordare il passato in modo molto positivo, dunque a idealizzarlo e dall’altro da una esagerata attenzione alle notizie negative del presente, che viene quindi svalutato grazie anche alla “collaborazione” dei mezzi di informazione.

Ma il mondo cambia 


È lecito dunque quantomeno supporre che la sensazione di declino che anche la nostra generazione avverte sia altrettanto ingannevole e infondata di quella delle generazioni precedenti e che anche i social, pur se tutt’altro che innocenti, non siano la causa di tutti i mali. Ciò naturalmente non vuol dire che il mondo non cambi. Con il mondo cambiano anche noi, così come mutano regole morali se non prinicipi etici. Diritti che sembravano per sempre sanciti come quello all’aborto vengono nuovamente messi in discussione. Valori come quello della solidarietà con i più deboli sembrano venire sostituiti dall’indifferenza, se non dall’ostilità. A farne le spese sono quelli che rimangono fuori dal benessere e fuori dai muri (europei o americani) o, come sempre più frequentemente accade negli ultimi mesi, in fondo al Mediterraneo. Un mare che di battaglie ne ha visto certo tante ma combattute con tanta ipocrisia credo raramente. I social sono uno specchio a tratti fedele, a tratti deformante, di questa trasformazione e contribuiscono a loro volta ad accelerarla. I tragici avvenimenti di questi giorni testimoniano quanto il corto circuito tra allucinazioni social e pulsioni molto reali di guadagno e ammirazione porti a crimini orrendi.

Prometeo ed Epimeteo 


Ma l’ingannevole sensazione di declino sembra mietere vittime anche tra gli innovatori, come testimoniano le ripetute grida di allarme circa i fatali pericoli dell’intelligenza artificiale lanciate da scienziati che fino al giorno prima si erano appassionatamente dedicati a costruirla. Il fenomeno appare a prima vista contraddittorio e difficilmente spiegabile. Perché illustri ricercatori che hanno contribuito a gettare le basi di una delle più straordinarie scoperte tecnologiche quali il ChatGPT, manifestano ora apocalittiche visioni sui disastri dell’intelligenza artificiale? La storia ci trasmette in realtà l’esempio di personaggi più o meno grandi a lungo dediti a una vita di piaceri, o di ricerca scientifica, comunque ben lontana da ideali religiosi che a un certo punto si convertono. Forse è proprio questa è la chiave per comprendere anche le attuali trasformazioni, quasi metamorfosi al contrario di scienziati e ricercatori dell’IA. Poiché ormai la tecnologia è diventata la nuova religione, si può immaginare che alcuni suoi sacerdoti, di fronte ad un balzo in avanti cui loro stessi hanno significativamente contribuito, vengano presi da un senso di colpa insopportabile che sembra quasi tradursi in un cupio dissolvi. Anziché proseguire nel loro percorso tecnologico aiutando a trovare le soluzioni per i presunti futuri tragici problemi dell’Intelligenza artificiale, si lanciano in previsioni più emotive che razionali. Non a caso sottolineano sempre di aver lasciato la loro precedente attività quasi fosse una colpa e di voler raggiungere l’umanità intera con il loro messaggio per tornare all’umanesimo, inteso come perduta età dell’oro. È un po’ come se Prometeo (che tra l’altro significa colui che pensa prima) dopo aver sottratto il fuoco agli dei e averlo regalato agli uomini, pensandoci sopra (dopo), si pentisse della sua azione in forza dei pericoli cui il fuoco avrebbe potuto condurre l’umanità. Indubbiamente chissà quanti milioni di uomini sono morti a causa del fuoco nonché delle armi da fuoco. Eppure senza il fuoco non saremmo mai giunti a sviluppare la civiltà come noi la conosciamo. Ecco, ho il sospetto che i paladini dell’intelligenza artificiale di ieri, spaventati ora dalla loro stessa scoperta e intimoriti dal fatto di poter indirettamente causare conseguenze tragiche, si sentano come dei Prometeo pentiti. Anzi più propriamente siano come il fratello di Prometeo, Epimeteo, colui che pensa dopo e preferiscano ritornare sui loro passi piuttosto che correre il pericolo di venir puniti da Zeus finendo incatenati ad una roccia con l’aquila che lacera loro il fegato. Eh, non ci sono più i Prometeo di una volta 😉

Immagine: Gregorio Martinez, Prometeo incatenato