“Nel suo racconto del 1909 “La macchina si ferma”, E. M. Forster immaginava un futuro in cui le persone vivevano sottoterra in celle isolate, senza mai vedersi e comunicando solo tramite dispositivi audio e visivi. … In quel mondo l’umanità è stata sopraffatta dalla “Macchina”, che fornisce tutti i comfort e soddisfa tutti i bisogni, tranne quello del contatto umano. Un giovane, Kuno, implora sua madre tramite una tecnologia simile a Skype: “Voglio vederti non attraverso la Macchina. . . . Voglio parlarti non attraverso la noiosa Macchina.” Dice a sua madre, assorbita nella sua vita frenetica e senza senso: “Abbiamo perso il senso dello spazio. . . . Abbiamo perso una parte di noi stessi. . . . Non vedi . . . che siamo noi a morire, e che quaggiù l’unica cosa che vive davvero è la Macchina?”
Sacks e i social
Traggo questa ampia citazione da un vecchio articolo del New Yorker (4.2.2019) in cui il grande neurologo Oliver Sacks riflette (assai pessimisticamente) sulle conseguenze che gli smartphone esercitano e sempre più eserciteranno sulle nostre relazioni.
Con tono piuttosto apocalittico Sacks scriveva ancora “Non c’è privacy e apparentemente poco desiderio di averla in un mondo dedito all’uso ininterrotto dei social media. Ogni minuto, ogni secondo, deve essere trascorso con il proprio dispositivo stretto in mano.”
A quattro anni di distanza dall’articolo di Sacks le conseguenze negative dei social sono ormai sotto gli occhi e sulla bocca di tutte/i, anche e soprattutto di chi i social li usa.
Un nuovo pericolo
A tale pericolo di robotizzazione, reificazione, virtualizzazione della nostra vita personale familiare e sociale, a causa dei social, se ne aggiunge però ora un altro, di tutt’altro genere. Sta avanzando infatti il pericolo che i social, prototipo della virtualità per antonomasia, diventino reali e quanto mai potenti armi al servizio del populismo contro le istituzioni democratiche. Non più in forma segreta, clandestina, subdola, come è già avvenuto per le elezioni americane o la Brexit. Ma alla luce del sole, grazie al fatto che i padroni dei social si ritengano autorizzati a discutere con governi stranieri, a criticarli e redarguirli, minacciarli. Lo scambio di post tra il proprietario di X (prima noto come Twitter) e il ministero degli Esteri tedesco è credo destinato ad andare sui libri di storia, oltre che sui manuali di psichiatria
Un problema politico
Il problema, purtroppo, è principalmente politico e solo incidentalmente psichiatrico. Che Elon Musk fosse un narcisista patologico era cosa nota da tempo e da ancora più tempo si sa, che quem Iuppiter vult perdere dementat prius ( Giove toglie prima il senno a colui ch’egli vuol mandare in rovina). Peraltro non c’è neanche bisogno degli dei, spesso basta attendere che i narcisisti patologici si costruiscano la rovina con le proprie mani o i propri robot.
La consolazione è peraltro effimera perché il problema è appunto politico e consiste nel fatto che l’uomo più ricco del mondo, fingendosi un cittadino e un account social qualunque, (“un giornalista civico”) si arroga il diritto di dire allo Stato tedesco cosa fare e cosa non fare in tema di politiche migratorie. Non solo. Di fronte alla rivendicazione di agire secondo universali principi di umanità, Musk pretende pure di dettare a uno Stato straniero le modalità con cui chiedere ai cittadini il loro parere, (“avete fatto un sondaggio?”) – modalità di valutazione della volontà popolare tra l’altro molto simili a quelle già proposte come modello di democrazia diretta in Italia dai 5 Stelle con esiti non proprio felici.
Social come movimento, i migranti come nemico comune
Cosa può accadere se il proprietario di un social, trasforma quest’ultimo, con l’alibi di fare “giornalismo civico”” in un “movimento”? Per di più populista e di estrema destra? Non è certo un caso che la questione sollevata da Musk riguardi i migranti, quelli che premono ai confini degli USA in primo luogo ma anche quelli che fuggono dall’Africa per cercare fortuna in Europa. I migranti sono un argomento sicuro sul quale riscuotere consenso a basso prezzo. I migranti sono i nuovi ebrei, una minoranza senza potere e senza rappresentanza politica, invisa a tutti. Alla destra fautrice da sempre dell’ordine, della Patria e del nazionalismo, ma anche alla sinistra, in difficoltà, ove al potere, a gestire i flussi migratori. Cosa c’è di più facile che aizzare, tramite il proprio social, la community internazionale contro i migranti, accusati di rubare lavoro agli autoctoni, portare disordine, delinquenza, malattie? Milioni di utenti armati del proprio smartphone e organizzati in rete in un social, che li fa sentire parte di una missione contro il nemico comune, rischiano di porsi come alternativa allo stesso potere democratico o meglio di essere utilizzati dal padrone del social per influenzare ed eventualmente ricattare governi democraticamente eletti. Dopo il partito azienda, il partito famiglia, il movimento politico a livello nazionale, rischia di profilarsi ora il social come movimento populista sovranazionale capace di influenzare e mettere sotto pressione governi e Stati. È la trasformazione dei social media in nuove aggregazioni politiche? Oppure un segnale di pericolo non più evitabile che ci porterà a ripensare i social e a rifondarli sottraendo ai loro proprietari un potere che deriva solo dalla nostra inerzia e dalla nostra tendenza a “fuggire dalla libertà”, spaventati dalle nostre responsabilità (Fromm)? È ancora etico far parte di un social il cui proprietario si ritrae mentre spara all’impazzatat? Meglio fare opposizione da dentro il sistema? O togliere, briciola per briciola, il potere che gli deriva dai nostri account e cercare nuove piattaforme e soprattutto nuove forme online di incontro e associazione?
Personalmente scelgo quest’ultima via, ma sicuramente molto sono le strategie possibili. Credo sia comunque importante esercitare consapevolmente quel briciolo di potere che ognuno di noi ha con la propria libera scelta.