Nomina nuda tenemus (?)
Non so se possediamo solo nomi ma so per certo che sulla psichiatria e sugli psichiatri incombe da sempre il pericolo espresso da un insolitamente ironico Kant ” c’è un genere di medici, i medici della mente, che, ogni volta che trovano un nome, pensano di aver conosciuto una malattia”. La psichiatria è stata a lungo “invenzione” e raccolta di malattie in cataloghi tanto più ordinati e rigorosi quanto più disordinati e incomprensibili erano i disturbi cui si riferivano. Ma con i nomi si trattenevano “tra la morte sociale e quella biologica” (Basaglia) anche i malati. Anche ora che, per fortuna, la psichiatria oltre a trattenere/intrattenere i pazienti, riesce pure a curarli – anche se non sempre a prendersene cura – i nomi rimangono importanti. Lo dimostrano le battaglie che precedono e seguono ogni nuovo aggiornamento dei manuali di classificazione (l’ICD10 in Europa il DSMV in America). Recentemente è stato proposto di cambiare anche il sistema di nomenclatura e classificazione dei farmaci psichiatrici, per arrivare, ça va sans dir, a una Neuroscience-based Nomenclature (NbN) A lanciare il progetto sono 5 organizzazioni internazionali di ricerca farmacologica.
Cose da specialisti, magari un po’ fissati, si dirà. Ma l’impatto sui pazienti, dunque su tutti noi, è notevole. L’intento lodevole. Si vuole sostituire l’attuale superata nomenclatura basata su vecchie distinzioni farmacologiche (antidepressivi, antipsicotici, tranquillanti, stabilizzatori del tono dell’umore etc) talora confusiva per i pazienti con termini che indichino la specifica azione neurobiologica del farmaco, in linea con quanto già avviene nelle altre discipline mediche. Altrimenti detto:
“Current psychopharmacological nomenclature remains wedded [to] an earlier period of scientific understanding, failing to reflect contemporary developments and knowledge, does not aid clinicians in selecting the best medication for a given patient, and tends to confuse patients by prescribing a drug that does not reflect their identified diagnosis.” European Neuropsychopharmacology, July 2014
The essential feature of the template is that it would replace indication-based titles with a nomenclature based on pharmacology and neurobiological action.
In italiano o inglese rimane però psichiatrese.
Cerco di spiegarmi con un esempio. Se un paziente presenta un disturbo d’ansia importante, accanto alla psicoterapia, gli prescrivo – posso prescrivergli – (oltre eventualmente a un tranquillante a breve termine) un antidepressivo, l’unico farmaco efficace a lungo termine contro l’ansia. Il termine (antidepressivo) può suscitare in questo caso nel paziente perplessità, magari ansia, oltre a non spiegare il modo in cui il farmaco agisce. Potrebbe allora essere sostituito da inibitore della ricaptazione della serotonina. E così pure antipsicotico (il farmaco contro i sintomi della schizofrenia) dovrebbe essere sostituito da antagonista dei recettori D2. Che poi il paziente possa approfittare di queste informazioni neurobiologiche dipende come al solito da tante cose, dall’apertura e dall’interesse del paziente, dal suo desiderio di leggerne per conto proprio, e/o di parlarne con il medico, dalla disponibilità di quest’ultimo ad approfondire, dal rapporto di fiducia che si crea oppure no tra medico e paziente…
Come ogni innovazione terminologica susciterà discussioni e polemiche (interminabili soprattutto in Italia, dove non si riesce ancora a chiamare una donna medica o medichessa). Poi verosimilmente la forza d’inerzia della tradizione sarà vinta – forse anche in Italia – e la nuova nomenclatura entrerà in vigore rimanendovi fino alla prossima revisione.
Mi domandavo però se anche le psicoterapie non avessero bisogno di un’ analoga riforma terminologica, una Neuroscience-based Psychotherapy Nomenclature (NbPN). Anche per loro vale a maggior ragione il monito kantiano, da parafrasare qui nel senso che i terapeuti, trovato un nome, pensano di aver trovato un metodo. Quando mi metto nei panni di un paziente che si trovi a dover/voler avviare una psicoterapia, immagino la sua perplessità già di fronte alla scelta tra le più conosciute terapie ad indirizzo analitico, cognitivo-comportamentale, sistemico. Ma cosa succede nella testa di quel povero paziente quando le biforcazioni proseguono (indirizzo analitico freudiano, junghiano, fenomenologico, transazionale…), le possibilità si accrescono e comincia a sentir parlare di psicoterapia corporea, costruttivista, funzionale, integrativa, interpersonale, narrativa, umanistica, ipnosi-terapia, arte-terapia, mindfulness , bioenergetica, logoterapia, EMDR… Per non parlare della psicoterapia pranica, quantistica, e di quella online – ove la specificazione si riferisce ovviamente al medium ed è spesso abbinata all’altra riferita ai costi “gratis” – fino alla psicoterapia zen (sic!). Il catalogo completo, comprendente purtroppo insieme al grano molto loglio, fa a gara con quello di Don Giovanni. Qui le sole Scuole di psicoterapia riconosciute dal MIUR e qui qualche catalogo ragionato degli indirizzi psicoterapeutici più importanti Infine un’interessante serie di video curati da Francesco Bollorino per “presentare orientamenti psicoterapeutici diversi illustrandone succintamente i principi di tecnica e le indicazioni”
Il titolo dell’ultimo è “Psicoterapie:verso modelli condivisi e dialoganti”
Ah, dimenticavo che c’è il ?