Tendiamo spesso a dimenticare che il disagio dell’adolescenza può diventare sofferenza, trasformarsi in minaccioso disturbo mentale. Già lo studio epidemiologico PrISMA Study condotto in Italia nelle scuole su ragazzi/e tra i 10-14 anni nel 2009, dimostrava che tra loro una percentuale di circa il 10% presenta un disturbo mentale. Analoghe percentuali sono state riscontrate negli altri paesi europei e occidentali. Si sa inoltre che il 75% dei disturbi mentali si manifesta in maniera sintomatologicamente evidente entro i 25 anni e il 50% di quelli più gravi addirittura prima dei 14 anni. Il tentativo di suicidio è la seconda causa di morte per i giovani tra i 10 e i 25 anni dopo gli incidenti stradali.
Se questi dati, già preoccupanti, valgono per l‘ormai trascorsa e sempre più sospirata „normalità“, cosa ci dobbiamo aspettare nella dolorosa fase della pandemia?
Il Dott. Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma riporta che nella struttura da lui diretta i tentativi di suicidio e autolesionismo sono aumentati del 30%. “Dal mese di ottobre ad oggi, quindi con l’inizio della seconda ondata, abbiamo notato un notevole rialzo degli accessi al pronto soccorso con disturbo psichiatrico, nel 90% sono giovani tra i 12 e i 18 anni che hanno cercato di togliersi la vita“. Vicari prosegue nella sua intervista; „Il fatto è che la pandemia sta facendo aumentare lo stress e lo stress facilita la comparsa di una serie di disturbi, principalmente disturbi d’ansia, disturbi del sonno e depressione. Aumentano per una serie di fattori: prima di tutto, c’è la paura di ammalarsi che i bambini e i ragazzi ‘respirano’ dentro casa. Poi c’è l’assenza del gruppo dei coetanei che fa da ammortizzatore. Un adolescente – lo siamo stati tutti e lo sappiamo benissimo – parla poco con mamma e papà. Se deve raccontare un problema preferisce confrontarsi con un amico, con il compagno di banco. Questa interazione in presenza non c’è più e a distanza non è la stessa cosa”.
La recente rigorosa ricerca condotta in Inghilterra su bambini e adolescenti durante la pandemia, the follow-up of England’s Mental Health of Children and Young People, MHCYP, conferma e amplia questi dati. Lo studio, apparso sull‘ultimo numero di Lancet Psychiatry „benefits from a large, national, longitudinal probability sample spanning childhood, adolescence, and emerging adulthood, using detailed, validated, and consistent measures“.
Secondo tale ricerca l’incidenza di probabili disturbi mentali è aumentata dal 10,8% del 2017 al 16 % del luglio 2020 con un picco del 27,2% tra le ragazze.
Più di un quarto dei bambini, adolescenti e giovani hanno riferito disturbi del sonno. Figli/e con un genitore affetto da stress psicologico hanno maggior probabilità di sviluppare un problema mentale il ché suggerisce che il supporto psicologico per i genitori sia decisivo per lo stato mentale dei figli.
La ricerca inglese evidenzia inoltre come l’aumento del disagio infantile,adolescenziale e giovanile sia associato, a differenza dei dati italiani esposti da Vicari, ad una riduzione della domanda d‘aiuto:
Our findings reveal disrupted access to health care: 44·6% of 17–22 year olds with probable mental health problems reported not seeking help because of the pandemic. Clinicians have raised similar concerns about timely access to services, and a sharp decrease in Child and Adolescent Mental Health Services referrals has been observed.
Ancora più significativo appare inoltre il dato relativo alla sfiducia dei ragazzi/e di poter parlare con un adulto:
21·6% of children and 29·0% of young people with probable mental health problems reported having no adult at school or work to whom they could turn during lockdown. Even after schools reopened, 16·1% children who could have attended stayed at home during the 2020 summer term. Academic practitioners anticipate that the cumulative effects of not intervening will result in widening health and education inequalities.
I risultati della ricerca dimostrano inoltre la complessità delle relazioni che intercorrono tra salute mentale di bambini e adolescenti, condizioni sociali e finanziarie delle loro famiglie e educazione scolastica. La scarsità dei mezzi a disposizione dei ragazzi/e per la DAD nelle famiglie meno abbienti rispecchia i dati italiani.
Children with probable mental health problems were more than twice as likely to live in households newly falling behind with their bills, rent, or mortgage payments compared with those whose families were able to pay their bills. One in ten children and younger people reported that during the pandemic their family did not have enough to eat or had increased reliance on foodbanks compared with before the pandemic. These stark conditions matter more when schools close, highlighting the unequal effect of lockdown on learning. 12·0% of children had no reliable internet access at home, 19·1% no quiet space to work, and 26·9% did not have a desk at which they could study. Such socioeconomic information provides crucial context for schools planning pupils’ home-based learning, and emphasises the need, where possible, to prioritise schools remaining open.
Basterebbe prendere ognuno di questi dati isolato dagli altri per poter sostenere ciascuno la propria antinomica tesi, che per aiutare i/le ragazzi/e è necessaria la scuola in presenza oppure che la DAD è meglio di niente, che il problema sono i social media per adolescenti o che quanto vi accade è solo l‘espressione di un disagio le cui cause sono da ricercare altrove, che il problema sono le ingiustizie e le disuguaglianze, etc. Ciascuna di queste tesi si fonda su elementi di realtà, rischia però di diventare, nel dialogo spesso urlato e semplificato fino alla banalità cui oggi assistiamo e contribuiamo, una sorta di idea fissa, che assorbe energia per venire dimostrata anziché gettare luce sul tema di fondo, quello appunto della sofferenza degli adolescenti. Basti pensare al caso della bambina di 10 anni di Palermo morta, forse, nel corso di una rischiosa sfida ingaggiata su un social network, ora sanzionato. Il dibattito che ne é scaturito, spesso con informazioni al limite della disinformazione, è diventato una sorta di battaglia senza esclusione di colpi tra sostenitori e detrattori dei social media, della tecnologia, senza arrivare al cuore del problema, la sofferenza di quella bambina e dei suoi coetanei. Oggi Borgna in una bella intervista a Roberta Scorranese su La Lettura ci ricorda che il suo „compito è decifrare la sofferenza, ascoltarla, anche quando diventa una muraglia“. Credo sia anche il compito di ciascuno di noi. „Fermarsi ad ascoltare“.
Immagine tratta da Osservatorio Minori Org
Suggerimento musicale a cura di @marcoganassin Caparezza – Ti fa star bene