La ricerca di un terreno comune

„Si direbbe che il potere con le sue convenzioni e l’eresia con le sue rigidità siano speculari. La via della ricerca è l’alternativa sensata. E la ricerca di un terreno comune è un buon argomento di ricerca“. Sono le parole di Luca De Biase a commento del mio post sulle posizioni novax come eresie anti-scientifiche. Credo che la storia abbia ripetutamente dimostrato la correttezza di questa tesi, senza purtroppo esimerci dalla sua ripetizione. Spesso i rivoluzionari si sono rivelati altrettanto tirannici dei tiranni che hanno spodestato e le rivoluzioni non meno crudeli e sanguinarie dei regimi contro cui sono state scatenate. La rivoluzione per antonomasia dell’Occidente, quella francese, ne è il miglior esempio. D’altro canto l’epigenetica ci insegna che i traumi che hanno profondamente segnato la nostra vita sono destinati a trasmettersi alle due successive generazioni, come succede ai topolini stressati che, tramite alterazioni dell’ mRNA, trasmettono lo stress a figli e nipoti. Noi umani abbiamo almeno la possibilità di elaborare il trauma con la psicoterapia e impedire, se ci va bene, di trasformarci da vittime in carnefici. Secondo l’ultima costola nata dalla psicoanalisi, la terapia basata sulla mentalizzazione MBT, si potrebbe interpretare il carattere speculare del potere e dell’eresia che lo contesta come un disturbo (individuale e collettivo) del processo di mentalizzazione, della nostra capacità cioè di riflettere su pensieri, sentimenti e intenzioni nostre ed altrui. Prima di arrivare a mentalizzare in modo maturo ed adeguato passiamo attraverso diverse fasi per così dire immature, in una delle quali tendiamo ad attribuire agli altri i nostri vissuti e non riusciamo a distinguere tra la nostra realtà interiore, cioè psichica e quella esteriore. Da bambini è capitato a tutti noi di essere convinti che sotto il letto ci fosse un mostro, un fantasma, un animale feroce e di continuare a pensarlo nonostante le rassicurazioni razionali dei nostri genitori. Per andare a letto abbiamo avuto dapprima bisogno dell’abbraccio e spesso della presenza a letto di un genitore (generalmente la mamma) e solo successivamente abbiamo cominciato a fidarci delle parole di rassicurazione (generalmente del papà) intuendo e poi comprendendo sempre meglio che le nostre paure non corrispondono, per fortuna, 1 : 1 alla realtà. Crescendo abbiamo cioè capito, dovremmo aver capito che, il fatto di aver paura del mostro non vuol dire che il mostro ci sia e ancor meno che sia proprio sotto il nostro letto. Nello sviluppo riusciamo dunque a superare questa fase detta di equivalenza (tra realtà interiore ed esteriore) ma questa tendenza rimane latente in noi, soprattutto nelle persone che hanno una modalità di attaccamento (cioè di rapporto con persone significative) insicuro. Di fronte ad uno stress molto intenso e prolungato quale può essere quello della pandemia, queste persone ripresentano più facilmente tale tendenza e tornano ad essere convinte che la loro paura sia la realtà. Che cioè il virus e ancor di più il vaccino – che loro stesse dovrebbero prendere l’iniziativa di assumere – costituisca una reale minaccia per la loro salute o addirittura per la loro vita. Sono questi gli “hesitant”, persone esitanti, timorose, impaurite dalle conseguenze negative del vaccino e rappresentano, secondo l’OMS, la terza categoria dei novax, quella che più facilmente è disposta a cambiare idea e a farsi vaccinare se si sente capita e accolta dall’interlocutore. Un articolo  di una dottoressa statunitense da tempo alle prese con pazienti simili illustra mirabilmente quale dovrebbe essere l’approccio parlando con loro
“We navigate these difficult conversations over time with the approach of compassion and empathy, not hostility or bullying. As health care providers, we start by being good empathic listeners. Similar to when we have advance care planning and code status conversations, we cannot enter the dialogue with our intention, beliefs, or formulated goals for that person. We have to listen without judgement to the wide range of reasons why others are reluctant or unwilling to get the vaccine – historical mistrust, political identity, religious reasons, short-term side effects that may cause them to lose a day or two of work – and understand that for each person their reasons are different. The point is to not assume that you know or understand what barriers and beliefs they have towards vaccination, but to meet them at their point of view and listen while keeping your own emotions level and steady.”
Certo un atteggiamento del genere è possibile solo in ambito professionale ma anche al bar e addirittura sui social! dovremmo almeno ricordarci che a fronte di tanti novax paranoici, aggressivi o addirittura violenti, vi sono anche persone esitanti, insicure, che non vanno certo bullizzate (nessuno peraltro lo merita) né tanto meno aggredite ma ascoltate e rassicurate.
Ma la modalità di equivalenza (tra propria realtà psichica e mondo esterno) non scatta solo negli hesitant ma anche in molti di noi (tutti?) quando siamo talmente convinti delle, anzi posseduti (secondo il concetto di Jung) dalle nostre idee da ritenere la nostra l’unica possibile interpretazione della realtà anzi la realtà tout court e vediamo nell’altro il nemico o il malato che non vuole o non è in grado di riconoscerla. E poiché la nostra realtà esteriore e, si direbbe, ancor più quella interiore, è ancora largamente condizionata dalla pandemia, convinzioni, emozioni e conflitti si muovono inevitabilmente in quest’angusto ambito, che ognuno di noi tende ad approcciare come meglio può o pensa di sapere. Quando cadiamo però nel modo di equivalenza, non solo assumiamo la nostra categoria professionale come unica o comunque prevalente modalità d’approccio al tema ma consideriamo implicitamente il nostro punto di vista come l’unico possibile. Gli esempi purtroppo si sprecano. Seicento docenti universitari si dichiarano contrari al green pass in nome dei più alti principi di libertà, invitano alla libera discussione però solo dopo aver giudicato la realtà esclusivamente dal loro punto di vista e aver paragonato la situazione attuale al nazismo (che pur non citano esplicitamente). Un paragone storicamente quanto meno un tantino azzardato e per di più identico a quello addotto dai più fanatici novax per opporsi alla cosiddetta dittatura sanitaria. Non sarebbe lecito attendersi da docenti universitari una capacità critica e un grado di mentalizzazione superiore a quella di fanatici scalmanati? Altri professori universitari criticano i primi sulla base dell’altrettanto approfondita argomentazione che la critica al green pass è di destra, dando per scontato che la giustizia stia a sinistra. Giuristi molto competenti definiscono la legislazione del governo in tema di green pass “delirante” presupponendo una psicopatologia della legislazione di cui loro sarebbero gli unici corretti giudici. Naturalmente ognuno di noi ha il proprio punto di vista. Io assumo quello medico-psichiatrico senz’altro perché è quello in cui sono per così dire cresciuto ma anche perché mi sembra quello più adeguato a far fronte alla situazione attuale in cui la maggior parte di quel circa 20% non ancora vaccinato rifiuta la vaccinazione o ne è impaurita o nega addirittura il pericolo stesso della pandemia. A fronte di una simile situazione psicologica mi sembra illusorio risolvere il problema con l’obbligo vaccinale. Cosa facciamo con quelli che non si vogliono vaccinare? facciamo un TSO a milioni di persone? Li condanniamo a pene pecuniarie e, se si rifiutano di pagarle, al carcere? Sarebbe questa la tanto declamata libertà? Sia come cittadino che come medico, credo che sia più corretto e tollerante garantire la sicurezza della maggioranza della comunità e consentire una temporanea via d’uscita alla minoranza tramite il green pass, che ricordo è a disposizione non solo di vaccinati e guariti ma anche di tutti coloro che preferiscono fare il test. E se i test rimangono calmierati mi sembra che anche alla minoranza vengano sostanzialmente riconosciuti, tenendo conto dell’eccezionalità della situazione pandemica, uguali diritti. Naturalmente anche il mio è solo un punto di vista tra i tanti di fronte a un problema estremamente complesso del quale nessuno fino ad ora ha trovato la quadratura, né credo che qualcuno mai potrà trovarla da solo. Sarebbe già gran cosa se ognuno di noi riconoscesse la propria ignoranza e la propria impotenza, accettando di collaborare, anziché bacchettare gli altri – cosa che ho appunto fatto fino a due righe fa 😉 – perché non succeda quello che lamenta Guglielmo da Baskerville nel Nome della rosa “Tutti avevano la loro ragione, tutti hanno sbagliato”. Il mio amico Giovanni Fanfoni, che è persona saggia, almeno quanto Guglielmo, intravede questo non proprio esaltante futuro : “L’intersezionalità finirà col dividerci in gruppi sempre più piccoli, rigorosamente in conflitto tra loro, fino alla scissione dell’atomo, quando cioè il singolo individuo scoprirà diverse personalità in un delirio schizoide, ormai irrimediabile.” Io, che sono più ottimista, o semplicemente più ingenuo, o forse deformato dalla mia professione, penso che le parole qualche volta possano addirittura servire per mentalizzare, per capirsi – tranne che su Twitter, si sa 😉 – e che in fin dei conti ci si può anche abbracciare in silenzio.
Immagine tratta da @IrenaBuzarewicz