“Ora il senso dell’identità si fonda sull’odio, sull’odio per chi non è identico. Bisogna coltivare l’odio come passione civile. Il nemico è l’amico dei popoli. Ci vuole sempre qualcuno da odiare per sentirsi giustificati nella propria miseria” scriveva profeticamente Umberto Eco ne “Il cimitero di Praga”. E aggiungeva “L’odio riscalda il cuore.” L’odio rivolto verso entità collettive, come istituzioni o gruppi, da significato alla vita, dimostra un recente studio pubblicato sul Journal of Experimental Social Psychology I ricercatori hanno infatti potuto dimostrare che dedicarsi all’odio verso entità collettive, non però verso gli individui, attiva il sistema motivazionale comportamentale potenziandone i sentimenti quali entusiasmo e determinazione. Al tempo stesso l’odio verso gruppi e istituzioni depotenzia il sistema di inibizione comportamentale attivato dalle minacce. L’odio tende cioè a reprimere i sentimenti associati alla minaccia quali confusione e incertezza, che comportano un conflitto interiore. Quest’azione congiunta si traduce in un incremento del significato che l’odio assume nella vita delle persone Un autore della ricerca spiega “In primo luogo, il conflitto e l’odio possono soddisfare i bisogni psicologici delle persone. Questo potrebbe aiutare a spiegare perché le persone sono continuamente attratte dal conflitto o dalla “lotta per la lotta”, come ha osservato Francis Fukuyama in The End of History”. L’odio può divenire cioè una potente forza motivante, dando alle persone uno scopo chiaro contro un nemico prefissato, e dunque una vita piena di significato.
Credo non vi sia nemmeno bisogno di sottolineare l’attualità di queste osservazioni. La pandemia ci ha messo in una sorta di laboratorio collettivo nel quale osservare le reazioni delle cavie in condizioni di stress, con la particolarità però che le cavie siamo noi. Come i polli di Renzo nella maggior parte dei casi altro non sappiamo fare nello stress che beccarci tra di noi individuando di volta in volta con argomenti francamente irrazionali o a volte pseudo-razionali, i gruppi da odiare: prima i cinesi, poi le altre nazioni, le autorità nazionali, europee, le istituzioni internazionali, i runner, Big Pharma, i novax, insomma gli altri, i diversi da noi. Naturalmente alcune scelte sono ineludibili, chi mette a rischio gli altri non può essere trattato come chi si fa carico della responsabilità altrui. È doveroso mettere limiti all’incoscienza di chi mette in pericolo la salute propria ed altrui con il GP, il GP rafforzato -che altro non è che il sistema 2 G (vaccinati, guariti) dei paesi mitteleuropei -, l’obbligo vaccinale. Ma forse è arrivato il momento di rendersi conto che oltre al piano operativo e sanitario in senso stretto, bisogna prendere sul serio i sentimenti sottostanti che ormai da due anni ci attanagliano: la paura, l’angoscia, la tristezza, la perdita, il perenne sentimento di incertezza. Se continuiamo a sottovalutare questi sentimenti, se non li elaboriamo psicologicamente in un difficile ma necessario lavoro di lutto collettivo, avremo sempre più a che fare con l’odio e le sue linee di frattura. Le frontiere non passano ormai solo attraverso i continenti, segnando quali possono vaccinarsi e quali no, le nazioni, distinguendo quali hanno diritto alla sicurezza e quali no, i mari, separando quelli che vi navigano da quelli che vi affogano. Le fratture passano ormai anche per le nostre case, parentele, amicizie, i luoghi di lavoro. Siamo fragili, non solo fisicamente. Abbiamo il coraggio di riconoscerlo! Siamo logorati da due anni di sofferenza, prendiamoci cura del nostro malessere se non vogliamo che si trasformi in ulteriore odio.