Barbarie e conoscenza

Ci si domandava qui meno di un mese fa se ad impedire l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ci avrebbe aiutato più l’empatia o la teoria dei giochi o meglio ancora l’integrazione tra comprensione cognitiva e comprensione affettiva della situazione. Abbiamo purtroppo dovuto constatare che ogni mezzo ha fallito e la barbarie, che speravamo tramontata almeno in Europa, è di nuovo ricomparsa, terrorizzando non solo gli ucraini, che ne sono le principali vittime, ma tutti noi perché – come scriveva Freud in risposta ad Einstein – „la guerra annienta vite umane piene di promesse, pone i singoli individui in condizioni che li disonorano, li costringe, contro la propria volontà, a uccidere altri individui, distrugge preziosi valori materiali, prodotto del lavoro umano, e altre cose ancora“.
Vale comunque la pena di rileggere ancora una volta il carteggio  Einstein- Freud sul “Perché la guerra?” per constatare cosa sia cambiato e cosa purtroppo no rispetto alle riflessioni di quelle che al tempo (1932) erano considerate tra le menti più illuminate della cultura europea e mondiale. Scrive con la sua concreta pregnante concisione Freud

„giungiamo facilmente a una formula per definire le vie indirette di lotta alla guerra. Se la propensione alla guerra è un prodotto della pulsione distruttiva, contro di essa è ovvio ricorrere all’antagonista di questa pulsione: l’Eros. Tutto ciò che fa sorgere legami emotivi tra gli uomini deve agire contro la guerra. Questi legami possono essere di due tipi. In primo luogo relazioni che pur essendo prive di meta sessuale assomiglino a quelle che si hanno con un oggetto d’amore. La psicoanalisi non ha bisogno di vergognarsi se qui parla di amore, perché la religione dice la stessa cosa: “ama il prossimo tuo come te stesso”.
Ora, questo è un precetto facile da esigere, ma difficile da attuare. L’altro tipo di legame emotivo è quello per identificazione. Tutto ciò che provoca solidarietà significative tra gli uomini risveglia sentimenti comuni di questo genere, le identificazioni. Su di esse riposa in buona parte l’assetto della società umana.“
Credo che tali argomentazioni di Freud possano essere difficilmente a tutt‘oggi contraddette.
La successiva riflessione di Freud si rivela invece quanto mai datata:“ Fa parte dell’innata e ineliminabile diseguaglianza tra gli uomini la loro distinzione in capi e seguaci. Questi ultimi sono la stragrande maggioranza, hanno bisogno di un’autorità che prenda decisioni per loro, alla quale perlopiù si sottomettono incondizionatamente. Richiamandosi a questa realtà, si dovrebbero dedicare maggiori cure, più di quanto si sia fatto finora all’educazione di una categoria superiore di persone dotate di indipendenza di pensiero, inaccessibili alle intimidazioni e cultrici della verità, alle quali dovrebbe spettare la guida delle masse prive di autonomia.“ Freud qui è ancora fermo alla Repubblica di Platone «Se nelle città…i filosofi non diventeranno re o quelli che ora sono detti re e sovrani non praticheranno la filosofia in modo genuino e adeguato, e potere politico e filosofia non verranno a coincidere, con la necessaria esclusione di quelli che in gran numero ora si dedicano separatamente all’una o all’altra attività, le città non avranno tregua dai mali, Glaucone“.
Può suonare immodesto, eppure a questo riguardo, quello cioè del metodo per giungere ad una migliore conoscenza e valutazione della realtà, qualche passo avanti rispetto a Platone e Freud l’abbiamo fatto. Non solo per l’affermazione di durevoli e stabili forme di democrazia, che pure oggi vengono messe a dura prova dal rifiorire delle autocrazie, delle quali la Russia è proprio uno degli esempi. Ma anche perché da una costola della psicoanalisi (la terapia fondata sulla mentalizzazione, MBT) nonché dalle neuroscienze abbiamo compreso meglio come viene trasmessa, innovata ed arricchita la conoscenza. Il modello, per paradossale che possa apparire, è quello del rapporto madre (genitori)-bambino e dei segnali ostensivi (ostensive cues) cioè di attenzione che precedono e rendono possibile l’apprendimento. Lo sguardo sollecito e sensibile rivolto dalla madre al bambino, il condividerne la direzione dello sguardo, il sorriso ripetuto, le parole pur prive di significato logico ma dense di intensità emotiva che la madre rivolge al bambino e molti altri piccoli segnali inducono il bambino all’ascolto, all’attenzione, alla concentrazione sul rapporto e su di sé e sono le basi fondanti di quel processo di mentalizzazione che porta all’apprendimento, alla comprensione di sé, degli altri e della realtà. Proprio tali segnali, congiunti ad un rapporto fiducioso e sicuro con le figure genitoriali, consentono di superare la naturale diffidenza a quanto proviene dall’esterno (vigilanza epistemica) e di aprire selettivamente il canale della fiducia epistemica accogliendo quanto ci viene detto, su noi stessi e sugli altri, dalle nostre figure genitoriali. Se questa fiducia epistemica viene danneggiata da un attaccamento insicuro e a maggior ragione da traumi, la mente si chiude a nuove informazioni provenienti dall’esterno che vengono percepite come potenzialmente destabilizzanti. Tali nuove informazioni provenienti dagli altri e dalla realtà non possono dunque venire fatte proprie, internalizzate. Il sapere non viene dunque attualizzato (updated) e si crea un sentimento di chiusura in sé stessi che impedisce ulteriormente lo scambio di informazioni con l’ambiente esterno. La fiducia epistemica si riduce e il soggetto si viene a trovare in una sorta di dilemma epistemico tale per cui da una parte è diffidente e sospettoso verso ogni informazione esterna (ipervigilanza epistemica) e dall’altra diviene per taluni aspetti estremamente ingenuo, credulone, facile preda di false informazioni (Fake News). Non a caso è stata notata una significativa correlazione tra attaccamento insicuro e tendenza a credere a teorie cospirative. Un attaccamento sicuro e all’interno di questo segnali ostensivi di richiamo dell’attenzione sono le migliori condizioni per la trasmissione della conoscenza e dell’innovazione. Naturalmente filosofi e manager sono utili alla società e la competenza conta ma le condizioni per l’accrescimento della conoscenza valgono per tutti e sono prima ancora emotive che cognitive o meglio sono emotive e cognitive insieme.
Un attaccamento instabile e la diffidenza vanno invece a scapito della conoscenza. È il motivo per cui la prima vittima della guerra è la verità, l’obiettività. Anche per questo è così importante che, pur prendendo posizione di fronte ad una evidente e drammatica violazione russa di ogni diritto personale e collettivo, manteniamo un atteggiamento critico ma non pregiudiziale o addirittura fanatico. Ora che la guerra è ormai scoppiata, oltre ad aiutare le persone ucraine in difficoltà, l‘unico nostro potere è quello di mantenere un rapporto di fiducia tra di noi e con l’informazione. É questa la base perché, tra le macerie, si faccia nuovamente strada il tesoro, sempre a rischio di distruzione, della conoscenza e dell’umanità.