La paralisi delle vittime di violenza

La paura paralizza, si usa dire. Non è solo un modo di dire ma un’esperienza in cui può incorrere ognuno di noi quando si trova in una situazione di pericolo estremo, a distanza ravvicinata. Lo testimonia ora anche un articolo pubblicato in questi giorni su Nature Human Behaviour teso proprio a confutare dal punto di vista neurobiologico uno dei tanti miti della violenza sessuale. Secondo un antico pregiudizio, ancora in auge purtroppo nelle nostre aule giudiziarie, la mancanza di reazione della donna vittima di violenza sessuale viene imputata a suo carico come dimostrazione che era consenziente. “Ha reagito?” “Perché no?” “Come lo spiega?” si sentono chiedere le donne vittime di violenza sessuale da parte degli avvocati difensori del violentatore. Spesso faticano loro stesse a darsi una spiegazione per un comportamento che appare a prima vista contraddittorio. Non lo è però se si considera la neurobiologia degli stati di paura e panico.


Il riflesso di morte (tanatosi) negli animali

Partiamo dall’ etologia, nella quale stati di temporanea paralisi della muscolatura di animali, sia invertebrati che vertebrati, sono da tempo noti ed indicati dall’ espressione “riflesso di morte” (Todstellreflex), “rigidità” o “tanatosi” (dal greco antico θάνατος, Thanatos, morte). La tanatosi è per l’appunto il comportamento messo in atto da alcuni animali, che implica l’irrigidimento totale del corpo a seguito ad una situazione di pericolo con il fine di simulare uno stato di morte. “Si tratta di un comportamento difensivo: l’animale finge di essere morto, come ultima risorsa, quando il predatore gli impedisce ogni altra via di fuga. Con tale atteggiamento la preda scoraggia il predatore: molti animali infatti non mangiano cadaveri la cui carne potrebbe essere in putrefazione, risultando tossica. Il predatore quindi, si allontana, e la preda scappa velocemente al sicuro”. La preda in questi casi rimane dunque pronta ad agire e quindi il congelamento (freezing, come spesso viene anche indicato) è considerato come una sorta di riflesso lotta/fuga in attesa, in attesa cioè del successivo passaggio all’azione.


Immobilità tonica e collassata

Tuttavia “minacce immediate e gravi, come la contenzione fisica, – sostengono gli autori dell’articolo citato – possono innescare un diverso tipo di risposta, denominata immobilità tonica (immobilità prolungata con una postura fissa) o immobilità collassata (caratterizzata cioè dalla perdita del tono muscolare) negli animali” e anche negli umani. Durante queste fasi di immobilità tonica o collassata le persone non sono in grado di compiere azioni volontarie, come appunto accade alle vittime di violenza sessuale. Circa il 70% delle vittime di stupro e violenza sessuale riferiscono, secondo un altro studio , di aver provato tale condizione di immobilità.


Le vie neurobiologiche della paura


Gli studi neurobiologici sulle risposte alla minaccia negli animali hanno evidenziato un circuito altamente specializzato alla base di tali comportamenti, comprendente diverse strutture sensoriali e motorie. L’amigdala, il principale centro di elaborazione della paura, riceve stimoli sensoriali da circuiti sottocorticali evolutivamente antichi ma anche dalla corteccia associativa, il ché spiega come i fattori cognitivi possano potenzialmente modulare i circuiti di elaborazione delle minacce e quindi ridurre i sentimenti di paura. Il nucleo centrale dell’amigdala trasmette poi questi segnali segnali alla suddivisione ventrolaterale della sostanza grigia periacqueduttale, cioè quella porzione di materia grigia (che circonda l’acquedotto cerebrale di Silvio) che è il centro di controllo primario per la modulazione discendente del dolore, ma che svolge un ruolo importante anche nella regolazione della paura. La stimolazione delle aree caudali ventrolaterali della PAG (sostanza grigia periaqueduttale) può infatti portare a una postura immobile e rilassata conosciuta come quiescenza.

Gli studi di neuroimaging sugli umani confermano una reazione a cascata difensiva simile che coinvolge l’amigdala e il grigio periacqueduttale. Gli autori dell’articolo citato propongono dunque che tale circuito che collega l’amigdala, il grigio periacqueduttale e i nuclei motori del tronco cerebrale porti all’inibizione dei comandi motori volontari discendenti e dunque possa essere alla base dell’immobilità evocata dalla minaccia negli esseri umani, che si realizza appunto nei casi di stupro e violenza sessuale. Essi suggeriscono inoltre che potrebbero esistere due forme di immobilitò durante stupro o violenza sessuale (IRSA): una in cui il tono muscolare è preservato (simile al concetto classico di immobilità tonica) ma accentuato al punto da comportare l’irrigidimento e dunque l’inazione e una forma di immobilità ipotonica “flaccida”, che pure non consente il movimento.


La teoria della difesa a cascata


Proviamo ora a ordinare questi dati in un contesto più ampio, quello della teoria della difesa a cascata. Secondo la teoria della della difesa a cascata la risposta a una minaccia si evolve nel tempo, può variare e e dipende dall’intensità della minaccia, dalla vicinanza dello stimolo della minaccia. La difesa a cascata consiste in una serie di schemi di reazione caratteristici che si susseguono in sequenza, con l’obiettivo di respingere un attacco e garantire la sopravvivenza.
La prima reazione della cascata difensiva è la cosiddetta reazione di orientamento (congelamento). Questa reazione, che dura solo pochi secondi, comporta un breve congelamento all’improvvisa percezione di una possibile minaccia.
La seconda fase della difesa è un modello di risposta generalmente considerato tipico, la risposta di lotta-fuga. Come per tutti gli altri animali da preda, la risposta primaria negli esseri umani è la fuga da una minaccia, caratterizzata dall’emozione della paura. È accompagnata da un’eccitazione delle reazioni fisiologiche come l’accelerazione della frequenza cardiaca, pressione sanguigna elevata e vasocostrizione. L’organismo mobilita cioè le risorse per prepararsi alla fuga. Se quest’ultima non è possibile, o se l’attaccante sembra essere gestibile, ha luogo il combattimento come altra forma di difesa. Anche in questo caso si assiste ad una iper stimolazione fisiologica, associata però all’avvicinamento fisico e a emozioni di rabbia.
Una minaccia estrema e persistente, come quella che si verifica durante gli eventi traumatici, può tuttavia scatenare reazioni difensive che vanno oltre la paura e la rabbia (Bracha, 2004; Schauer & Elbert, 2010). Uno di questi stati, che viene percepito come estremamente sconcertante per la persona colpita, è appunto la cosiddetta immobilità tonica (Marx, Forsyth, Gallup & Fusé, 2008; Volchan et al., 2011). Questo stato si verifica quando la vittima è controllata dall’aggressore a tal punto che la fuga non è possibile, la vittima è in inferiorità numerica nel combattimento, o qualsiasi movimento porterebbe a una minaccia ancora maggiore o a lesioni fisiche. Questa fase della risposta difensiva può verificarsi quando una persona si trova in uno stato di immobilità che mette a rischio la sua vita, ad esempio perché è trattenuta o intrappolata o perché, ad esempio, in un nascondiglio, ogni movimento è pericoloso, come capita appunto spesso nello stupro e nella violenza sessuale. L’immobilità tonica è caratterizzata dall’attivazione simultanea di due forme di reazione biologiche opposte: rigidità motoria ed elevata eccitazione fisiologica. Le persone colpite si bloccano visibilmente e possono muoversi solo con grande sforzo.
Nella fase finale della reazione difensiva, la smobilitazione può trasformarsi in flaccidità. Questo stato è pure accompagnato dall’immobilità, detta anche flaccida o collassata. In questo caso l’eccitazione fisiologica e il tono muscolare
scendono al di sotto del livello normale. Questa fase, inizialmente vissuta come
impotenza, trapassa poi nella rassegnazione e infine nell’intorpidimento emotivo, con derealizzazione, depersonalizzazione e una crescente perdita di reattività.


Conseguenze legali


L’interpretazione dell’immobilità durante stupro o violenza sessuale come un blocco involontario indotto dalla minaccia ha notevoli ripercussioni legali poiché gli individui sono giuridicamente ritenuti responsabili delle proprie azioni e omissioni quando queste sono intenzionali e volontarie. La responsabilità è invece scemata o assente se le azioni e le omissioni non sono intenzionali per cui gli individui in genere non sono ritenuti responsabili per azioni involontarie.
Gli autori dell’articolo suggeriscono che, dati i meccanismi neurali che sono alla base delle risposte a una grave minaccia, l’immobilità durante stupro o violenza sessuale venga considerata un’omissione involontaria di un’azione volontaria, evitando così alla donna vittima di violenza una ri-traumatizzazione tramite domande che presuppongono il suo consenso all’atto sessuale per il solo fatto di non essersi difesa o di non aver gridato.

Immagine: Artemisia Gentileschi, Susanna e i vecchioni