Sincronia di battiti

“Sei insieme la quiete e la confusione del mio cuore” scrive Kafka in una delle sue lettere alla sua prima fidanzata Felice Bauer  e aggiunge “immagina il mio battito quando tu sei in questo stato”. Come meglio esprimere la correlazione non solo d’anima ma anche fisica (e fisiologica) delle due persone che costituiscono una coppia amorosa? Uno studio dell’Università della California aveva già dimostrato qualche anno fa che se due persone sono innamorate le loro frequenze cardiache e respiratorie tendono, pur in assenza di contatto fisico e verbale, a sincronizzarsi quando sono vicine.
Ora un nuovo studio recentemente pubblicato su nature online dimostra che il contatto fisico e l’empatia per il dolore del partner accrescono la sincronizzazione fisiologica interpersonale
La capacità di sviluppare ritmi (ad esempio del battito cardiaco, del respiro) e comportamenti sincroni con altri individui ha un chiaro significato evolutivo e non è una peculiarità umana. Lo condividiamo con molti altri (parenti) animali che sincronizzano movimenti per creare suoni, luci (le lucciole), comportamenti di gruppo utili alla caccia o reazioni di difesa. Anche noi umani, che ne siamo coscienti o no, tendiamo a coordinare le nostre azioni imitando posture, gesti e azioni degli altri. Lo facciamo fin dalla prima infanzia ed è un’abilità fondamentale per lo sviluppo della nostra comunicazione interpersonale e sociale, da quella madre-bambino a quella con i nostri colleghi di lavoro. Sincronizzazioni di gruppo del battito cardiaco sono state documentate in rituali di gruppo e anche durante la visione di gruppo di spettacoli particolarmente emozionanti.
Gli autori dell’attuale studio hanno ipotizzato che tale sincronia (del battito cardiaco, della frequenza respiratoria, della reattività della pelle all’elettricità) possa essere accresciuta da due condizioni: il contatto fisico (tenersi per mano) e l’empatia per il dolore del partner. Si sa che il contatto interpersonale accresce la correlazione dell’attività elettrica cutanea e modula la reazione della pressione sanguigna allo stress. È stato inoltre dimostrato che il contatto pelle a pelle consente di interpretare le emozioni di chi ci tocca e riduce il disagio e il dolore in bambini sottoposti a piccoli interventi medici e in pazienti con dolore cronico. L’empatia per il dolore altrui è la capacità di percepire, il più esattamente possibile, la sofferenza dell’altro, uno stato che comporta tra un aumento della frequenza cardiaca e della conduttanza cutanea (la resistenza della pelle al passaggio di corrente)
I ricercatori hanno esaminato 22 coppie, monitorato costantemente i loro ritmi cardiaci e respiratori, la loro conduttanza cutanea, mentre si tenevano la mano, stavano nella stanza senza contatto fisico o in due stanze separate e uno di loro (nell’esperimento in questione sempre la donna!) era sottoposto o meno ad una breve condizione di lieve dolore (una piccola scarica elettrica) e l’altro osservava la partner.
I risultati mostrano inequivocabilmente che il contatto fisico accresce la sincronizzazione del ritmo respiratorio (e dell’attività elettrica della pelle) della coppia sia in presenza che in assenza di dolore e aumenta la sincronizzazione del ritmo cardiaco in presenza di dolore. La sincronizzazione viene invece diminuita dal dolore in assenza del contatto fisico, i ritmi dei due partner sono cioè meno sincronizzati quando uno è esposto al dolore e non si tengono per mano. L’assenza del contatto fisico sembra dunque impedire la comunicazione nella coppia impedendo così la protezione “partecipata” dal dolore. Chi riceve il dolore in assenza di contatto si concentra su strategie individuali per farvi fronte perdendo la sincronia con l’altro. Quando invece i due partner si tenevano per mano e uno di loro era esposto al dolore, l’effetto analgesico del contatto dipendeva dal grado di empatia tra loro. Maggiore era la capacità di un partner di intuire il dolore dell’altro, meno quest’ultimo sentiva il dolore.
I ricercatori ipotizzano che alla base di tali processi di sincronizzazione vi siano molteplici processi neurobiologici, l’azione del sistema di ricompensa, dei neuroni specchio dell’ossitocina.
Nell’epoca delle neuroscienze e del neuro-Imaging questi risultati basati su parametri semplici come quelli del battito cardiaco e della frequenza respiratoria che tutti possiamo osservare e “sentire” possono apparire banali, ovvi. Eppure tutti sappiamo e sperimentiamo che proprio le cose semplici sono spesso le più importanti e sono tutt’altro che facili. La sincronia dei battiti e degli atti respiratori è l’espressione (e la premessa fisiologica) di una sintonia che si costruisce per lo più involontariamente e inconsapevolmente in un processo spesso lento, progressivo, prolungato, paziente e tutt’altro che facile. Un processo che si manifesta non a caso nella correlazione di ritmi tra paziente e terapeuta  ma che ha le sue origini nella progressiva sintonia di sguardi, micro-gesti, movimenti tra madre e bambino, si sviluppa nella delicata e caotica fase dell’adolescenza in cui l’individualità si fa a fatica strada tra imitazione e identificazione e raggiunge il suo culmine nella relazione amorosa quando “i cuori battono all’unisono” e la sincronia diviene segno d’amore. Salvo poi divenirne tragica ossessione. Forse per questo sono così importanti quei momenti in cui ci possiamo sedere a terra accanto al/alla nostra partner e nel silenzio della sua presenza sentire che i nostri ritmi combaciano. Per un breve attimo.
Immagine tratta da Twitter
Suggerimento musicale: Gaetano Donizzetti, L’elisir d’amore, Una furtiva lacrima